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Foto - Casale
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Foto di: Etnanatura, Catena Lo Turco, Fabio Luchino

Descrizione:
Il 4 Febbraio del 1169 un immane terremoto del nono rado della scala MCS provocò distruzione e lutti nella Sicilia Orientale. La sola città di Catania pianse 20.000 morti compresi quelli che si apprestavano a festeggiare la festa della patrona sant'Agata con una messa solenne all'interno della cattedrale che venne quasi completamente distrutta. In quegli anni il villaggio di Forza d'Agrò era ubicato in contrada Casale e servito, per le necessità spirituali, da una piccola chiesetta dedicata a san Michele Arcangelo di probabile fattura bizantina. Questa chiesa aveva un rapporto diretto con il tempio dei Santi Pietro e Paolo dove, ogni anno, si prelevava il sacro olio che veniva poi condotto in processione in occasione della festa di San Michele. E' storicamente accertato che questa statua fu rubata dai savocesi durante una processione. Nel 1116, il villaggio era denominato Agrilla e Re Ruggero II il Normanno lo proclamò terra inalienabile donandolo all'Abate del monastero dei Santi Pietro e Paolo d'Agrò che vi esercitò per secoli il mero e misto imperio. L'amministrazione del villaggio era affidata ai Due Giurati che duravano in carica un anno e venivano sorteggiati estraendo i nomi da una lista di persone gradite all'Abate. Tra le cariche esistenti all'epoca si ricordino: il Iudice, che amministrava la giustizia nel villaggio, il Capitano Giustiziere che amministrava l'ordine pubblico, il Baglivo che aveva poteri di polizia campestre ed infine la commissione dei Deputati che aveva una miriade di poteri tra cui la manutenzione e la cura del castello. Gli abitanti di Forza d'Agrò erano obbligati a coltivare i campi dell'Abate e a donare ai monaci del convento, nei giorni di Natale e Pasqua due galline e una capra. Da sempre in guerra con i vicini abitanti di Savoca, ancora oggi si raccontano tante leggende che confermano i rapporti tesi fra i due villaggi. Si dice che un giorno, durante i festeggiamenti del santo Michele, i savocesi abbiano rubato con un sotterfugio la statua del santo. Mentre alcuni di essi si nascondevano lungo il percorso con la faccia imbrattata di succo di gelsi, altri si proponevano di portare, in segno di devozione, il fercolo del santo. In un punto prestabilito scattò l'agguato. Da una curva lungo il sentiero uscirono i savocesi gridando e con la faccia imbrattata di finto sangue spaventando i devoti di Forza che fuggirono atterriti permettendo così ai portatori di trafugare la statua. Ma la beffa sembra non sia finita qui. Cercando una finta amicizia gli abitanti di Savoca invitarono quelli di Forza ad una cena di riappacificazione solo che, in segno di disprezzo, ad insaputa di questi ultimi, servirono carne di cane. Ma ritorniamo al terremoto del 1169. In seguito a questo tragico evento il villaggio fu ricostruito dove ora troviamo il castello di Forza d'Agrò. Della vecchia piccola chiesa di san Michele restarono alcuna mura perimetrali che ancora oggi, sfidando i secoli e l'oblio, resistono all'interno di un uliveto dal quale si ammirano lo Ionio, le calabrie e l'Etna.
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