San Michele Fulgerino

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Sito Etnanatura: San Michele Fulgerino.

Sono esigue le notizie storiche relative al monastero del San Michele al Fulgerino presso Piedimonte Etneo, a volte confuso con S. Michele Arcangelo di Brolo o di Ficarra. Si sconosce il nome del fondatore e ignoti sono i primi egumeni. Si dubita anche che la fondazione fosse un cenobio basiliano. Ne dà menzione il Rocco Pirri: ” …Sancti Michaelis de Fulgerino, seu Filarino, vel Solarino…”.

Inoltre il medesimo autore sembra dare del complesso sacro una più o meno precisa indicazione topografica: “De hujusmodi Abbatiae, quae in agro Calatabiani juxta oppidum Linuae Grossae sita est…”. In realtà l’unico documento storico relativo a questo cenobio richiama eventi databili al XV secolo. Il 18 giugno del 1474 (Pirri, Notitia Trigesima) il monastero fu saccheggiato e un certo frate Federico, probabile priore di S. Michele di Fulgerino, venne assassinato. E’ probabile che questo priore non fosse di regola basiliana, ma benedettina, a seguito dei drastici mutamenti voluti da Clemente V attraverso la bolla Etsi in Temporalium, che annullava i privilegi dell’Apostolica Legatia in Sicilia, permettendo al papa di nominare nuovamente vescovi, abati e priori, scavalcando la monarchia siciliana, la cui reazione non tardò a venire. La corona aragonese reagì all’abolizione dei privilegi nominando a sua volta altri vescovi, abati e priori e contribuendo ad alimentare una drammatica situazione di instabilità che condusse alla rovina numerosi monasteri siciliani. Molti cenobi basiliani dell’isola piombarono in mano a rappresentanti del clero latino. Un destino simile toccò anche il San Michele al Fulgerino, retto da abati commendatari dei quali almeno un nome è giunto ai giorni nostri tramite un documento del XVI sec. Si trattava di un certo Pietro Sueglies, probabilmente di origine iberica e già abate commendatario dell’abbazia della SS. Trinità. Nella seconda metà del XVII secolo il monastero passava alle dipendenze dei Borbone di Napoli e, all’indomani dell’unità d’Italia, complesso religioso e relative proprietà passavano a far parte del demanio statale, a seguito della confisca dei beni ecclesiastici, secondo i dettami delle leggi siccardiane. In epoca contemporanea sembra che la chiesa sia stata venduta dall’arciprete G. Gulli alla signora Costa Fragalà. A tutt’oggi proprietari risultano membri della famiglia Castorina, ai quali si deve il merito del completo e ben eseguito restauro di quanto rimane dell’edificio sacro. Quanto rimane del complesso sacro trova posto su di una piccola altura a ridosso di un torrente, non lontano dal centro abitato di Piedimonte Etneo. In realtà poco rimane dell’originario impianto: attualmente è possibile osservare solo il corpo di fabbrica della chiesa (katholikòn), un tempo annessa al piccolo monastero. L’edificio è orientato est-ovest, avente un solo abside rivolto a levante, la cui conca risulta ricavata nello spessore della parete orientale. E’ probabile che fin dalla fondazione il piccolo edifico sacro possedesse solo i due ingressi ancora oggi esistenti: quello principale si trova lungo la parete occidentale e si presenta leggermente archiacuto; l’ingresso meridionale presenta un aspetto simile, ma con arco ad ogiva e lunetta ricavata, curiosamente, da un blocco monolitico di calcarenite locale. L’interno, a pianta rettangolare e con unica navata, pare che venisse trasformato in stalla o magazzino nel medesimo periodo in cui risultano edificate alcune superfetazioni ottocentesche con le quali l’aula sacra è posta in comunicazione per mezzo di una apertura provocata nell’angolo destro della parete orientale, non lontano dall’abside. Lungo il prospetto settentrionale si osserva la presenza di due anguste finestrelle rettangolari, delle quali quella nord/orientale conserva la cornice in pietra lavica. A causa del lungo abbandono, alla fine degli anni ottanta del XX secolo l’edificio sacro, fatiscente, minacciava rovina, scongiurata dai successivi restauri. 
Da Medioevo Sicilia

Foto di Michele Torrisi.

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