Architettura megalitica in Sicilia: la Gurfa e l’Argimusco

Share Button

di Marinella Fiume

 Verrà il giorno in cui raccoglierai pietre e stelle…

Le Pietre e le Stelle sono capaci di palpitare, di piangere e di ridere, di parlare e di raccontare, dobbiamo solo entrarci in sintonia, saperle ascoltare.

Le ascoltano i bambini, gli scrittori, i poeti, i sognatori, i folli, i saggi, ma anche gli scienziati. Questi ultimi sono gli archeoastronomi, studiosi di una scienza legata a civiltà preistoriche, a luoghi lontani e ataviche conoscenze, molte delle quali ancora da svelare e decifrare.

La scienza delle stelle e delle pietre studia gli allineamenti astronomici degli antichi edifici nel loro contesto storico e archeologico ed è una scienza tanto affascinante quanto misteriosa, materia ermetica nella quale convergono astronomia, archeologia, antropologia e altre discipline.

Perché in antico, e qui parliamo di preistoria, non c’era differenza tra magia e scienza. Così può accadere che essa possa incontrare l’arte, la poesia, la letteratura, la filosofia, lo spirito, insomma. Ed è meraviglioso che finalmente ci si possa incontrare! Perché l’arte, ieri come oggi, è creazione, capacità di catturare luci e ombre e di guidare verso la luce,  è manifestazione del sacro. È volontà di scoprire, disseppellire, cogliere, conservare, suscitare Bellezza, che sempre è riflesso del Divino. 

Anche in archeoastronomia la parola magica è ierofanìa, quella parola coniata dallo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade, che significa manifestazione del sacro attraverso la luce. «Per designare l’atto attraverso il quale il sacro si manifesta – egli scrive – abbiamo proposto il termine “ierofania”. È un termine appropriato, perché non implica null’altro che quello che dice; non esprime nulla di più di quanto implichi il suo significato etimologico, e cioè che qualcosa di sacro si mostra a noi». (Mircea Eliade, Religione, in Enciclopedia del Novecento, Istituto enciclopedico italiano, 1982). Il sacro non comporta necessariamente epifania di un dio, ma quello che l’uomo avverte o può avvertire come tale, a qualsiasi religione senta di appartenere.

Oggi, solo gli astronomi e i poeti guardano le stelle, rese sempre meno visibili nelle nostre città dall’inquinamento luminoso. Un tempo, però, non era così, perché nell’antichità l’osservazione del cielo era fondamentale per decidere le stagioni della caccia, della semina, del raccolto ed era legata anche a un complesso apparato simbolico relativo alla religione, alla politica, alla cadenza delle feste, dei culti e delle celebrazioni.

Da qui il rapporto tra architettura, paesaggio e conoscenze matematico-astronomiche delle più antiche culture.

Spesso, nel mondo antico, si costruiva l’edificio templare tenendo in considerazione gli allineamenti astronomici, in modo che in alcuni giorni dell’anno il Sole manifestasse la sacralità del sito attraverso particolari giochi di luci ed ombre. Così i manufatti, le forme prodotte dall’uomo già dalle epoche storiche più antiche – come il grande tempio edificato da Ramses II ed il tempio minore dedicato ad Hathor e Nefertari ad Abu Simbel, in Egitto,  oppure il celebre Stonehenge, nella Piana di Salisbury, nella contea dello Wiltshire, in Inghilterra, patrimonio mondiale dell’umanità – diventano strumenti di questa manifestazione.

Il sacro denota una realtà completamente diversa rispetto a quella nella quale ci muoviamo quotidianamente, “altra” rispetto a quella comunemente intesa come del “nostro mondo”, il mondo profano, la quale si manifesta nella realtà ordinariamente da tutti percepita.

Anche la Sicilia ha i suoi fascinosi megaliti e i suoi dolmen o tombe megalitiche preistoriche  a camera singola, costituiti da due o più piedritti verticali che sorreggono uno o più lastroni orizzontali, la cui realizzazione viene collocata nell’arco temporale che va dalla fine del V millennio alla fine del III millennio a.C. o poco più. E per questo io ho introdotto nel mio libro (Marinella Fiume, Sicilia esoterica, Roma, New Compton, 2013) la nozione di “Sicilia esoterica”,  cercando di guidare idealmente i viaggiatori in un viaggio iniziatico in luoghi come questi.

