Casalvecchio

Share Button

26-07-2014 10-03-54Abbarbicato a metà costa sul monte Sant’Elia a 370 metri s.l.m. seguendo l’orografia del terreno il paese ha caratteristiche prettamente medioevali con un susseguirsi ed incrociarsi di viuzze che si dipanano spesso in sottopassi tipici dell’architettura medievale spagnola ed araba, anche se delle vecchie dimore poco o nulla rimane fagogitate da un’edilizia accattona. Casalvecchio è molto antico: già esisteva in epoca bizantina essendo citato in una scrittura aragonese del 1351 con la sua denominazione greca Palachorion cioè vecchio casale e successivamente con la traduzione latina di Rus Vetus. Nel periodo della dominazione araba della Sicilia prese il nome di Calathabieth. Nel 1862, dopo l’Unità d’Italia, prese il nome definitivo di Casalvecchio Siculo. In epoca saracena godeva di una propria autonomia che perse nel 1139 con la fondazione in epoca normanna di Savoca. Artefice ne fu il re Ruggero II di Sicilia, che facendo costruire un castello in quel luogo, assoggettò tutti i casali circostanti (i Sarracinorum Pagi) e li riunì sotto la nuova denominazione di Baronia di Savoca. Fino al 1492, a Casalvecchio, era presente un’importante e laboriosa comunità ebraica: se le origini della presenza ebraica nel territorio casalvetino non sono ben chiare, esistono tuttavia preziosi documenti, risalenti al 1409 ed al 1470, dai quali si evince che tra Savoca e Casalvecchio dimoravano circa 250/300 ebrei.

Fontana_acqua_ruggia_26-07-2014 10-21-56

Fontana dell’acqua Ruggia

Iniziamo la nostra passeggiata per le strette vie del paese dalla zona in alto dove ritroviamo la fontana dell’acqua Ruggia, così chiamata perché la leggenda narra che vi si fermò a bere il conte Ruggero. L’acqua sgorga da due mascheroni scolpiti in pietra locale. Vi sono annessi un caratteristico lavatoio coperto e un antico abbeveratoio per animali.

 

Annunziata_26-07-2014 10-19-09

Chiesa dell’Annunziata

Scendendo per la via Santissima Annunziata incontriamo l’omonima chiesa dell’Annunziata. Originaria del Cinquecento ma di stile barocco, è ricca di pregiati stucchi seicenteschi. Vi si può ammirare una tela dl secolo XVII ed una scultura lignea della Madonna con angelo annunziante eseguita a Napoli nel 1742 da Francesco Di Nardo scultore napoletano attivo fra il 1710 e il 1758 e autore di alcuni dei primi presepi napoletani.

Sant_Onofrio_26-07-2014 10-09-02

Sant’Onofrio

Via sant’Onofrio taglia in due il paese e presenta la chiesa madre di Sant’Onofrio il cui culto (come si evince dalla lettura di un suo diploma rilasciato nel 1117) risale ai tempi di Ruggero II. La chiesa attuale risale al secolo XVII e fu ubicata trasversalmente rispetto alla precedente. La facciata è in stile barocco in pietra locale; il pavimento originale barocco è formato da marmi di vario colore e provenienza; di notevole pregio è il soffitto in legno a cassettoni. All’interno si conservano tele antiche, in particolare quella di Gaspare Camarda del 1622, e vari altari in marmo del Seicento e del Settecento. Vi si trova una statua lignea del Cinquecento raffigurante Sant’Onofrio a mezzo busto. Una seconda statua di Sant’Onofrio è conservata nel vicino museo parrocchiale: essa è tutta in argento, ad altezza d’uomo. Fu realizzata nel 1745 dall’orafo messinese Giuseppe Aricò a spese e per volere del popolo casalvetino come ringraziamento per essere stato risparmiato dall’epidemia di peste che nel 1743 si era propagata nella provincia messinese provocando circa 40.000 vittime.

Piazza Vecchia

Piazza Vecchia

Scendiamo per le strette vie per ritrovare il cuore medioevale del paese: piazza Vecchia dove si svolgevano tutte le attività artigiane e commerciali del tempo con la presenza delle varie botteghe di falegnameria, alimentari, osterie, depositi per il baco da seta, ecc. In seguito la piazzetta è stata vandalizzata con la distruzione degli archi (conservati fino agli anni settanta). Attualmente si può ammirare un portale di notevole fattura in pietra arenaria.

San_Teodoro_26-07-2014 10-37-05

Chiesa di san Teodoro

 

Riprendiamo il cammino per ritrovare la chiesa di san Teodoro martire. Stefano Bottari la fa risalire al Cinquecento e vi si conservano tele del pittore ed umanista secentista casalvetino Antonino Cannavò. Molto interessanti i ruderi dall’annesso convento degli Agostiniani Scalzi.

