Descrizione |
"Ben presto dunque Aci Catena superò tutti gli altri quartieri per nobiltà d'istituto, ricchezza di edifizi, frequenza di popolo e copia d'uomini illustri.
La residenza degli uomini più colti che sedevano al governo della città, l'affluire del popolo, il quale naturalmente tende verso il centro in cui si agitano gli affari, dovevano per necessità darle il primo posto. L'ebbe poi addirittura con la residenza dei principi Reggio, che ne furono signori. D. Stefano Reggio principe di Campofranco e Campoflorido, che nella occasione della spaventevole eruzione dell'Etna nel 1669 fu mandato a Catania dal vicerè di Sicilia, come general vicario a fine di mantener l'ordine e procurare ogni possibile aiuto alla sventurata città, dopo di avere ammirevolmente disimpegnato l'alto ufficio, innamorato di queste belle contrade fermò di portare qui la sua residenza, e comprò per scudi 36.500 il dominio della città di S.Antonio e S.Filippo, che la R. Corte nel maggio del 1643 aveva venduto per 36.000 scudi al marchese D. Nicolò Diana di Cefalà, perché la città non aveva pagato gli scudi ventimila offerti per ottenere la separazione.
Al marchese D. Nicolò era successo il figlio D.Guglielmo Diana, il di cui dominio durò fino al 1672. I Diana Fabbricarono in Aci Catena il loro magnifico palazzo e contribuirono ad elevare a matrice la chiesa e a portare a luce la copiosa e cristallina sorgente dell'acqua nuova, che nel 1650 fu trovata da Andrea Cantarella del quartiere della Consolazione, e poscia cavata con lavori che durarono dal 1660 al 1667, diretti dal valentissimo idraulico catanese Giambattista Marchese.
Il principe di Campoflorido, nel febbraio 1672 ricevette il possesso del dominio da Biagio La Calce, delegato della R. Corte. Il conferimento del possesso fu fatto con tutta solennità, ed in quella occasione il principe pubblicò le leggi speciali che coveano reggere la città: esse furono sagge e prudenti, dettate da valente legislatore.
Lasciò ai cittadini la facoltà di eleggere i giurati, i giudici, gli offiziali tutti, riservandosi l'approvazione delle lroro decisioni; rigoroso, specie in quel che spettava all'amministrazione del pubblico censo, al buon andamento dell'annona, all'assestamento finanziario.
Mente sagace e nei maneggi di stato spertissimo, conobbe a prima giunta nella sua città mancare la concordia fra le molte frazioni che la formavano: e se non poté arrivare ad estirpare cotesto tarlo, gli si deve concedere a merito che prima d'ogni altra cosa lo conobbe, lo ebbe di mira e cercò di distruggerlo.
Nel quartiere della Catena innalzò un magnifico palazzo per la sua residenza. Nel 1678 al principe D. Stefano successe il figlio D. Luigi I, uomo di alte cariche, pio e liberale e che proponevasi di aggiustare le pendenze tra i rivali quartieri. Egli ebbe molti figliuoli, fra i quali D. Antonio, deputato del regno e maestro nazionale di cappa e spada, mons. D. Andrea, che fu vescovo di catania e patriarca di Costantinopoli, D.Gioacchino il quale tolse in isposa Isabella Gioeni e fu erede dei beni di questa famiglia, e Stefano II, che tenne poi il dominio della città."
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"Oggi chi entra in quel Palazzo, che per antonomasia si dice del principe, non vede che lunghissime fughe di androni, di sale, di salotti, deserti, anneriti, ridotti all'estremo squallore. Le volte avvallate, muffite, le imposte sconnesse e scardinate, affumicate le pareti, coperto di larga polvere il pavimento, cangiate in fienili le sale, in orti gli stanzoni, i salotti principeschi in nidi di pipistrelli e di gufi. Chi v'entra sente, direi, un sacro orrore, una specie di paura, e forse poche cose sanno meglio di quel luogo parlare al cuore umano, dell'inane potenza dei grandi, del dominio della morte e della infinita vanità delle mondane cose."
Dalle "Memorie Storiche del Comune di Acicatena" di monsignor Salvatore Bella. |