Pantalica

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29-06-2016 18-10-35

«Arrivammo a Pantalica, l’antichissima Hybla, ci arrampicammo su per sentieri di capre, entrammo nelle tombe della necropoli, nelle grotte-abitazioni, nei santuari scavati nelle ripide pareti della roccia a picco sulle acque dell’Anapo. Il vecchio parlava sempre, mi raccontava la sua vita, la fanciullezza e la giovinezza passate in quel luogo. Mi diceva di erbe e di animali, dei serpenti dell’Anapo, e di un enorme serpente, la biddina, fantastico drago, che pochi hanno visto, che fàscina e ingoia uomini, asini, pecore, capre.»
(Vincenzo Consolo, Le pietre di Pantalica)


Pantalica, o meglio la Necropoli Rupestre di Pantalica, è una località naturalistico-archeologica della provincia di Siracusa. Il nome del sito sembra derivare dall’arabo Buntarigah, che significa grotte, per l’ovvia presenza di molteplici grotte naturali e artificiali. Costituisce uno dei più importanti luoghi protostorici siciliani, utile per comprendere il momento di passaggio dall’età del bronzo all’età del ferro nell’isola. Nel 2005 il sito è stato insignito, insieme con la città di Siracusa, del titolo di Patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO per l’alto profilo storico, archeologico, speleologico e paesaggistico. La località di Pantalica ha dato il nome a un celebre racconto di Vincenzo Consolo, Le pietre di Pantalica, in cui l’altopiano diventa una metafora del cammino dell’uomo. Il Sito si trova su un altopiano, circondato da canyon formati nel corso dei millenni da due fiumi, l’Anapo e il Calcinara, che hanno determinato l’orografia a canyon caratteristica della zona. L’altopiano così come le vallate sottostanti (definite Valle dell’Anapo) sono delle importanti zone naturalistiche. Nella zona di Giarranauti è presente un bosco. Vari sentieri permettono di visitare il sito. La Valle dell’Anapo è accessibile da due varchi collegati tra di loro, dal lato di Sortino e dal lato di Ferla, così come la cosiddetta Sella di Filiporto. L’area di Pantalica ricade nella Riserva naturale orientata Pantalica, Valle dell’Anapo e Torrente Cava Grande. Nella prima metà del XIII secolo a.C., tutti gli insediamenti costieri scomparvero quasi all’improvviso per l’arrivo in Sicilia dei Siculi e di altre popolazioni italiche; la popolazione indigena abbandonò la fascia costiera e cercò rifugio in impervie e disagevoli zone montane, scelte perché rispondenti ad esigenze di difesa, riunendosi in grossi agglomerati. Storicamente è noto che il re Hyblon (probabilmente il suo regno aveva sede a Pantalica) concesse ai megaresi, condotti da Lamis, di stanziarsi in un lembo del suo territorio e fondare Megara Iblea nel 728 a.C. Ma la successiva nascita ed espansione di Siracusa determinò la distruzione del regno, essendosi il regno di Siracusa espanso sino all’entroterra, con la fondazione di Akrai nel 664 a.C. Di questa epoca restano le vestigia del palazzo del Principe o Anaktoron, nonché la presenza di una vasta necropoli di ben 5000 tombe a grotticella artificiale, scavate nella roccia.
L’area della necropoli non sarà mai del tutto abitata in epoca greca; dovremo attendere i primi secoli del Medioevo cioè nel VI secolo d.C., quando le popolazioni stremate dalle incursioni dei barbari, dei pirati e poi degli arabi poi nel IX secolo, costringeranno le popolazioni a cercare rifugi sicuri in questi luoghi inaccessibili; si hanno così le testimonianze di epoca bizantina. Ancora oggi sono visibili i resti delle abitazioni scavate nella roccia in epoca bizantina ed i resti dei piccoli oratori rupestri della grotta del Crocifisso, di San Nicolicchio e di San Micidiario. Anche dopo l’occupazione araba e l’arrivo dei Normanni il sito era abitato, lo conferma il cronista Goffredo Malaterra che nel 1092 parla di una comunità araba nel sito di Pantargia, mentre dell’anno successivo è la bolla del papa Urbano II che oltre a citare la diocesi di Siracusa considera anche Pentargia.
Nel 1558 il Tommaso Fazello identificava (erroneamente) Pantalica con Erbesso. Ma il primo studioso ad occuparsi sistematicamente del sito fu l’archeologo Paolo Orsi che nel 1899, nel 1895 e nel 1897 compì ampie campagne di scavo per l’esplorazione del sito. Il risultato delle sue ricerche fu pubblicato nei Monumenti antichi dei Lincei del 1898.