 

Fontana_vecchia_26-07-2014 10-40-54

Fontana Vecchia

 

In basso, ai confini del paese, incontriamo la Fontana Vecchia  con l’acqua che sgorga dalla bocca di un mascherone scolpito in pietra locale. Il plesso include un abbeveratoio per animali e un lavatoio antico.

 

 

20-07-2013 11-15-47Ma dobbiamo uscire dal paese e scendere nel canalone del torrente Agrò per ritrovare un gioiello unico per fascino, bellezza e storia: la chiesa dei santi Pietro e Paolo (vedi), forse una delle più belle chiese della Sicilia orientale. La chiesa originaria risaliva presumibilmente all’incirca al 560 Fu in seguito completamente distrutta dagli arabi e quindi ricostruita nel 1117. Tale data è certa in quanto è stata dedotta da un “Atto di Donazione” di Ruggero II, datato 1116 scritto in lingua greca , conservato nel Codice Vaticano 8201, e tradotto in latino da Costantino Lascaris nel 1478. Da tale Atto di donazione si deduce che il conte Ruggero II in viaggio da Messina a Palermo fa una sosta in scala S. Alexii e cioè al castello di Sant’Alessio Siculo. In tale circostanza viene avvicinato dal monaco basiliano Gerasimo, il quale chiede al sovrano la facoltà e le risorse per riedificare (erigendi et readificandi) il monastero sito in fluvio Agrilea. La richiesta venne prontamente accolta e il monaco Gerasimo di San Pietro e Paolo si adoperò immediatamente a far erigere il tempio. Dal diploma di donazione si evince inoltre che il monastero fu dotato di alcuni redditi fissi: estesi campi di querce, di pascoli, alberi da frutto. Gli fu addirittura concessa la completa proprietà di un intero villaggio il Vicum Agrillae (l’attuale Forza d’Agrò) con assoluto potere da parte dei monaci su ogni oggetto o abitante di tale villaggio. In particolare era obbligo agli abitanti di detto villaggio di portare “due galline al monastero nelle feste di Natale e di Pasqua nonché la decima sulle capre e sui porci”. Si disponeva che il monastero fosse fornito ogni anno di otto barili di tonnina della tonnara di Oliveri e che ogni merce diretta al monastero fosse libera da ogni gravame di tasse. Era inoltre concesso all’Abate del Monastero il diritto del foro e cioè quello “di giudicare e di condannare, e la potestà sopra di quelli che, colti in delitti, potevano essere legati e flagellati e rimanere con i ceppi ai piedi, riservando la pena per l’omicidio alla Curia Regale”. Per tali pene l’Abbazia pagava la locazione del carcere sito in Casalvecchio ( “carcerem in Casali Veteri”) Con tali poteri si equiparava quindi la figura dell’Abate del Monastero dei Ss Pietro e Paolo a quello di un barone normanno del tempo. La chiesa molto probabilmente subì dei gravi danni nel 1169 a causa del fortissimo terremoto che quell’anno squassò tutta la Sicilia orientale. Fu quindi ristrutturata e rinnovata nel 1172 dall’architetto (capomastro) Gherardo il Franco come si può dedurre dall’iscrizione in greco antico posta sull’architrave della porta d’ingresso: “Fu rinnovato questo tempio dei SS. Apostoli Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina, a sue spese. Possa Iddio ricordarlo. Nell’anno 6680. Il capomastro Gherardo il Franco”. L’anno 6680 corrisponde nella cronologia greco- bizantina appunto al 1172 in quanto gli anni si computavano dall’origine del mondo che, per i greco-bizantini, risaliva a 5508 anni prima della venuta di Cristo. Da quel restauro la chiesa non subì altre modifiche ed è giunta a noi praticamente intatta, al contrario del circostante Monastero di cui rimangono solo pochi resti e qualche edificio recentemente oggetto di un lavoro di restauro Oltre ai due Abati su citati Gerasimo e Teostericto, si conoscono i nomi di altri 26 Abati che si sono succeduti nel corso dei secoli, fra i quali l’Abate Fra Simone Blundo, palermitano e il successore un certo Abate Fra Bessarione, greco, nel 1449 che ha diritto di voto nel parlamento siciliano e che fu nominato Cardinale da Nicolò V. L’ultimo Abate Nicolò Judice, fu nominato Cardinale da Benedetto XIII l’11 giugno 1725). Il Monastero della vallata di Agrò fu un centro notevole di vita spirituale, sociale ed economica. Prospetto della chiesa dei SS. Pietro e Paolo L’ampio territorio che controllava era molto ricco di varie colture e allevamenti ed era dotato di vari mulini per la produzione di farine e derivati. Abbondava la produzione di vino e olio. Di tali ricchezze prodotte dal Monastero ne beneficiava anche il paese di Casalvecchio Siculo (“Casale Vetus”) che viveva gravitando intorno alle attività del monastero stesso. Nel corso dei vari secoli il Monastero dei SS Pietro e Paolo d’Agrò e la chiesa di S. Onofrio di Casalvecchio svolsero il ministero