Naxos

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22-07-2015 09-43-29La lunga penisola che si conclude col Capo Schisò è stata abitata in modo pressoché continuo dal neolitico fino all’arrivo, secondo la tradizione nel 734 a.C., dei coloni greci. Infatti sono state rinvenute capanne della media età del bronzo (Cultura di Thapsos) e materiali pertinenti alla fase dell’età del ferro detta di Cassibile (X-IX secolo a.C.): le fonti affermano che all’arrivo dei Greci il sito della colonia di Naxos era già occupata da indigeni che certamente popolavano, se non proprio Capo Schisò, le alture intorno alla punta (secondo Diodoro), noto poi come il massiccio del Tauro, da cui avrebbe preso il nome Tauromenion (Taormina). Naxos è la prima colonia greca ad essere fondata in Sicilia nel 735 a.C. Nel 495 a.C., il tiranno di Gela Ippocrate voleva la città ma non riesce a conquistarla. Naxos è alleata di Atene nella guerra contro Siracusa. Nel 403 a.C. il tiranno di Siracusa Dionisio I distrugge la città per punirla dell’alleanza con Atene. Gli abitanti vengono venduti come schiavi e le rovine della città vengono cedute ai Siculi. Dopo questo evento Naxos rimane un porto commerciale, ma perde il rango di polis (città-stato). La popolazione si trasferisce sul Monte Tauro e fonda la città di Tauromenium l’attuale Taormina. “Primi fra i Greci i Calcidesi venuti per mare dall’Eubea fondarono Nasso ed innalzarono un altare ad Apollo Archegetes…” (Tucidide, La guerra del Peloponneso , libro VI, 3,1).

22-07-2015 10-19-30I racconti sulla composizione etnica dei coloni che fondarono la più antica città greca di Sicilia sono molteplici e non tutti concordanti. Secondo Tucidide, i coloni erano Calcidesi; secondo Ellanico Calcidesi e Nassi; secondo Eforo e lo pseudo-Scimno Calcidesi, Ioni e Dori, che in seguito a controversie si sarebbero separati, andando i Calcidesi a fondare Naxos, i Megaresi Megara Iblea e i Dori Capo Zefirio, in Calabria. Vi è comunque consenso sulla priorità e importanza dell’elemento calcidese, ma la presenza di Ioni di Naxos sembra assicurata dal nome stesso dato alla colonia. L’ecista sarebbe stato Teocle, verosimilmente calcidese e fondatore della calcidese Leontinoi, anche se Eforo lo considera ateniese (origine forse da attribuire alla propaganda imperialistica periclea). I coloni avrebbero preso terra su di una spiaggia, dove eressero un altare ad Apollo ‘Archegetes’, il dio di Delo venerato anche in Eubea, protettore dell’impresa coloniale e oggetto di culto ancora nel V secolo a.C. da parte dei ‘théoroi’, gli ambasciatori sacri che dalla colonia si recavano in madrepatria per rinnovare i rapporti religiosi tradizionali. Nel 729 a.C. un gruppo di coloni fondò Katane (l’attuale Catania) e Leontinoi (l’odierna Lentini). La città si sviluppò ed assunse importanza tanto da attirare l’attenzione delle altre colonie greche che si erano via via costituite in Sicilia. Nasso avrebbe fondato (secondo Strabone, Stefano di Bisanzio, Scimno e Silio Italico) la sottocolonia di Kallipolis (un nome attribuito all’isola greca di Naxos, secondo Plinio il Vecchio), d’incerta localizzazione (forse l’odierna Giarre o l’odierna Francavilla di Sicilia). Nel 495 a.C. Kallipolis fu distrutta dal tiranno di Gela Ippocrate (secondo Erodoto). Ippocrate quindi assediò Naxos, ma non riuscì ad espugnarla. Nel 476 a.C. fu conquistata e distrutta da Ierone di Syrakousai e gli abitanti concentrati con quelli di Katane e Leontinoi (secondo Diodoro). Dieci anni dopo, con la caduta dei Dinomenidi, i Nasii fecero ritorno all’antica loro sede, nella città ricostruita nel frattempo da Ierone forse con coloni locresi (come dimostra il santuario di Francavilla nell’entroterra di Naxos, frequentato in quest’epoca e oggetto di culto, con ‘pinakes’ di tipo locrese), secondo un piano urbanistico messo in luce dagli scavi. Alleata di Atene durante la guerra del Peloponneso all’epoca sia della prima spedizione ateniese nel 427 a.C.-424 a.C. (secondo Tucidide) che della seconda impresa del 415 a.C.-413 a.C. (secondo Tucidide e Diodoro), la città fu conquistata da Dionigi di Siracusa nel 403 a.C. in seguito al tradimento di un cittadino di Naxos, Polieno, forse lo stesso che conia le monete del tardo V secolo a.C. (secondo Diodoro e Polieno). Naxos fu completamente rasa al suolo e gli abitanti venduti come schiavi. I pochi abitanti che riuscirono a sottrarsi dalla vendita come schiavi tornarono tuttavia sul posto, ricostruirono gli edifici e iniziarono a battere moneta con il nome di Neapolis. Nel 358 a.C. Andromaco, padre dello storico Timeo, riunì questi superstiti nell’antico centro di Tauromenium (secondo Diodoro) che continuò nella monetazione la tradizione della colonia calcidese (secondo Plinio). La memoria dell’antico centro, tuttavia, non andò del tutto perduta: nel 36 a.C., le flotte di Sesto Pompeo e Ottaviano si scontrarono nelle acque circostanti e abbiamo riferimenti sia nell’antica statua del culto di Apollo, di piccole dimensioni, sia del culto di Afrodite (Appiano), mentre l’‘Itinerarium Antonini’ menziona una ‘mansio’, un posto di cambio di cavalli, col nome di Naxos. La prima colonia greca di Sicilia durò poco più di trecento anni. A causa di questa situazione, più unica che rara, gli scavi archeologici hanno consentito di conoscere con precisione l’urbanistica delle città arcaiche greche. Il sito archeologico della antica Naxos insiste sulla penisola di Schisò su una superficie di circa 37 ettari. L’insenatura esistente fra Capo Taormina e Capo Schisò forma la baia di Naxos.

