Castello Mankarru

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Sito Etnanatura: Castello Mankarru.

IL primitivo castello è costituito dal tipico dongione normanno di provenienza anglo-franco-normanna e questo tipo di struttura è molto diffusa sotto i regni di: Ruggero I di Sicilia, Ruggero II di Sicilia, Guglielmo I di Sicilia detto il Malo, Guglielmo II di Sicilia detto il Buono, Tancredi di Sicilia, Ruggero III di Sicilia, Guglielmo III di Sicilia fino all’avvicendarsi della dinastia degli Svevi con Costanza d’Altavilla sposa di Enrico VI di Svevia. Sebbene ubicato relativamente lontano da cave di pietre e materiali lavici, con riferimento alle ricchissime colate laviche delle falde dell’Etna o estratte e importate dalle prospicienti Isole Eolie, il Castello presenta l’utilizzo di conci di lava per scopi decorativi e altro materiale di natura vulcanica con funzioni strutturali.

Peculiarità che lo accomunano a costruzioni di matrice bizantino – araba, cube e metochi del circondario, l’utilizzo di conci di pietra lavica denominatore comune alle rifiniture esterne delle absidi del Duomo di Palermo e del Duomo di Monreale. Tra gli esempi: il vano absidale della primitiva “Cappella Palatina”, i conci alternati dello spigolo settentrionale del Santuario, le cornici superiori delle monofore del prospetto, il contorno dell’oculo cieco in cui è inserito l’orologio. Peculiarità stilistiche poste in essere anche in interventi successivi e cronologicamente più recenti. I primi interventi di trasformazione del maniero in “dimora regia” sono attuati da Federico II di Svevia, il sovrano trascorre lunghi soggiorni dedicati alla caccia, suo svago preferito, sui monti ricchi di selvaggina. Lontano dalle ingerenze dei vescovi delle vicine Diocesi di Patti, Lipari e Messina, nella “sua” Prelatura, ove può preparare quella che è definita “la crociata maledetta”, seguita da lì a poco dalla sesta crociata, condotta in prima persona dall’Imperatore, quest’ultima esperita in via diplomatica contro il sultano Al-Malik al-Kamil. 1206, Gregorio Mostaccio primo prelato, Cappellano Maggiore del Regno, rappresentante del distretto luciese al Parlamento siciliano, fidato consigliere personale e di corte. Per volontà dell’Imperatore, il territorio luciese è staccato dalla Diocesi di Patti, il cui rappresentante risponde direttamente al Papa costituendo, di fatto, la più antica “Prelatura Nullius”. L’Imperatore Federico II di Svevia “Stupor Mundi” è pronipote del Gran Conte Ruggero. Grazie a intrighi di palazzo, pur variando la Casata, è assicurata la naturale discendenza del ceppo normanno degli Altavilla infatti, è figlio di Costanza d’Altavilla (a sua volta figlia di Ruggero II di Sicilia) accasata con Enrico VI di Hohenstaufen Imperatore del Sacro Romano Impero. A Santa Lucia del Mela come alla corte di Palermo, sono incentivati lo sviluppo e la diffusione dell’Arte che, nella fattispecie, sfociano nel movimento culturale filosofico – letterario universalmente noto come Scuola siciliana. La tradizione popolare narra che nella prigione, ubicata nel vano inferiore della torre cilindrica,[1] scoperto nel 1967 durante l’esecuzione di lavori di restauro, accusato di tradimento, abbia trascorso una lunga detenzione Pier della Vigna, protonotaro e magistrato dell’Imperatore: “imperialis aule prothonotarius et regni Siciliae logotheta”.[2] L’ingiusta condanna cantata da Dante Alighieri è parimenti supportata dalla considerazione e dalla stima del popolo luciese, come attesta una via del centro storico espressamente a lui dedicata. 1248, Santa Lucia del Mela è censita come casale. 1249, È menzionato il “palatium”[1] come dimora per le lunghe battute di caccia, gli ozi, i sollazzi e diletti dell’Imperatore, lontano dalla convulsa, vorticosa e intrigata vita di corte palermitana nel Palazzo dei Normanni, alla stessa stregua del Castello di Milazzo, del Castello di Castroreale e del Castello di Montalbano Elicona. La particolare predilezione del sovrano per il sito, comporta l’attribuzione della definizione di città come “Urbe Fidelissima e Deliziosa”. Durante il regno federiciano è avviato un censimento dei castelli e con il decreto “Statutum de reparatione castrorum” (1231 – 1240), il quale prevede la loro ristrutturazione e manutenzione a carico dei cittadini. Il castello non è inserito nel Castra exempta redatto per volontà dell’Imperatore Federico II di Svevia con la collaborazione di Pier della Vigna stilato nel 1239. In esso non compaiono i palazzi e le residenze di caccia e svago, le “domus solaciorum”, di pertinenza comunque regia e soprattutto alcuni siti molto noti, spesso