pastorale in unità d’intenti con la “Gran Corte Archimandritale di Messina” la quale concedeva all’Abate del “venerabile Monastero dell’Abatia dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, su richiesta della Matrice dell’Università di Casalvecchio sotto il titolo di S. Onofrio, di poter condurre processionalmente la Reliquia di detto S. Onofrio…in una delle due processioni….” ( Liber actorum, 1705, Archivio della “Gran Corte Archimandritale di Messina”). Dai registri del 1328 si apprende della presenza di sette monaci e di dieci nel 1336. Dopo secoli di permanenza nel monastero i frati furono costretti a richiedere il trasferimento ad altra sede. Infatti in quel luogo l’aria era diventata insalubre e quasi irrespirabile a causa dell’acqua imputridita del Agrò proveniente dalle coltivazioni di lino che lungo in fiume era massicciamente ed intensamente coltivato. La richiesta di trasferimento fu accolta dall’Archimandrita di Messina e dal re Ferdinando IV e la sede Abbaziale del Monastero dei SS Pietro e Paolo fu trasferita a Messina nel 1794. In seguito la chiesa venne praticamente abbandonata e per molti anni servì addirittura da deposito per attrezzature contadine. Tale stato di totale abbandono ed incuria durò fino agli anni ‘60 del secolo scorso, visitata solamente da studiosi dell’architettura medievale sia italiani che stranieri. Solo negli anni ‘60 fu ripulita , fu oggetto di varie campagne di restauro conservativo, riaperta al culto, e alle visite turistiche. È stata oggetto di vari studi da parte di vari critici e storici dell’arte fra i quali Stefano Bottari, Pietro Lojacono, E.H Freshfield, Antonio Salinas, Ernesto Basile, Enrico Calandra. Descrizione architettonica Ha l’aspetto di una chiesa fortificata con il classico orientamento della parte absidale ad est. Il suo aspetto ed il coronamento di merli indicano senza dubbio la funzione di fortezza che ha dovuto sostenere nei vari secoli. Ha caratteristiche molto simili a quelle che si possono riscontrare nelle grandi cattedrali coeve di Cefalù e Monreale. Architettonicamente si può certamente definire come una sintesi dello stile bizantino, arabo e normanno. un sincretismo culturale che ha prodotto un’opera architettonica che a detta di alcuni studiosi potrebbe rappresentare il primo esempio di protogotico, più propriamente un esempio lampante di elementi architettonici diversi uniti in un’unica struttura, che al suo interno contengono e assemblano gli elementi principali e quindi lo stile artistico-costruttivo del normanno e dell’arabo. Tali elementi fusi assieme creano le linee guida del protogotico. Stile bizantino la decorazione delle facciate con strette lesene terminanti con archeggiature incrociate struttura a mattoni con ornati a spina-pesce e a zig-zag e anche nella decorazione della facciata con strette lesene terminanti con archeggiature incrociate; la particolare policromia delle membrature architettoniche; la sagoma dei pulvini insistenti su capitelli a paniere; la croce di tipo bizantino incisa nella lunetta sulla porta d’ingresso. Stile Arabo le caratteristiche archeggiature sovrapposte che sorreggono la cupola minore del presbiterio; tale cupola si sviluppa con un tamburo ottagonale con otto finestre; la forma terminale curva delle merlature ed il sesto rialzato degli archi; la forma delle cupole e il terminale chiaramente di stile arabo delle stesse; Stile Normanno la planimetria a tre navate con l’ingresso fiancheggiato da due torri molto simile alle grandi cattedrali normanne di Cefalù e Monreale; il portico posto fra le due torri dell’ingresso. Indubbiamente l’aspetto che colpisce di più ad una prima osservazione è la spettacolare policromia delle facciate resa possibile dal sapiente alternarsi di mattoni in cotto, pietre laviche (di provenienza etnea), pietra serena locale. Lo stesso Prof. Stefano Bottari così la descrive: “La bizzarra policromia, ottenuta per mezzo del mattone, delle lava e della pietra bianca, adoperati per la costruzione ed intrecciati armoniosamente, acquista allo snello edificio una fisionomia veramente suggestiva e pittoresca….”. L’interno è caratterizzato da una assoluta austerità. Non è presente alcuna decorazione o affresco e i muri sono completamente spogli : si può ammirare solamente il gioco dei mattoni e delle pietre di costruzione. Non sappiamo se in origine fossero presenti decorazioni o altro però è difficile pensare che nel corso dei secoli non fossero stati presenti degli affreschi.


Visualizza Casalvecchio in una mappa di dimensioni maggiori
Info tratte da Wikipedia.

Siti Etnanatura:

Casalvecchio.

Chiesa dei santi Pietro e Paolo.

Share Button