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Foto - Feudo Mitogio
Per saperne di più: pagina Etnanatura--> Feudo Mitogio

Foto di: Etnanatura e Andrea Caggegi

Descrizione:
Oggi vi voglio parlare di un albero conosciuto dalle popolazioni locali alcanterine con il nome, “U Ruguru u’ pitruni”, che potremmo tradurre in italiano "la Roverella del pietrone", ovvero una straordinaria “cattedrale vegetale”. Altre volte mi ero soffermato a parlare con piacere di questa pianta e oggi, purtroppo, dopo speranzosi mesi devo scrivere riguardo la sua fine vegetativa, infatti, la pianta si è schiantata ed é oramai rovinata a terra priva di qualsiasi legame radicale con il suolo dunque, priva di vita, che attende con pazienza il lento e incessante scorrere del tempo e la sua totale e inesorabile dissoluzione che verosimilmente avverrà come legna da ardere per uso domestico o bruciata dal fuoco degli incendi che periodicamente devastano la zona. Questa pianta era un sorprendente esemplare di roverella (Quercus pubescens” o roverella - dialettale: Cerza - Ruvulu) che possedeva le fattezze di una “monumento vegetale”, costituito da un solo e possente tronco e molti vigorosi rami. Purtroppo, a causa dell’età secolare, ma anche di fattori biotici e abiotici, che certamente hanno contribuito a peggiorare la sua già precaria esistenza, la pianta era diventata molto vulnerabile ad alcune fitopatìe che sono state le concause della fine della sua esistenza e della quale, al presente, è rimasto soltanto il tronco e i rami più consistenti. Negli ultimi anni la pianta si presentava alquanto sfibrata sia dal punto di vista vegetativo che sanitario, con presenza di piccoli troncamenti dei rami, muffe, tubercoli globosi, marciume dell’apparato radicale, piccole e grandi cavità coperte da muschi e licheni che per certi versi, mitigavano visivamente la sua sofferenza fisica vegetativa. É doveroso ricordare che anche le "piante monumentali" non vivono in eterno, la mortalità naturale fra le piante in bosco è elevatissima e “U Ruguru u’ pitruni” non poteva essere esonerato dalla legge della natura. Pertanto, nato forse ancor prima della scoperta dell’America, resisteva da secoli all’uomo e al tempo ed è crollato certamente a causa del tempo implacabile, ma anche del continuo danneggiamento per l'impatto con il pascolo vagante indiscriminato, per l’attività degli eventi atmosferici a volte inclementi e, soprattutto, visto il suo isolamento e marginalità territoriale, per il disinteresse antropico, in particolare da parte di chi doveva averne cura. Si presume che “U Ruguru u’ pitruni ” o altre piante similari in bosco, non verranno mai sottoposte ad appropriate cure colturali di controllo delle fitopatìe e di stabilizzazione fisica, ancor più se trattasi piante vegetanti all’interno di aree private. Un altro motivo di grave depauperamento era la devastazione che subiva per motivo degli incendi estivi che ciclicamente percorrono questo comprensorio. I roghi sono una grave piaga che torna puntualmente alla ribalta ogni estate in queste terre, sono la causa di tanti danni ambientali con effetto a lungo e medio termine sull'intero ecosistema, tra cui il deterioramento del suolo, il depauperamento della biodiversità animale e vegetale, il degrado ecologico, il dissesto idrogeologico. In una zona impervia di questo territorio a poche decine di metri dal "Ruguru u pitruni”, il primo pomeriggio del 18 agosto 1993, durante le operazioni di spegnimento di un incendio boschivo, persero la vita, un giovane e promettente sottufficiale del Corpo Forestale e 3 coraggiosi operai addetti alle squadre di spegnimento incendi, tutti rei di credere nel proprio lavoro al servizio della natura e della collettività. Definire all'impiedi l'età di una pianta vetusta di queste dimensioni senza l’utilizzo di tecniche sofisticate di analisi del DNA, che é la molecola depositaria dell’informazione genetica in tutte le cellule, diviene scientificamente alquanto complicato, se non impossibile. Infatti, diverse sono le quantificazioni metriche-morfologiche e di longevità assegnate al “ U Ruguru u’ pitruni” nel corso degli anni, cosa difficile già per la dendrometria, che studia queste tematiche, tuttavia, tenendo anche conto di alcune nozioni di postulato empirico studiato nelle scuole forestali, l'età media approssimativa e verosimile riconosciuta a questa imponente quercia è stimata in circa 500-600 anni. Questo gigante vegetale aveva una circonferenza di oltre 6 metri, oltre mt. 1,80 di diametro, almeno 12 mt di altezza e con una proiezione potenziale e generalizzata di chioma che occupava un'area di oltre 500 mq.. Maestoso, plurisecolare o colossale verde “patriarca della natura”, perché tramandato ai giorni nostri da decine di generazioni precedenti. Questo albero, che con un pizzico di romanticismo possiamo definire sacro, era come un santuario e chi sapeva parlare con lui, chi lo sapeva ascoltare, riusciva a percepire la verità filosofica dell'esistenza umana. Vederlo abbattuto, è come vedere strappato un pezzo di cuore alla nostra immensa "Madre Natura", alle quale bisogna