In Sierra Leone, ogni giorno, 50 persone contraggono il virus Ebola. I medici e gli infermieri di Emergency stanno lavorando senza sosta per garantire cure ai malati nel Centro di Lakka, vicino a Freetown. Per continuare a farlo abbiamo bisogno di aiuto. Anche del tuo.
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Orrore e speranza a Gaza
#BringBackOurGirls
Italiani brava gente….
Addio
Tessera Emergency
1994 Milano: il 15 maggio nasce Emergency, una piccola organizzazione di medici e infermieri fondata per offrire cure alle vittime della guerra e delle mine antiuomo.
La prima missione è il Ruanda del genocidio: a Kigali, i medici di Emergency curano i feriti di guerra e rimettono in funzione il reparto di maternità dell’ospedale cittadino.
Poi vengono l’Iraq, la Cambogia, l’Afghanistan e tanti altri Paesi, persino l’Italia, dove da qualche anno offriamo cure gratuite a chi non può permettersele.
Qual è il filo rosso di questo viaggio lungo vent’anni? L’impegno di migliaia di persone a praticare i diritti umani, per tutti.
In 20 anni abbiamo curato oltre 6 milioni di persone, insieme con decine di migliaia di sostenitori che hanno deciso di aiutarci con il loro tempo, una donazione, e anche con la sottoscrizione della nostra tessera.
Fai la tessera di Emergency 2014, unisciti a noi in questo viaggio.
Sapevi che oltre a richiedere la tessera di Emergency per te, puoi regalarla a un amico? La riceverà direttamente a casa sua.
Per maggiori info: http://www.emergency.it/tessera/index.html
Ferdinando Agnini: un martire catanese delle fosse Ardeatine
Ferdinando Agnini (Catania, 24 agosto 1924 – Roma, 24 marzo 1944) è stato un partigiano e antifascista italiano. Giovane studente romano nato a Catania, appartenente ad una famiglia di intellettuali democratici e antifascisti: il nonno Ferdinando aveva militato nei Fasci siciliani, mentre il padre Gaetano, giornalista, aveva rifiutato di iscriversi al partito fascista. Dopo aver conseguito la maturità a Roma, al liceo classico «Quinto Orazio Flacco». Ferdinando Agnini si iscrisse alla facoltà di medicina all’Università di Roma.
Dopo l’8 settembre del 1943 entrò nella resistenza fondando a Roma insieme a Gianni Corbi e Nicola Rainelli l’ARSI (Associazione Rivoluzionaria Studentesca Italiana), di carattere repubblicano e progressista. L’ARSI operava principalmente nel zona Monte Sacro a Roma ed era impegnata nella raccolta e nella distribuzione di armi e nella stampa di un giornale antifascista «La nostra lotta» in collaborazione con gruppi comunisti e operai del quartiere Montesacro. Nel febbraio del 1944 l’ARSI si sciolse ed entrò a fare parte della Unione Studenti Italiani, nella quale Agnini mantenne un ruolo rilevante. Nel gennaio del 1944 Agnini fu tra gli organizzatori degli scioperi all’università di Roma per protestare contro l’ordinanza di ammettere agli esami solo coloro che avessero risposto alla leva della Repubblica Sociale Italiana.
Agnini fu catturato il 24 febbraio 1944 a causa di una soffiata. Tradotto dapprima nel commissariato di Monte Sacro, fu convinto da uno dei suoi carcerieri a scrivere un biglietto ai genitori; il messaggio fu invece utilizzato come prova della sua attività partigiana. Imprigionato nel carcere di Via Tasso e torturato, ne uscì per essere giustiziato, appena diciannovenne, alle Fosse Ardeatine.
Da Wikipedia
6000 morti in due anni
Ancora una volta ci tocca piangere la morte di decine di fratelli che cercavano nella nostra terra un rifugio dalla fame e dalle atrocità. Ancora una volta il Mediterraneo è divenuto un mare di morte per l’insipienza, l’egoismo e la disumanità di noi occidentali. Vorremmo gridare MAI PIU’ ma temiamo che la nostra voce si disperda nel deserto dell’egoismo.