sotto il controllo della Curia, che all’epoca non erano ancora stati costruiti o ultimati. Accorpati gli undici Giustizierati del Regno in sole cinque circoscrizioni più ampie. Nello specifico: “Sicilie citra flumen Salsum et totius Calabrie usque ad portam Roseti”. Durante le incursioni angioine il Castello luciese è in parte distrutto. Pace di Caltabellotta del 1302. Dopo la breve ma, convulsa parentesi angioina, la Corona del Regno di Sicilia torna nuovamente a seguire la discendenza dinastica dei Re di Sicilia nella persona di Federico III d’Aragona pronipote di Federico II di Svevia ovvero figlio di Costanza II di Sicilia, nipote di Manfredi di Sicilia a sua volta figlio naturale dell’Imperatore Federico II di Svevia. Il bisnonno Federico II di Svevia getta le basi del grandioso palazzo, il pronipote Federico III di Sicilia lo ristruttura e lo amplia, proprio come avviene per il Castello di Montalbano Elicona. Sotto il regno di Pietro II di Sicilia figlio di Federico III d’Aragona riprendono gli attacchi degli Angioini con l’obiettivo di impadronirsi dell’isola. Dopo un prolungato assedio e con la morte di Re Pietro II di Sicilia, Santa Lucia e il suo Castello, cadono nelle mani degli Angioini. 1330, Il Castello e la Città sono noti come “Castrum Maccaruni” assegnati a Giovanni Manna ed eredi. 1335, La proprietà della dimora è affidata a Francesco Palizzi. 1340c., La proprietà della dimora è affidata a Matteo Palizzi per tornare nuovamente di proprietà della Corona d’Aragona. 1346, Il vicario Giovanni di Randazzo utilizza il castello come edificio logistico per le sue truppe durante il tentativo di riconquista di Milazzo. Nel 1346, il Duca Giovanni d’Aragona fratello di Re Pietro II di Sicilia riesce a strappare la città dal giogo angioino. Due anni dopo, nell’aprile del 1348 con la morte del Duca, il Castello di Santa Lucia si ritrova al centro di eventi cruenti e sanguinosi. 1356, La città di Santa Lucia del Mela è censita come “castrum et terra”. 1366, La Sicilia è liberata definitivamente dalla minaccia degli Angioini. Nel 1535 nei giorni prossimi il 19, 20 e 21 ottobre, già annoverato come ospite a Messina presso il monastero di San Placido Calonerò dell’Ordine benedettino, reduce dalla conquista di Tunisi, vittoria contro i turchi, è ricevuto trionfalmente Carlo V d’Asburgo. La presenza dell’Imperatore è documentata presso il convento della chiesa del Sacro Cuore, il seguito del corteo regio presso il Castello. L’evento s’inquadra durante la prelatura di Girolamo Zafarana, benedettino messinese, abate di Santa Lucia del Mela nonché abate del monastero basiliano di San Salvatore di Placa per concessione di Clemente Majo. Lo Zafarana esercitò tutte le prerogative del suo ufficio di Cappellano Maggiore, celebrando la Santa Messa alla presenza dell’imperatore e benedicendo la mensa. 1539, Città e Castello subiscono l’attacco delle truppe spagnole ammutinate. I contingenti lasciati a custodia de La Goletta dopo la Presa di Tunisi, si ribellarono per questioni di mancati pagamenti. Gran parte delle guarnigioni abbandonarono il presidio e navigarono alla volta della vicina Sicilia.[3] A titolo preventivo, per motivi di sicurezza furono confinati sull’isola di Lipari, ma contravvenendo alle disposizioni impartite dal viceré di Sicilia Ferrante I Gonzaga, gli ammutinati sbarcarono a Messina per essere immediatamente respinti. Dopo disordini provocati a Castania e Faro si inpossessarono e depredarono la città di Monforte, per poi commettere ulteriori razzie a Castroreale, che a dispetto delle ingenti perdite, non sortirono l’effetto sperato per l’inclemenza del tempo. Col tentativo di mediazione svoltosi a Milazzo e dopo il giuramento convenuto col patto siglato a Linguaglossa, nonostante i pagamenti effettuati a saldo dei compensi pattuiti, il viceré chiamò in rassegna con pretesti vari i capi dei sediziosi, facendoli strangolare rispettivamente a Messina, Militello, Vizzini, Lentini e altre località. 1544, Similmente a Milazzo le armate della poderosa flotta turca – ottomana sotto il comando di Khayr al-Din Barbarossa minacciano la città. 1558, Il documentatore, storico, viaggiatore Tommaso Fazello annovera nei suoi scritti il Castel di Santa Lucia localizzato a tre miglia dal monastero basiliano di Santa Maria la Gala e a sei miglia dal Castello di Milazzo.[4] 1575, Funesto attacco di peste [5] scoppiato nell’isola nella primavera, miete in Santa Lucia innumerevoli vittime, evento considerato il più terribile per il presidio militare del Castello. 
Testo Wikipedia

Foto di Rosangela Russo.

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