Grotta di Monte Dolce

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10-02-2013 13-52-37di Enzo Crimi

L’Etna è stato definito un fantastico laboratorio della natura dove si intrecciano storie umane, miti leggende, dove la vita delle sue creature animali e vegetali segue il suo percorso di naturale straordinarietà pari solo a se stessa. Su tutto questo territorio, sino ad oggi sono state …censite almeno 220 grotte di origine vulcanica. Sin dall’alba del mondo sappiamo che le grotte hanno sempre rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica e recente dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni. Forme di paure ancestrali dell’immaginario collettivo, rappresentate da demoni e spiriti maligni, abitanti delle viscere della terra, si sono intrecciate con le fantasiose storie leggendarie di maghi, divinità, esseri demoniaci, briganti e tesori nascosti (truvature), i quali sono stati i veri soggetti di fantastiche vicende. La grotta di Monte Dolce in territorio di Castiglione di Sicilia, si trovava propriamente ad est del cono vulcanico millenario spento. Il piccolo passaggio di accesso era posto al livello del terreno e scivolava al suo interno, dove attraverso un’intricato sistema di cunicoli, secondo un’antica leggenda, oltrepassando sotterraneamente l’alveo del fiume Alcantara e i monti Peloritani, pare portasse direttamente sotto il mare, sino all’isola di Vulcano che, quindi, doveva considerarsi collegata con l’Etna. Ovviamente chi ha fatto tale insolito percorso non è potuto ritornare indietro per raccontarlo quindi non vi sono testimonianze dirette e pertanto il lettore dovrà accontentarsi di quanto narrato con un pizzico di fantasia dagli antichi scrittori quali il grande Virgilio, il Petrarca, Dante ed ultimo, Antonio Filoteo degli Omodei che attraverso il suo libro ”Aetnae Topographia”, scritto nel 1557, ci mette al corrente della sua escursione all’interno della grotta : “… In essa entrai insieme con altri amici, tutti ugualmente curiosi di conoscere i segreti della natura. Tenendo alla bocca della spelonca ben legata e guardata una fune, che ci trascinammo in lunghezza dietro le nostre spalle, camminammo oltre trecento passi per i luoghi oscuri e gli anfratti scoscesi di quella caverna, portando il lume chiuso dentro le lanterne e maggiori fiaccole accese. Alla fine, vinti dal freddo e dal gelo pungente, sebbene fossimo quasi al solstizio d’estate, ma anche da terribile paura, senza avere trovato il termine della caverna, aggomitolando di nuovo la fune, ripercorremmo il cammino fatto e tornammo alla luce, a rivedere il volto del sole, senza avere portato a termine l’impresa”.

Enzo Crimi

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