La magia che circonda questi luoghi è avvalorata dalle numerose leggende che i popoli hanno costruito intorno ad essi; secondo una credenza popolare bretone, ad esempio, i dolmen si aprirebbero la notte di Natale, rivelando i tesori di cui essi sono i custodi. Si dice anche che i dolmen abbiano il potere di captare e restituire i flussi energetici provenienti dalle onde legate ai campi magnetici sprigionatisi dai flussi idrici ipogei.

L’architettura megalitica contempla monumenti sepolcrali, dolmen semplici o composti, menhir, allineamenti e cromlech, tutti con una valenza archeoastronomica. Scopriamo così che il rapporto con il cielo che ci sovrasta ha condizionato per millenni il modo di costruire, dettando canoni legati a un universo esoterico, fitto di simboli che spesso non riusciamo più a decifrare.

Un esempio siciliano sono le Grotte della Gurfa che sorgono nella Sicilia occidentale, nella Valle del Torto, in territorio di Alia, un piccolo comune della provincia di Palermo. Esse sono un esempio di architettura rupestre che non sfrutta esistenti cavità naturali e sono composte da sei ambienti scavati in una rupe di arenaria rossa. Scavate dall´uomo in epoca preistorica in una collina di arenaria, formano un ambiente a tholos, il più grande di tutto il Mediterraneo, superiore perfino a quello ben più famoso di Atreo a Micene. È  una struttura complessa formata da diverse camere, la principale delle quali è illuminata dall’alto da un foro. Se compariamo alle suggestioni dei luoghi la descrizione che Diodoro Siculo fa della tomba, potrebbe essere stata questa la tomba di Minosse, il mitico re di Creta che pregò Poseidone di inviargli un toro per il sacrificio agli dei, ma, una volta esaudito, non sacrificò l’animale, poiché gli parve oltremodo bello. Allora Poseidone, adirato, fece innamorare del toro Pasifae, la moglie di Minosse. Da questa unione nacque il Minotauro. Secondo il mito, Minosse fu ucciso in una vasca da bagno in Sicilia mentre era ospite nella rocca del re sicano Cocalo. Il racconto fu ripreso da Diodoro Siculo, che nella sua Bibliotheca historica attingeva a fonti più antiche, secondo il quale la sua leggendaria tomba si troverebbe al di sotto di un tempio di Afrodite, e Terone di Akragas avrebbe occupato quest’area sacra con il proposito di vendicare l’uccisione del re cretese.

Ma potrebbe anche trattarsi – come a me sembra più probabile – di un tempio alla Grande Madre, quella di cui lungamente cercò i segni e le testimonianze l’archeologa lituana Marija Gimbutas (Vilnius, 1921 – Los Angeles, 1994), studiosa delle culture del neolitico e dell’età del bronzo dell’ “Europa Antica”, una nozione da lei introdotta in campo scientifico. Anzi, di un tempio alle Dee di una civiltà tutta loro, detronizzate dal Pantheon all’arrivo degli Indoeuropei, popoli guerrieri che, col Patriarcato, portavano la guerra e la proprietà privata… un mondo maschile che arriva fino ai nostri tristissimi giorni. Entrarvi e uscirvi è come essere concepiti e generati, perciò la grotta è un grande utero di pietra e farne esperienza val bene una attenta visita.

E poi, ancora in Sicilia, le leggendarie Rocche dell’Argimusco, queste misteriose formazioni rocciose, situate nei pressi del borgo messinese di Montalbano Elicona e della Riserva naturale del bosco di Malabotta, al centro del territorio abacenino, dove i Peloritani lasciano spazio ai  Nebrodi.

La Terra all’Argimusco è un pianoro dove si svolgevano riti ancestrali alla Madre, dove la terra si unisce al cielo formando il paesaggio sacro per eccellenza, e che può essere considerato un osservatorio astronomico naturale.

E così la Sicilia, crocevia di popoli, cerniera tra Oriente ed Occidente, straordinario catasto magico di tradizioni provenienti da civiltà diverse, sembra possedere anche un sito molto importante di età megalitica, che da molti è stato già definito la “Stonehenge siciliana”. Chiamate anche le “pietre dei giganti”, vi fu chi ne attribuì l’origine al mitico popolo dei Giganti, uomini di alta statura menzionati in molte fonti antiche. In molte tradizioni indoeuropee e nella mitologia greca, i Giganti sono creature associate all’origine stessa del cosmo e rappresentano il caos primordiale a cui gli dèi si oppongono; figli di Urano e Gea, ovvero del cielo e della terra, alcuni giganti, per esempio Encelado, erano sepolti nelle profondità della terra per avere osato sfidare gli dèi e i terremoti erano interpretati come sussulti di queste creature sepolte. In alcune zone della Grecia, ancora oggi chiamano un terremoto Το χτύπημα του Εγκέλαδου, un “colpo di Encelado”. In molte regioni d’Europa, la mitopoietica tradizione popolare fa riferimento a giganti per spiegare fenomeni naturali, come i terremoti, o le grandi costruzioni di civiltà antiche come i dolmen e i menhir. Tucidide, e con lui i principali autori greci e latini, identificarono il loro paese nella Sicilia e fenomeni naturali, come quelli eruttivi e sismici, propri dei crateri vulcanici, furono visti come l’effetto delle attività tipiche di questi esseri giganteschi. Anche la Genesi cita espressamente la presenza di giganti sulla terra agli albori del mondo e riporta il famoso combattimento fra Davide e il gigante Golia.