chiedere il permesso per entrare a visitare le sue fortezze naturali e alla quale bisogna promettere che non le danneggeremo. Questa secolare pianta di roverella, vegetava all’interno del “Feudo Mitogio”, in agro di Castiglione di Sicilia, nel sottobacino del torrente Sorbera (Coordinate Sistema WGS84 N37°51'567' E15°10'185'), un territorio privato contraddistinto dalla presenza di profondi valloni, ripidi pendii con pendenze molto accentuate e un’apprezzabile presenza di acque affioranti che, in alcuni casi nel periodo delle piogge, causano frane e ruscellamenti e rendono difficile e rischiosa la viabilità interna che porta alla pianta. Malgrado l’accidentalità del terreno, questo comprensorio è punteggiato di ampie formazioni naturali boschive quercine e insediamenti artificiali degli anni ‘70 di specie conifere e latifoglie da cellulosa che si distendono verso il fiume Alcantara. Infatti, alcune particelle dei suddetti terreni del “Feudo Mitogio”, verso la fine degli anni 70, furono interessate ad interventi di forestazione produttiva con finanziamenti pubblici, in quanto inseriti nel progetto speciale n° 24 della Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi della legge n° 984 del 27.12.77. Meglio conosciuta come legge “Quadrifoglio” questa produzione legislativa venne elaborata dal legislatore italiano allo scopo di incrementare la produzione di legno per cellulosa da carta, per la quale lo stato italiano in massima percentuale dipendeva dall’estero. Lo scopo era quello di fornire il legno da cellulosa alla cartiera SIACE di Fiumefreddo che purtroppo riuscì a funzionare poco o niente sino ad essere chiusa e abbandonata. Poi molte altre vicissitudini tra abbandoni e pascoli abusivi che recavano danno ai giovani insediamenti di Eucalipti e Pini impiantati e continui danneggiamenti accentuati dai persistenti incendi dolosi. Ad ogni modo, malgrado risultati poco apprezzabili, l’insediamento di un rimboschimento artificiale a macchia di leopardo, rende questo territorio alquanto pregevole e in alcuni casi, ancora ricco di particolare integrità e di grande impatto naturalistico e paesaggistico. In questo luogo, si può ammirare un paesaggio naturale quasi selvaggio di grande qualità e rilevanza geomorfologica, ed é proprio in quest’area che vegetava questo “grande patriarca” della vegetazione naturale presente nella valle dell'Alcantara. Questa straordinaria pianta era presente da secoli in questo territorio di vegetazione ed era il testimone del passaggio di tante tradizioni, culture e civiltà che si sono succedute nel tempo ed hanno contraddistinto queste terre che si specchiano nelle acque del fiume Alcantara con le sue gole e le suggestive 'Gurne' o Ulli o Vulli”, come li chiamano localmente. Questi sono dei caratteristici laghetti naturali che si formano all’interno dell’alveo del fiume, vere e proprie “gurne d’acqua” tipici specchi d'acqua creati grazie all'incessante azione levigante dell’acqua, esercitata per millenni sulle antiche e solide colate laviche all’interno dell’alveo del fiume che scende verso valle e divide le province di Catania e Messina, dunque, un territorio e i suoi beni naturalistici assolutamente condivisi da due province. Queste gurne creano un’apparato scenico suggestivo e costituiscono le peculiarità ambientali del fiume, all’interno del quale è anche presente una vegetazione tipicamente erbacea ripariale, idrofila e igrofila, a manifestare la propria straordinaria influenza sugli ecosistemi acquatici e quindi sul fiume stesso. La storia del "Ruguru u’ pitruni”, l’albero più antico e longevo della valle del fiume Alcantara, è indissolubilmente legata alle vicissitudini che la popolazione di queste terre ha conosciuto e ai cambiamenti che la valle dell’Alcantara ha subìto nel corso dei secoli. Dunque, la storia antica di questa pianta monumentale, si lega con la storia del proprio territorio e volendo esaminare ipoteticamente l’origine di questa si dovrà precedentemente conoscere la genesi di quell’altra. Insomma, questo albero ci raccontava la storia stessa dell'uomo di queste terre negli ultimi verosimili 500-600 anni, ma il sistema fluviale del fiume Alcantara nel corso dei secoli è stato anche crocevia di grandi civiltà e culla di progredite culture e grandi miti, dunque, questo colosso naturale fa da cornice a vicende umane reali e storiche che a volte si fondono in tutt’uno con il mito, la fantasia e l’illusorio. Pertanto, volendo guardare in profondità la sua esistenza da una dimensione “spirituale”, "u Ruguru u’ pitruni”, ci rivela ancora persino gli intrecci trascendentali che spesso si accostano volutamente al mito e alla realtà. Guardando con gli occhi dell’immaginazione, tutto ciò appare quasi come una strategia che tende a suscitare maggiore coinvolgimento passionale da parte delle popolazioni locali, che si sentono come trascinate lungo un percorso naturalistico ricco di nozioni storiche, antropologiche e naturalistiche, in perfetta armonizzazione con la realtà territoriale locale, verificata sia con lo studio, sia attraverso la frequentazione giornaliera di un