22-07-2015 09-50-14Questa insenatura costituiva un riparo naturale per le piccole e fragili navi di allora. Le campagne di scavo hanno consentito di conoscere la struttura urbanistica della città arcaica. Essa si sviluppò, nella sua fase iniziale, principalmente sulla costa e su di una estensione di circa 12-13 ettari. Nel corso degli anni la città si allargò verso l’entroterra e furono realizzate delle mura che la difendessero da attacchi via terra. Nelle mura, realizzate in pietra lavica grezza, esistevano quattro porte per consentire la comunicazione con l’esterno. Lo spessore delle mura alla base era di circa 5 metri. Dentro la città esistevano laboratori artigianali, abitazioni, edifici pubblici e per il culto. Le strade principali erano più larghe ed orientate secondo la direttrice nord-sud per favorire il trasporto delle merci dal porto verso l’entroterra. La città si estende sulla modica elevazione di terreno lavico di circa 700×550 m che termina con il Capo Schisò, coprendo una superficie di 40 ettari guarnita a nord-est da un’ampia baia, porto naturale di Naxos, e a sud-est, e a sud-est da una lunga spiaggia, nella quale sboccano il torrente Santa Venera presso le mura e, più oltre, ad ovest, il fiume ‘Akesines’ (o Assinos), l’attuale Alcantara.

 

Santuario arcaico. (1)

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Nella moderna (e brutta! n.d.r.) piazza Apollo Archegeta, non lontano dall’antico abitato di Naxos, sono visibili i resti di un grande santuario extraurbano: la lettura delle strutture non è facile in quanto i resti sono poco conservati ed il sito antico, per la vicinanza del Torrente Santa Venera, ha subito diverse alluvioni che hanno modificato di non poco l’antica morfologia del terreno. Le indagini archeologiche hanno evidenziato alcuni sacelli (edifici di carattere religioso molto semplici a pianta rettangolare senza colonnato esterno) e due lunghissimi muri di recinzione. Da questa area proviene un cippo di marmo, databile al VII secolo a. C., con incisa unadedica alla terribile dea Enyò. Nella mitologia greca la dea Enyò, spirito maligno che possedeva gli umani, era conosciuta con il soprannome di “Devastatrice delle città”; veniva indicata come la compagna di Ares, il dio greco della guerra, ed era raffigurata armata di tutto punto e coperta di sangue. In questa area notevole è la quantità e la varietà di terrecotte architettoniche ritrovate: queste lastre dipinte rivestivano il bordo ligneo dei tetti dei templi ed avevano il duplice scopo di proteggere e decorare la struttura. Questi rivestimenti fittili, vivacemente decorati, rappresentano una delle produzioni più significative di Naxos e sono esposte al Museo Archeologico.

Torrente santa Venera.

