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Foto - Cuba santo Stefano
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Descrizione:
Il rudere conserva una buona parte della sua struttura muraria. La sua scoperta, nei tempi moderni, appartiene a Stefano Bottari, che pubblicava un testo con la descrizione del rudere nella Rivista di Archeologia Cristiana nel 1944-45. Qualche anno dopo Biagio Pace, nella sua monumentale opera "Arte e civiltà della Sicilia antica" fa riferimento alla scoperta di Bottari. Nel 1959 viene riscoperta dall'allora sovrintendente ai monumenti per la Sicilia Orientale, l'architetto Pietro Lojacono. Mezz'anno dopo pubblicava nella rivista "Tecnica e Ricostruzione" un resoconto di come avvenne la scoperta della cella trichora e dei lavori per mettere in luce il monumento. Agli occhi di Lojacono il rudere si presentava come un deposito di pietrame gettatovi dai contadini per la bonifica dei terreni circostanti. Procedette ai lavori di sterro e di consolidamento delle murature pericolanti. Fece le misurazioni precise ed emesse delle ipotesi sui aspetti costruttivi, nonché sul suo aspetto originale. In seguito nacque un interesse per il rudere ed il suo recupero. Un progetto per il recupero è stato elaborato dall'architetto Brocato. Al comune di Santa Venerina ci sono intenzioni di acquistare il terreno e realizzare il progetto di recupero, destinando l'area circostante a un museo di mineralogia. Nonostante tanti anni dalla presa di coscienza del valore del rudere, esso si trova ancora in stato di abbandono. Non è possibile scattare una foto del rudere intero per illustrare la sua monumentalità e l'armonia delle parti, così come lo si può osservare sul posto; esso è immerso nella vegetazione. Però alcuni particolari danno un'idea chiara dello stato del monumento. L'ingresso, lascia vedere di quanto sia interrato l'edificio. I muri delle absidi danno un'idea dell'ampiezza del naos. Nel nartece possiamo individuare la volta a botte che copriva i braci laterali. Nonostante il rovinoso stato, la finestra dell'abside est ci suggerisce che la sua forma era una bifora o forse una trifora. Un albero nel nartece, un pezzo di muro in una cornice troppo romantica - sono le espressioni dello stato in cui si trova il monumento. Comunque per avere un'immagine concludente è opportuno procedere alla presentazione della pianta che è stato possibile rilevare in quanto i muri perimetrali a varie altezze sono tutti presenti. L'edificio e composto da due parti: una parte trilobata ed uno spazio rettangolare di dimensioni impressionanti. La parte trilobata costituisce la cella trichora. Una trichora ben conservata è la cuba di Malvagna nella vale dell'Alcantara. Si notano bene le abside e la cupola. La chiesa di Dagala si distingue dalle altre trichore per le sue armoniose proporzioni, con ampie absidi laterali, leggermente più piccole dell'abside centrale. Del tutto particolare è e il nartece molto ampio, diviso in tre parti marcati da volte a botte. Nell'estremità sinistra del nartece c'è una cisterna con parete doppio, è una modifica ulteriore che portò alla chiusura di uno degli ingressi del prospetto. Il lato opposto poteva essere chiuso per necessità funzionali. Durante i lavori di rimozione delle macerie e del pietrame, effettuate da Lojacono, non fu trovato alcun pavimento primitivo, invece fu trovato nella zona centrale del nartece un pozzetto formato da pietre laviche che doveva servire da fonte battesimale. La muratura è fatta con la pietra lavica e calce con l'integrazione di conci di cotto. E' un tipo di muratura caratteristico per le costruzioni della valle d'Alcantara coeve. Nei muri del nartece erano inserite piccole anforette in posizione verticale e orizontale (con la bocca verso l'esterno). Non è del tutto chiaro la loro funzione. Comunque, la presenza del cotto nella muratura contribuisce a mantenere asciutto