Lettera al papa su don Gallo
di Moni Ovadia
Scrivere una lettera al Papa, la guida religiosa dei cattolici di tutto il mondo, è di per sé un azzardo e lo è tanto di più se a scriverla è un non credente, per sopramercato nato e cresciuto nel contesto di un’altra fede. Come dovrei rivolgermi al Sommo Pontefice? Forse direttamente all’uomo Bergoglio che viene prima della sua carica e già dagli esordi della sua ascesa al soglio pontificio, ha mostrato di esprimersi con irrituale semplicità e di astenersi da ogni attitudine curiale?
Sarebbe certo il più modo più appropriato, ma mancherebbe di un’intenzione importante del senso della mia lettera perché è certamente all’uomo che voglio parlare, ma anche al Capo della Chiesa Cattolica. Per questo intesto così: «Caro Papa Bergoglio, mi chiamo Moni Ovadia, sono un ebreo agnostico di professione saltimbanco che pratica il suo mestiere contrabbandando la spiritualità dell’esilio ebraico, soprattutto nelle sue espressioni umoristiche e paradossali. Nella vita e sul palcoscenico, sono un “attivista” che, nei limiti delle sue capacità, ma con passione, si impegna a favore dei diritti degli ultimi e delle minoranze, della loro dignità, della giustizia sociale e della pace.
Talora mi capita anche di pubblicare le mie personali riflessioni su libri, articoli e altri scritti. Le scrivo per assolvere un dovere e un impegno cogenti. Alcune settimane fa, con decine di migliaia di persone in Italia e non solo, ho condiviso la perdita di un grande amico, un fratello, un Maestro. Si chiamava Andrea Gallo, Don Andrea Gallo, era un prete cattolico. Sì, un prete cattolico! Mai, neppure in una sola delle molteplici occasioni in cui ci siamo visti, ha omesso di dirmi che la Chiesa Cattolica era la sua Chiesa. Lei, sicuramente, ne ha sentito parlare. E’ stato uno degli uomini più amati di questo nostro travagliato Paese.
Perché dunque mi sono risolto a scriverLe in quello che sarebbe stato il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno? Perché Don Gallo mi ha eletto come suo direttore spirituale e, nel corso di molte occasioni pubbliche, ha confermato questa elezione. Lei capirà, quando nel corso delle molte manifestazioni in cui abbiamo condiviso la nostra comune passione spirituale, politica e civile, Don Andrea ripeteva che il suo direttore spirituale era un ebreo agnostico, le persone presenti ridevano affettuosamente con allegria e tenerezza come si reagisce ad una battuta, ma la cosa era ed è seria.
Il Gallo sapeva che non poteva affidare in mani migliori il senso più profondo del suo magistero di uomo e di prete cattolico, non perché io sia così degno, tutt’altro, ma perché lui sapeva che io, pur con tutti i miei limiti e peccati, lo avrei custodito come il più prezioso dei lasciti. Caro Papa Bergoglio, io non Le scrivo per chiedere che Lei faccia aprire un fascicolo per la beatificazione di questo prete da marciapiede – come lui stesso si definiva – e non glielo chiedo perché, con tutto il dovuto rispetto, il Gallo per noi che lo abbiamo conosciuto, è già Santo. E chi se non un santo avrebbe potuto dare corpo vivo alla più dirompente delle Beatitudini di Gesù?
Nella Chiesa, nella comunità, nel cuore di Andrea, gli ultimi, i tossicodipendenti, le prostitute, i transgender, i ladri, i poveri, i disperati, erano i primi. Per me personalmente il Gallo era uno Tzàddik, il giusto sapiente delle comunità khassidiche. Noi ebrei attribuiamo la santità solo al Santo Benedetto. Comunque, Don Andrea, prete cattolico ed io, ebreo agnostico, eravamo uniti da una comune spiritualità.
Le religioni possono separare, la spiritualità unisce credenti, diversamente credenti e non credenti. Ecco, per questa ragione io mi permetto di rivolgerLe questa richiesta: Lei che ha mostrato particolare sensibilità per gli ultimi, per lo scandalo delle ingiustizie e delle disuguaglianze, Lei che ha avuto la forza di rubricare nella legislazione dello Stato Pontificio il ripugnante reato di tortura, di abolire la crudeltà dell’ergastolo, trovi il modo di dedicare un’omelia al prete cattolico Don Andrea Gallo, grande cristiano, partigiano, antifascista e uomo di pace. Il suo corpo non è più fra noi, ma il suo pensiero e la sua energia vivono e vivranno nelle nostre menti e nei nostri cuori e in quelli dei giusti di ogni tempo a venire. Di don Gallo, l’umanità ha bisogno».