territorio suggestivo e di grande impatto ambientale. La roverella è la pianta più rappresentativa delle querce che sono quegli alberi a crescita lenta noti a tutti perchè spesso sono grandi e robusti, possenti e longevi. Sono le piante mediterranee per eccellenza, privilegiano i luoghi molto luminosi, vegetano bene sui terreni silicio-vulcanici etnei e di qualsiasi altra natura, anche se prediligono quelli calcarei. Ha un aspetto vigoroso e maestoso, con una chioma ampia e una corteccia di colore grigio scuro, più liscia nei primi anni di vita e maggiormente munita di fessure longitudinali nel corso degli anni. La crescita di una roverella in pieno sviluppo, può arrivare ad altezze che superano agevolmente i 20 metri, slanciandosi grazie ad un tronco eretto e comunque agile nella propria sinuosità. L'albero si distingue dalle altre querce perché la fioritura avviene tra il mese di aprile e quello di maggio, mentre, durante la stagione invernale tiene spesso le foglie seccate attaccate ai propri rami. Il tronco della roverella è robusto e la chioma densa e irregolare, i rami giovani sono coperti da un feltro lanuginoso biancastro. Le foglie si presentano alterne, non molto grandi, hanno un picciuolo breve, la loblatura profonda ed acuta, sono oblanceolate, chiare-tomentose dalla parte inferiore e verdi scure dalla parte superiore e arrivano ad una lunghezza di 7-8 centimetri circa. I frutti della roverella sono le tipiche ghiande della quercia, con una forma allungata e ovoidale, circondata per metà dalla tipica cupola di squame lanceolate. Evidenziano una leggera peluria quando sono giovani, lisce e lucide appena raggiungono le dimensioni definitive. Il legno di roverella é il più importante tra i legnami italiani per le sue qualità di durezza, resistenza e durata, infatti, viene utilizzato in falegnameria per la costruzione di attrezzi, botti, travame, inoltre, viene usato per ardere e trasformato in carbone vegetale. Come accade per tanti altri tipi di querce, una delle caratteristiche particolari della roverella è la longevità, infatti, non è difficile trovare esemplari che hanno superato i 500 anni in Italia. U "Ruguru u’ pitruni” aveva sicuramente un passato affascinante alle spalle, a metà strada tra storia e leggenda, esso racchiudeva parte dell’esistenza delle popolazioni locali e la sua straordinarietà riusciva e riesce ancora a rievocare in essi struggenti ricordi, gioie ed emozioni che accompagnavano queste genti sin dalla loro prima infanzia ad oggi. Quando un albero presenta tutte queste caratteristiche gli esperti arboristi lo definiscono, monumentale, una parola che deriva dal latino ‘monere’, ovvero ‘ricordare’ e i ricordi certamente, coinvolgono ognuno noi, i più anziani per testimonianza diretta, i più giovani per aver letto o perché sono passati per questi territori, ma sia per gli uni che per gli altri, i ricordi hanno avuto sempre l’intrigante potere di provocare in tutti, sentimenti contrastanti ma pieni di valori genuini. I ricordi sono dunque le tracce di esperienze passate che hanno impresso la memoria attraverso le sensazioni e le emozioni che hanno colpito i nostri sensi. Infatti, per la sua centenaria età, questa pianta avrebbe potuto raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio, i doviziosi intrecci con le genti dei luoghi a volte corredati da risvolti alquanto nefasti, sempre presente e testimone del passaggio di tante culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre che si specchiano nella storia del mondo. L'importanza di mantenere gli alberi a tempo indefinito, oggi come nei secoli scorsi, è legata allo scopo di tutelare la fauna, in quanto è risaputo che all’interno delle cavità delle piante trovano rifugio molte specie di animali e le loro fronde sono riparo per molti uccelli, inoltre, una pianta di grandi dimensioni migliora il paesaggio e il patrimonio genetico e vivaistico in quanto resiste di più alle malattie. Al presente diremmo che è un valore aggiunto anche ai fini paesaggistici e turistici, in quanto sappiamo che le "piante monumentali" sono gradite ai turisti e in generale a chi visita i boschi. Tuttavia, vegetando all'interno di aree marginali e per certi versi abbandonati all’oblìo e al degrado fisico-ambientale, su terreni in balìa della smobilitazione, dell’incuria, degli incendi e non ultimo delle sue patologie, che certamente hanno contribuito a stroncarla per sempre, questa pianta ha ceduto e si è arresa al lento e incessante scorrere del tempo che scorre e al suo normale e inesorabile dissolvimento. È innegabile che percepire quel che è rimasto del grande " Ruguru u’ pitruni” provoca un impatto violento, una triste e grave ferita che segna un termine di contatto con la Natura selvatica, quale componente intima dell’umanità intera e ciò ci ha reso irrevocabilmente tutti un pò più poveri e limitati….. questo è successo a me.
Testo a cura di Enzo Crimi – già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, saggista, divulgatore ambientale e naturalista, esperto di problemi del territorio.
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