Descrizione |
«In onore di S. Rosalia, vergine palermitana, che aveva fatto cessare la peste del 1624, auspice la famiglia Terlato, fu costruita verso il 1701 nel fondo valle, vicino al corso del fiume Ippari, una chiesetta. Partendo dalla porta sussidiaria Ipparina si giungeva ai campi di verdure, irrigati dai canali laterali dell'Ippari, e molti fiori e ricchi doni erano recati a S. Rosalia in occasione delle periodiche pesti che affliggevano la popolazione. Trascurata perchè troppo eccentrica, la chiesetta di S. Rosalia cominció ad andare in rovina fino a diroccare completamente a causa dei terremoti. Mentre fino ad un ventennio fa (1930) esistevano ancora dei muri, oggi, a ricordare il posto esiste soltanto un tabernacolo». Cosí scriveva Giovanni Barone nel 1950, parlando della chiesetta di Santa Rosalia, di cui ancor oggi esistono ruderi intagliati nella roccia. Le fonti di Barone furono Paternó (1877) e La China (1890). Per Paternó, come era avvenuto a Palermo, anche a Vittoria si era invocata la Vergine Palermitana in occasione delle ricorrenti pesti (1624, 1636 e 1672). Per la qual cosa «nei tempi posteriori si edificó una Chiesa prossima alla riva destra del fiume Ipparí» in onore della Santa. La data del 1701 fu ripresa da La China, secondo il quale inoltre -come abbiamo giá visto- Santa Rosalia sarebbe stata la prima patrona della cittá, mentre San Giovanni lo sarebbe diventato solo dopo il 1693, per cui la Santa sarebbe stata definita “compatrona” nel 1734. Riassumendo il culto di Santa Rosalia sarebbe stato diffuso a Vittoria dopo il 1624 e si sarebbe radicato dopo le pesti del 1636 e del 1672; la chiesa sarebbe stata costruita nel 1701; l'omaggio alla Santuzza sarebbe consistito in «molti fiori e ricchi doni», portati nella chiesa del fondovalle dai Vittoriesi. Questa la tradizione. Ma spesso i fatti smentiscono le tradizioni. Innanzi tutto quella della data di fondazione. Giuseppe La Barbera scrive infatti:
«La chiesetta esisteva giá nel 1669 fuori le mura della cittá e fu lodata dal vescovo di Siracusa, monsignor Giovanni Antonio Capobianco, durante la sua visita pastorale. Essa aveva un prospetto molto semplice ad unico corpo con al centro il portale d'ingresso con stipiti lisci, architrave aggettante e piccole mensole e al di sopra una nicchia quadrata anch'essa con stipiti lisci. A destra della nicchia, sulla stessa linea, se ne apriva un'altra con arco a tutto sesto. L'interno della chiesa era ad unica navata che non doveva superare i sette metri di lunghezza e i quattro di larghezza; nella stessa roccia, che in parte fungeva da muro perimetrale, era ricavata una nicchia con arco a sesto acuto all'esterno e lobato all'interno, che esiste tuttora…». Ció significa che i Terlato nel 1701 si limitarono a rinnovarne la facciata o forse a riparare i danni inferti dal tempo e dai terremoti alla chiesa antica, giá certamente esistente prima del 1631. Oggi sappiamo che il culto di Santa Rosalia fu imposto dalle autoritá dell'epoca e a Vittoria si affermó molto lentamente. Vittoria infatti non fu coinvolta nell'epidemia di peste del 1624-1626, se dobbiamo credere ai registri parrocchiali che complessivamente nel triennio attestano una mortalitá annua media nella norma, pari a 70 defunti. Furono invece senza dubbio afflitti da elevata mortalitá gli anni 1633-1636, 1646-1648 (in media 170 morti l'anno), 1670-1674 (361 in media l'anno): forse peste, carestia e di nuovo peste. Ció senza dubbio rafforzó il culto della Santa, per il quale giá nel bilancio del 1638 troviamo stanziate 4 onze. Ma che si trattasse di una festa imposta dall'alto é provato anche dalla scarsa propensione dei fedeli a chiamare Rosalia le loro figlie. Le prime Rosalia nascono nel corso degli anni Trenta del Seicento e si possono contare sulle dita, rispetto alle centinaia di Giovanni/a e Antonino/a, che attestano una grande devozione verso i rispettivi Santi. La proclamazione di Santa Rosalia come liberatrice dalla peste e patrona di Palermo, fatta nella solenne seduta del Parlamento del Regno di Sicilia nel luglio 1627, si concilia con la diffusione del culto durante gli anni Trenta anche a Vittoria e con lo stanziamento di 4 onze nel bilancio del 1638 per la festa di Santa Rosalia. Si concilia con le notizie riportate da La Barbera di una chiesa giá ben ornata nel 1669 e con una strada giá aperta che portava appunto alla contrada Santa Rosalia (da un documento del 1687 in mio possesso). Ma non si concilia con il contenuto di un documento pubblicato da Zarino e tratto dall'Archivio di Stato di Ragusa, risalente al 1631 e relativo alla costruzione del terzo mulino. Il contenuto del documento é inoppugnabile: esso attesta l'esistenza di una ecclesia antiqua di Santa Rosalia nel fondovalle, nei pressi di un canale (“roggi”) per l'irrigazione. A questo punto si crea un mistero: come poteva esistere una «chiesa antica di Santa Rosolea» se il suo culto sappiamo essere stato diffuso dopo il luglio 1627? In veritá il culto di Santa Rosalia era diffuso in Sicilia anche prima del presunto rinvenimento delle sue spoglie durante la pestilenza e giá nel corso del Cinquecento se ne erano cercati i resti sul Monte Pellegrino. Nella valle del fiume di Cammarana il culto potè arrivare per pietá di coltivatori del luogo o di viandanti, che nel loro cammino da Comiso a Cammarana dovettero utilizzare qualche residuo di chiesa rupestre (non per niente la zona é anche chiamata delle “timpe”), ritenendolo adatto al culto di Santa Rosalia, che aveva condotto vita eremitica (lo stesso forse avvenne a Ragusa, con la “ricostruzione” nel 1648 di una chiesa rurale di Santa Rosalia). Ma questa é una supposizione. Nessuna donazione risulta essere stata fatta alla chiesa, in cui peró nel gennaio 1678 fu sepolto un uomo deceduto nei pressi. Mentre la chiesa rurale a poco a poco decadeva (forse anche perchè si usava una nuova strada per andare a Scoglitti, lungo il ciglio della valle, attraverso le contrade Gerbe e Resinè), il culto di Santa Rosalia fu mantenuto all'interno della chiesa madre, nella cappella omonima fondata dalla famiglia Panascia, dotata di un'antica statua dorata e adornata di corona d'argento nel 1887 (La Barbera).
Fonte Vittoria cultura. |