Il castagno dei cento cavalli ovvero l’Albero Cosmico

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1di Marinella Fiume

Senza il suo clima e il suo humus, la Sicilia non sarebbe la terra dell’eterna primavera, l’Eden perduto. È il clima il vero miracolo che in Sicilia fa nascere gli alberi tra i più grandi del mondo, custodi di magiche truvature che si continuano a cercare senza successo perché la loro formula è custodita da esseri soprannaturali e un po’ capricciosi: “donne di fora”, streghe, gnomi, folletti, spiritelli. Sono vecchi tesori nascosti e incantati di cui la Sicilia è piena e la cui leggenda è fatta risalire da alcuni al periodo delle dominazioni arabe, quando molti nascosero le proprie fortune per timore di esserne derubati. Ma forse truvature sono gli alberi stessi, colonne portanti del cielo, straordinario miracolo della natura e dono degli dèi.

Nel bosco di Carpineto, sul versante orientale del vulcano, in un’area tutelata dal Parco dell’Etna, si trova il “Castagno dei cento cavalli”, uno tra gli alberi più celebri di Sicilia, il più famoso e grande d’Italia, un albero plurimillenario, ubicato in territorio del comune di Sant’Alfio (Ct). Il castagno è nel libro dei Guinness dei primati come l’albero più grande del mondo. Descritto come “naturale maraviglia, che è di stupore ad ognuno, e di decoro a questo Regno”, fu oggetto di uno dei più antichi atti di tutela naturalistica. Diversi botanici concordano sulla sua età: avrebbe dai due ai quattromila anni e potrebbe essere l’albero più antico d’Europa. Uno studio scientifico sul suo DNA dimostrerebbe che esso potrebbe avere la più grande circonferenza del mondo, superiore al celebre grande cipresso del Messico.

Molte leggende tramandano gli anziani del luogo, come quella secondo cui, sotto il Castagno, anticamente, sia stato sepolto un sarcofago pieno di monete d’oro e gioielli da parte di antichi guerrieri datisi alla fuga dopo essere stai sconfitti in una delle tante invasioni avvenute in tempi lontani, truvatura che potrebbe essere portata alla luce recitando una particolare orazione alla mezzanotte di un venerdì diciassette.

Le prime notizie storiche che lo riguardano risalgono al  XVI secolo, mentre nel 1636,  Pietro Carrera da Militello (Ct),  nei  suoi libri Del Mongibello ne descrisse il tronco “maestoso” e disse che l’albero era “capace di ospitare nel suo interno trenta cavalli”.

Dal 1630 questo mitico castagno insieme ai terreni circostanti divenne di proprietà dell’illustre ed antica famiglia santalfiese dei Caltabiano, “Cavalieri della Reale Corona d’Italia” che la ricevettero in concessione dai Vescovi-Conti di Catania, per poi passare a pubblico demanio. Ammirato da molti viaggiatori del Grand Tour, tra essi  Jean  Houël, che fu in Sicilia tra il 1776 e il  1779, lo ritrasse e ne diede questa descrizione nel suo Voyage pittoresque des îsles de Sicile, de Malte et de Lipari: “La sua mole è tanto superiore a quella degli altri alberi, che mai si può esprimere la sensazione provata nel descriverlo. Mi feci inoltre, dai dotti del villaggio raccontare la storia di questo albero, si chiama dei cento cavalli in causa della vasta estensione della sua ombra. Mi dissero come la regina Giovanna recandosi dalla Spagna a Napoli, si fermasse in Sicilia e andasse a visitare l’Etna, accompagnata da tutta la nobiltà di Catania stando a cavallo con essa, come tutto il suo seguito. Essendo sopravvenuto un temporale, essa si rifugiò sotto quest’albero, il cui vasto fogliame bastò per riparare dalla pioggia questa regina e tutti i suoi cavalieri”.

La leggenda popolare, infatti, narra che una regina, con al seguito cento dame e cavalieri, fu sorpresa da un temporale, durante una battuta di caccia, nelle vicinanze dell’albero e proprio sotto i rami trovò riparo con tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò fino a sera, così la regina passò sotto le fronde del castagno una notte che per la bella e voluttuosa sovrana e per i suoi cortigiani, i cavalieri al suo seguito, fu notte “d’amore, lussuria e peccato”.