22-07-2015 08-52-01Costeggia a destra le mura dell’area archeologica e si segnala per una passeggiata al fresco degli alberi che lo attorniano.

Torre Vignazza (vedi). (2)

22-07-2015 08-14-05Nel 1544, in seguito alle incursioni del corsaro Kheir-ed-Din Barbarossa, a capo Schisò furono costruite alcune strutture militari: la torre del castello di Schisò, un basso fortino ora inglobato nel Museo Archeologico e un punto di osservazione in località Vignazza. La torre Vignazza, una costruzione quadrangolare a 3 elevazioni fuori terra, controllava il tratto di costa a sud del porto di Schisò ed era in collegamento visivo con il castello di San Marco a Calatabiano, grazie a due garitte che si trovavano nelle contrade Jannuzzo e Recanati. Nel corso del XVI secolo i pirati provenienti da Tripoli, Tunisi e Algeri con piccole imbarcazioni veloci assalivano e saccheggiavano i villaggi costieri; per contrastare queste incursioni furono costruite delle torri lungo tutta la costa della Sicilia che non permettevano di affrontare il nemico a viso aperto ma erano dei punti di avvistamento. Il guardiano del torrione, quando un vascello sospetto si avvicinava alla costa, sparava un colpo di avviso per intimare all’imbarcazione di accostare e farsi riconoscere. Se questa si allontanava ignorando l’ordine, dalla torre si inviavano subito segnali di fumo o di fuoco alle torri vicine fino a che quando la richiesta d’aiuto veniva raccolto dalla più vicina guarnigione, o dal porto più vicino, che poteva così intervenire per contrastare l’incursione dei pirati. Contemporaneamente dalle torri costiere in allarme messaggeri a cavallo avvisavano del pericolo gli abitanti delle case isolate e i villaggi dei pescatori. Le scorrerie dei corsari nel Mar Mediterraneo cessarono definitivamente solamente nel 1830 quando Algeri venne conquistata dai francesi.

Neoria (vedi). (3)

22-07-2015 08-05-24Gli arsenali navali (o neorie) dell’antichità, a lungo trascurati, sono di recente oggetto di ricerca. Edifici di carattere pubblico con chiara funzione militare, essi rappresentano un’evidenza topografica specifica e inconfondibile per l’identificazione di porti, o di loro settori adibiti ad accogliere le flotte militari. Si diffondono con apparente maggiore frequenza nel Mediterraneo Orientale dal VI secolo a.C. e, oltre ai menzionati dati topografici, essi sono utili indicatori sia delle risorse economiche, sia, almeno per il periodo più antico, delle risorse demografiche della città cui appartengono. Le fonti letterarie antiche ne accrediterebbero il loro carattere rappresentativo ben utilizzato da talune città, quali Atene o Rodi, come diretta esemplificazione della potenza militare. Il complesso dell’arsenale navale o neorion/neoria del V secolo a.C. rappresenta la scoperta più importante dell’ultimo decennio di ricerca a Naxos. Al suo interno trovavano ricovero le triremi, le più famose navi da guerra dell’antichità. L’area portuale contenente i neoria si estende a nord del centro urbano nella baia protetta da Capo Schisò. L’edificio occupa le estreme pendici orientali della collina di Larunchi, acropoli della città, si allinea con il muro di fondo con il tracciato dello stenopos 6, da cui si distacca 150 m. Con certezza il complesso ricade all’interno delle fortificazioni, ed è fiancheggiato a sud dallo spazio dell’agora situato sulla terrazza sovrastante. La scoperta di ostraka all’interno dei neoria possono esserne una conferma. Il complesso è largo 28 m per una lunghezza ricostruibile di 40/42 m, avendo le moderne costruzioni fronte mare obliterato la terminazione delle rampe. Tali dati forniscono importanti informazioni di carattere geologico sulla posizione dell’antica linea di costa, arretrata rispetto all’attuale di 160 m, e sul livello del mare, più alto di circa 2 m. Il complesso è formato da quattro corsie parallele e discendenti che, separate da larghi muri in tecnica poligonale, comunicano tra loro attraverso varchi. Il numero delle corsie è considerevolmente ristretto, ma forse appropriato alla flotta di una città di dimensioni medio -piccole, che non fu mai una potenza navale. Accanto all’aspetto militare, l’informazione è importante per l’antica demografia della città, essendo nel V secolo a.C. i rematori della flotta cittadini liberi. Le corsie sono di larghezza diversa (5.42 e 5.24 m rispettivamente le corsie 1 e 2; 5.64 e 5.74 m le corsie 3 e 4) e presentano una peculiarità al momento unica nel panorama dei neoria del Mediterraneo: il centro di ciascuna corsia è occupato da un rampa di sabbia che, trattenuta da muretti di pietre, conteneva la chiglia della nave. Il muro di arresto delle rampe 1 e 2 è rettilineo, quello delle rampe 3 e 4 arrotondato per assecondare lo slancio di poppa. Le rampe di sabbia sono fiancheggiate da camminamenti lastricati che favorivano il movimento dei marinai addetti alla custodia e alla piccola manutenzione delle navi. Tracce di pigmenti rosso (ematite) e blu, ritrovati soprattutto nelle corsie 3 e 4, documentano lavori di dipintura dello scafo. Gli scavi hanno accertato due fasi costruttive, risalenti alla fine del VI secolo a.C./inizi V secolo a.C. l’una, post-460 a.C. l’altra, coincidente quest’ultima con il ritorno degli esuli e il ripristino della democrazia. Alle due fasi corrispondono due sistemi di copertura diversi: il più antico di tipo siciliano con antefisse che mostrano l’inconsueta alternanza di gorgoneia e maschere sileniche; il più tardo di tipo misto con coprigiunti pentagonali di tipo corinzio, ma con coppi maestri semicircolari. La scoperta nella parte alta della corsia 2 di un seppellimento della prima metà del IV secolo a.C. indica l’avvenuto abbandono del complesso, probabilmente distrutto da Dionisio I di Siracusa (403 a.C.). Su di esso nell’avanzato II secolo d.C. si sovrappone l’abitato della mansio, o stazione per cambio di cavalli, che nell’Itinerarium Antonini è riportata con il nome di Naxion.