« Tutto fu vinto dalla mia costanza, e dalla generosità dei nobili signori fratelli Nava di Siracusa, proprietari, il cui nome ricordo qui a titolo di onore e riconoscenza; una prima campagna, della durata di un mese, ebbe luogo nella primavera del 1895, seguita due anni appresso (giugno 1897) da una seconda più breve. Le balze di Pantalica vennero allora da me e dalle mie squadre percorsi in ogni senso e pazientemente esplorate; né una volta sola io i miei bravi operai chiamo la vita per aggiungere sepolcri che parevano inaccessibili.»
(Paolo Orsi)
Negli anni 50 del ‘900 fu Luigi Bernabò Brea a proseguire le campagne di scavo.
Pantalica è costellata di necropoli in tutto il suo vasto territorio:
la necropoli di Filiporto è composta da un migliaio di tombe che si estendono sulle pendici e nella conca dell’Anapo, appartenenti all’ultima fase della città (IX-VIII secolo a.C.);
la necropoli di Nord-Ovest, una delle più antiche della zona (XII-XI secolo a.C.);
la necropoli della Cavetta del IX-VIII secolo a.C. con la presenza di abitazioni bizantine;
la necropoli Nord è la più vasta e la più fitta e risale al XII-XI secolo a.C..
La ragione per cui restano tracce solo delle necropoli e non degli abitati è descritta da Orsi in questo passo:
«Del vastissimo abitato dell’età sicula non resta traccia, perché, come ormai è risaputo, i siculi dimoravano, salvo casi eccezionali di caverne adibite a ripari temporanei, in capanne circolari, ellittiche e più tardi quadre, di leggerissima costruzione, in legno, canne e paglia, erette sulle alture montane, nei cui fianchi si aprivano invece le necropoli. […] l’altipiano che da essa prende il nome fu, non v’è dubbio, coperto da centinaia di umili capanne di paglia e frasche, distribuite in gruppi pittoreschi, quartieri di quella preistorica città; di esse nessuna reliquia, perché fabbricate con materiale troppo facile alla distruzione e su di un terreno coperto da poca terra, inclinato, è dilavato dall’azione delle intemperie, che in breve trainò e cancellò ogni traccia.»
(Paolo Orsi )
L’acropoli di Pantalica si trova in uno dei punti più elevati dell’area in una posizione dove si domina la visione delle cave. Da quel punto era facilmente controllabile l’eventuale arrivo di nemici, qui fu costruito il “palazzo del principe” o Anaktoron, unica costruzione in pietra rimasta dell’epoca.
La successiva presenza di abitati di epoca bizantina è attestato da diversi gruppi di piccoli villaggi scavati nella roccia: S. Micidiario, nei pressi dell’ingresso di Filiporto è un villaggio di circa 150 abitazioni con la chiesetta di S. Micidiario sull’orlo di un baratro. All’interno sono ancora visibili deboli tracce di affreschi e iscrizioni murarie in pessime condizioni di leggibilità. Si riconosce però la figura del Pantocratore fiancheggiato da due angeli e un’altra figura, forse un San Mercurio a causa di una scritta in greco Ο ΑΓΙΟΧ ΜΕΡΚ [ΟΥΡΙΟΧ]. Gli strati di affresco degli interni sembrano due, quello inferiore rossastro e quello superiore turchino. Il soffitto ha un’interessante forma a doppio spiovente.
S. Nicolicchio, sul versante sud di Pantalica è un villaggio più piccolo il cui centro è l’oratorio di S. Nicolicchio, anch’esso decorato da tracce di affresco molto rovinato. Tuttavia si riconoscono Sant’Elena e Santo Stefano. La datazione sembra essere del VII secolo. Grotta del Crocifisso, usata come chiesa mostra un’abside rettangolare con resti di una crocifissione nonché la rappresentazione di San Nicola e Santa Barbara.
la Cavetta, con gruppi di abitazioni troglodite. Giarranauti è un ampio bosco nella parte superiore dell’altipiano di Pantalica. Questa zona oltre ad essere suggestiva per la presenza di un bosco è anche ricca di testimonianze del passato, soprattutto di Epoca Bizantina. Seguendo i sentieri all’interno del parco si trovano i resti di un villaggio bizantino (stiamo parlando del VI-VIII secolo d.C.), delle concerie e delle macine scavate nella roccia. Il sito di Pantalica presenta delle influenze culturali diffusesi in altre parti della Sicilia. Un primo esempio è quello di Sabucina, dove sono presenti delle capanne circolari di influenza pantalicana pressoché integre nella loro base. Sul sito di Pantalica invece i ritrovamenti sono scarsi, ciò costituisce un motivo di interesse per comprendere meglio Pantalica.
Di matrice pantalicana è la necropoli di Realmese, dove le tombe sono pressocché identiche a quelle di Pantalica.
Da Wikipedia

Foto di Santo Bella, Privitera Rosaria Saggio, Ivan Testa

Sito Etnanatura: Pantalica.

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