Non si sa bene quale possa essere la regina: secondo alcuni si tratterebbe di Giovanna d’Aragona,  secondo altri ancora  di Giovanna I d’Angiò, che divenne regina di Napoli nel 1343 e la cui storia verrà collegata all’insurrezione del Vespro, divenuta famosa per aver stipulato la pace di Catania del 1347 che pose fine alla seconda fase della sanguinosa guerra dei Novant’anni. Pare, però, che la regina Giovanna d’Angiò,  nota per una certa dissolutezza nelle relazioni amorose, non fu mai in Sicilia. Tuttavia, nelle diverse versioni che della leggenda ne danno gli abitanti del luogo, pare che potrebbe esserne protagonista anche l’imperatrice Isabella d’Inghilterra, terza moglie di Federico II, coi  suoi cento cavalieri.

Ma il maestoso castagno non ha bisogno di leggende, esso stesso è una leggenda e così lo canta in una composizione in dialetto il poeta catanese Giuseppe Borrello (1820-1894):

 

Un pedi di castagna tantu grossu
ca ccu li rami sò forma un paracqua
sutta di cui si riparò di l’acqua,
di fùrmini e saitti
la riggina Giuvanna ccu centu cavaleri,
quannu ppi visitari Mungibeddu
vinni surprisa di lu timpurali.
D’allura si chiamò st’àrvulu
 situatu ‘ntra ‘na valli
lu gran castagnu d’i centu cavalli.
Una pianta di castagno tanto grosso
che con i suoi rami forma un ombrello
sotto il quale si riparò dalla pioggia,
dai fulmini e dalle saette
la regina Giovanna con cento cavalieri,
quando per visitare Mongibello
venne sorpresa dal temporale.
Da allora si chiamò quest’albero
situato entro una valle
il gran castagno dei cento cavalli.

Sotto il profilo emozionale, la vista del castagno evoca Il Canto degli alberi di Hermann Hesse: “Per me gli alberi sono sempre stati i predicatori più persuasivi… Sono come uomini solitari… Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell’infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale un unico scopo: realizzare la legge che è insita in loro, portare alla perfezione la loro forma, rappresentare se stessi. Niente è più sacro e più esemplare di un albero bello e forte. Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi li sa ascoltare, conosce la verità. Essi non predicano dottrine e precetti, predicano, incuranti del singolo, la legge primigenia della vita”.

L’annoso castagno finisce per diventare l’Albero per antonomasia, l’Albero cosmico. Secondo le più antiche tradizioni dalla mitologia egizia, semitica, cretese, indiana, greca, latina, germanica, celtica, in passato, gli alberi venivano considerati la manifestazione più immediata e concreta della divinità: a essi gli uomini si rivolgevano per chiedere protezione e conforto, intorno alle piante fiorivano miti straordinari, a ciascuna specie, a ogni albero, venivano attribuite virtù e funzioni speciali.

Il filosofo, naturalista, psicanalista, poeta, maestro zen e monaco Jacques Brosse, scomparso nel 2008, che assume l’albero a soggetto di molte opere, nel suo straordinario libro Mitologia degli alberi, scrive: “Fin dall’origine il destino degli uomini fu associato a quello degli alberi con legami talmente stretti e forti che è lecito chiedersi che cosa ne sarà di un’umanità che li ha brutalmente spezzati”. Un’analisi che attraversa epoche e religioni diverse, per restituirci un quadro completo della simbologia e del ruolo degli alberi “dal giardino dell’Eden al legno della Croce”. Oggi, però, gli uomini sembrano aver dimenticato il ruolo fondamentale della natura nella propria esistenza, perciò Brosse conclude: “Nessuna situazione mi pare più tragica, più offensiva per il cuore e per l’intelligenza, di quella di un’umanità che coesiste con altre specie viventi con le quali non può comunicare”. Un tempo, invece, “la natura stessa aveva un significato che ognuno, nel suo intimo, percepiva. Avendolo perso, l’uomo oggi la distrugge e si condanna”. Forse per ricordare agli uomini il senso antico della natura, per impedire che la distruggano e si condannino, nel 1965 il castagno fu dichiarato monumento nazionale e dal 2008 è stato riconosciuto dall’Unesco come “Monumento messaggero di pace”.

Pagina Etnanatura: Castagno dei Cento Cavalli.

Foto di Silvio Sorcini.

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