Ma in Sicilia la figura del Ciclope, il gigante mostruoso con l’unico grande occhio rotondo in mezzo alla fronte, violento e bestiale, divoratore di carne umana, di cui parla Omero, fu personificata in Polifemo, figura in cui il mito greco proietta lo stesso spaventoso Vulcano dall’enorme bocca incandescente. Non ne avevano paura, però, gli etnicoli che da sempre lo identificavano nella Grande Madre, e lo chiamavano semplicemente “a Muntagna”, impetuosa e generosa a un tempo, che tutto toglie e tutto dà ai suoi figli, seminatrice di lutti e frutti, venerabile Madre Mediterranea.

Infine  c’è persino chi si spinge a dire che i megaliti non sarebbero preistorici né simbologie di riti sessuali per la fecondità, ma simboli alchemici, templari, catari e stellari, portatori anch’essi di una millenaria tradizione.

Perché “ci sono più cose in cielo e in terra, di quante ne sogni la tua filosofia”, scrive William Shakespeare nell’Amleto, ponendo di fronte alla finitezza del pensare umano l’infinito di ciò che si può indagare e scoprire attraverso i sensi ed oltre essi.

Come i poeti, gli archeoastronomi, che cercano di localizzare i punti chiave dai quali l’uomo antico osservava i solstizi e gli equinozi determinando gli allineamenti utili al riguardo, sono un po’ sognatori e guardano alle pietre e alle stelle con in testa le parole del libanese Khalil Gibran (Bsharre, 1883 – New York, 1931), che così scrive nel suo Il giardino del Profeta (Khalil Gibran, Il Giardino del Profeta – The Garden of the Prophet,Testo inglese a fronte, Piccola Enciclopedia – Studio Editoriale (SE), Milano,1986, p. 55): “E un giorno, mentre Fardros il greco passeggiava nel Giardino, il suo piede inciampò in una pietra ed egli s’adirò. E si volse a raccogliere la pietra, dicendo a bassa voce: “O cosa morta sul mio cammino!”, e gettò via la pietra. E Almustafà, l’eletto e l’amato, disse: Perché dici: “O cosa morta”? Sei stato così a lungo in questo Giardino e non sai che qui non c’è niente di morto? Ogni cosa vive e risplende nella conoscenza del giorno e nella maestà della notte. Tu e la pietra siete una cosa sola. C’è differenza solo nei battiti del cuore. Il tuo cuore batte un po’ più forte, non è vero, amico mio? Ma, ahimè, non è così tranquillo. Può darsi che il suo ritmo sia un altro ritmo, ma io ti dico che se sondi le profondità della tua anima e scali le altitudini dello spazio, non udrai che un’unica melodia, e in quella melodia cantano la pietra e la stella, l’una con l’altra in perpetuo unisono. Se le mie parole non raggiungono il tuo intendimento, allora lascia che si levi un’altra aurora. Se hai imprecato contro questa pietra perché nella tua cecità vi sei inciampato, così malediresti una stella se la tua testa fosse tanto alta da incontrarla nel cielo. Ma verrà il giorno in cui raccoglierai pietre e stelle come un bambino raccoglie i gigli della valle, e allora comprenderai che tutte queste cose sono piene di vita e di fragranza”.

Perciò, artisti e archeoastronomi sono figli delle stelle…  cercatori e raccoglitori di stelle e pietre, si aggirano sotto il firmamento tra sogni di pietre, megaliti, dolmen, castelli – in piedi o diruti – borghi siciliani, in cerca di truvatùre e tesori nascosti,  ne cercano l’anima, il punto alchemico in cui la terra e il cielo si congiungono, in cui l’erebo notturno si sposa col sole, il ctonio degli inferi col divino astrale.

Marinella Fiume

Su Etnanatura: Argimusco.

Share Button