Descrizione |
L'undici Marzo del 1669 presso a Nicolosi ebbe inizio una fra le piú disastrose eruzioni dell'Etna che si ricordi. L'abate Vito Maria Amico cosí ricordava l'evento: "Aprissi la mattina da mezzogiorno a settentrione dal piano di S. Leone a Monte Frumento verso il supremo cratere profondissima fenditura larga cinque o sei piedi su cui apparse fulgido splendore. All'ora undicesima fra tremiti aprissi voragine di fuoco sotto la Nocilla lungo la fenditura, che proruppe in ceneri e sassi tuonando". Ancora piú terrificante é la descrizione che ne fa Giuseppe Recupero nella sua "Storia naturale e generale dell'Etna": "commoversi con grande violenza tutto il perimetro della montagna, saltare in aria dal cratere una prodigiosa colonna di nero fumo, e rovente materia, e profondarsi finalmente la sua cima con orridi rumoreggiamenti nel suo baratro. Cadde in primo luogo quella vetta che guardava verso Bronte, di poi l'altra rimpetto l'oriente ed ultimamente si rovesció quella posta in faccia al mezzogiorno". Ben presto la lava arrivó a Catania dove coprí il lago Anicito e il fiume Amenano e si riversó in mare per circa due chilometri. La lava coprí le abitazioni di 27.000 persone contribuendo allo spopolamento della cittá.
All'interno di uno dei cono dell'eruzione, nei Monti Rossi di Nicolosi, si formó una profonda frattura oggi indicata come grotta delle Palombe. Nel 1823, Mario Gemmellaro in compagnia dell'inglese John Marshall, si impegnó per primo in una pericolosa discesa nella grotta, spingendosi fino 120 m di profonditá sotto i Monti Rossi e lasciandovi alla fine una lapide ancora lí fissata e sulla quale si legge la seguente iscrizione: "Marius Gemmellarus primus ima haec in tartara venit".
Un pozzo profondo 8 m dá accesso ad una prima sala delle dimensioni di 5 m per 15. In fondo a questa sala si trova un pozzo profondo 3 m che conduce ad un cunicolo in forte pendenza lungo 15 m che termina in una sala piú piccola della precedente sovrastante un pozzo profondo 17 m. Dalla base di questo pozzo si segue la frattura eruttiva per circa 60 m in direzione sud. Questa é ben conservata in alcuni tratti e presenta sulle pareti un rivestimento uniforme di lava, formatosi durante l'eruzione. Altrove le pareti della frattura sono crollate ed il materiale che si trovava dietro di esse é franato all'interno della cavitá in caotici ammassi di grossi blocchi oppure in cumoli di pietrame minuto. In seguito a questi fenomeni la cavitá presenta diversi allargamenti. Si prosegue attraverso un passaggio situato a 6 m di altezza, raggiungibile con una scaletta che si puó fissare ad uno spuntone roccioso. Attraverso questa apertura si perviene ad un tratto della cavitá dove le pareti si presentano integre e distanti tra loro un paio di metri. Poco piú avanti si nota un crollo a carico della parete occidentale. Conseguenza del crollo é la formazione di una sala ad un livello superiore, per raggiungere occore risalire il fronte del materiale franato superando un salto di 6 m su blocchi instabili. Dalla sala si segue per 25 m un ripido pendio di materiale incoerente. Successivamente si puó seguire ancora per 75 m la frattura che si presenta nuovamente integra ed in graduale restringimento sino ad occludersi. Il pavimento é qui costituito da lava a superficie scoriacea frammentaria. Nel tratto terminale della grotta la frattura eruttiva é percorribile su due livelli diversi. in quello inferiore vi sono in alcuni punti degli accumuli di fine sabbia vulcanica; si possono inoltre osservare lamine di lava accartocciate con formazione di rotoli. Frequenti anche i punti dove lastroni distaccatisi dalla parete ingombrano il passaggio.
Le informazioni geologiche sono dovute al sito Mungibeddu.it. |