le pareti affrescate. La copertura della chiesa comprendeva la cupola sopra il naos e tre volte a botte per il nartece, che segnavano la divisione di questo spazio in tre elementi. Le due volte laterali sono indicate dalla conclusione dei muri in altezza in forma di arco ed una piccola parte della volta rimasta. La volta a botte centrale è più una conclusione logica che un indizio esatto degli elementi strutturali rimasti. L'architetto Lojacono nel studiare il rudere ricostruì l'aspetto originale con due sezioni: una longitudinale che mostra la disposizione degli spazi lungo l'asse della chiesa e altra del nartece che illustra l'articolazione di questo elemento particolare per la chiesa di Dagala. L'aspetto esteriore visto da nord-est da un punto più alto dà un'idea dell'insieme. Non c'è dubbio sull'epoca alla quale ascrivere l'edificio. Si tratta del periodo prearabo, tra la seconda metà del VII secolo e inizio del IX, più probabile verso la fine dell'intervallo indicato. Quanto riguarda il nartece, sono state avanzate ipotesi che sia una aggiunta posteriore del periodo normanno. E possibile, ma poteva benissimo essere contemporaneo con la parte centrale della chiesa, in quanto un nartece, pronao, è un accessorio utile e indispensabile delle chiese bizantine. Le dimensioni sproporzionate del nartece sembrano rispondere a una propensione per sottolineare l'importanza, ma osserviamo che rispondeva a concrete esigenze pratiche. Si nota chiaramente che il nartece e un corpo giustapposto alle pareti delle abside; delle fessure chiare si vedono sulla linea di giunzione tra il nartece e le abside. Il tipo di muratura, pietra lavica di dimensioni diversi legati con la calce e l'aggiunta di cocci di cotto, è la stessa. Il nartece, probabilmente costituisce una aggiunta nei tempi coevi alla costruzione della trichora stessa. Il monastero era con certezza uno basiliano alla data della sua fondazione, dato il periodo di costruzione e la sua forma architettonica. Sembra che era attivo nell'inizio del XII secolo, un secolo di grande fiorire del monachesimo basiliano. Possibilmente venne affrescato come successe a Nunziatella, ma dei colori si è persa qualsiasi traccia per causa della caduta del intonaco. Il rapido declino dei monasteri basiliani dalla fine del XII secolo, favorì il passaggio della chiesa al monastero benedettino che venne ricordato nella "Cronaca" di Nicolò Speciale nell'occasione dell'eruzione dell'Etna del 1284, quando,molto probabile fu abbandonato, forse per sempre. Nello stato attuale non si può parlare di qualsiasi fruizione, dato lo stato di abbandono e di trovarsi in proprietà privata. In attesa della realizzazione dei progetti interessanti per il recupero che per il loro costo possono ancora ritardare per un po', una contenuta azione di pulizia e di assicurazione dell'agibilità potrebbe ridare vita al rudere. Operazioni per niente facili quelle di pulizia, si tratta di alberi cresciuti dentro la chiesa, di tanta vegetazione che con le loro radici distruggeranno la solidità dei muri di basalto e calce, le stesse radici che in certe parti tengono ancora insieme le pietre. Un'operazione decisiva di liberazione dei muri di vegetazione con la necessaria consolidazione si impone. Il concetto ottocentesco del rudere coperto da vegetazione, condiviso anche da Lojacono più di quarant'anni fa che cercò di rispettare finché è stato possibile, la veste di edera, che conferisce al rudere un aspetto pittoresco e romantico non aiuterebbe molto alla fruizione del rudere come insieme di indizi della sua forma originaria. Un azione congiunta di tutti i fattori che condividono l'importanza del rudere e la necessità di trasmetterlo ai posteri, potrebbe essere utile nel trovare forze e mezzi per il recupero.
Da Vasilemutu
Dei recenti lavori di restauro hanno messo in sicurezza il sito.
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