Museo archeologico (vedi). (4)

22-07-2015 10-22-44Il museo sorge presso il Capo Schisò e l’attuale porto di Giardini Naxos, ai margini dell’area archeologica dell’antica città di Naxos, alla quale, si accede anche dagli spazi limitrofi al museo, grazie all’apertura di un percorso di visita, che, ricalcando in parte il tracciato di un importante asse stradale del V sec. a. C., conduce sino al versante occidentale delle mura. La sede museale si articola in tre corpi di fabbrica due dei quali destinati all’esposizione. L’edificio “A” realizzato negli anni ’70 quando venne istituito il museo, e l’edificio “B”, torrione del fortino borbonico di cui restano larghi tratti di mura. Il Museo illustra la storia della colonia greca di Naxos, prendendo al contempo in esame le evidenze preistoriche, attestanti l’ininterrotta continuità di vita nel sito, dal neolitico sino all’arrivo dei Greci nonché testimonianze dal territorio (Cocolonazzo di Mola, grotta Monaci, Fiumedenisi, Malvagna). Naxos fu fondata nel 734 a.C. dai Calcidesi, salpati dall’isola greca di Eubea sotto la guida di Teocle. La città, nata sulla rotta che le navi euboiche seguivano per raggiungere Ischia e da lì commerciare con gli Etruschi, fu il fulcro dell’espansione calcidese in Sicilia dalla quale lo stesso Teocle si mosse per fondare Leontinoi e Katane. La storia della città, segnata dalla rivalità con la potente Siracusa, fu breve e si concluse nell’arco di poco più di tre secoli, quando fu distrutta nel 403 a.C. da Dionigi di Siracusa. Le collezioni sono costituite in massima parte da reperti provenienti dagli scavi che, condotti a partire dal 1953, sono ancora in corso nel sito dell’antica colonia. Un ristretto gruppo di materiali rinvenuti tra la fine dell ‘800 e gli inizi del nostro secolo proviene dai Musei Archeologici di Palermo e Siracusa e, molto di recente, anche dal Museo dell’Università di Heidelberg grazie alla cessione di un frammento di arula con sfingi affrontate, che, acquistato nel 1902 a Taormina da F. von Duhn, risulta perfettamente riconnettibile ad uno del Museo di Naxos. I numerosi manufatti ceramici documentano le diverse fasi di vita della città, i suoi rapporti commerciali, la sua cultura materiale. Le terrecotte figurate, quelle architettoniche, le antefisse a maschera silenica testimoniano il fiorire già agli inizi del VI secolo a.C. di una architettura monumentale di carattere sacro nonché l’attività vivace di officine coroplastiche (che realizzavano oggetti in terracotta). Manufatti diversi, infine, documentano il sopravvivere sino ad epoca bizantina di nuclei abitati attorno alla baia. Sono esposti anche oggetti rinvenuti nel territorio come lo splendido elmo bronzeo di età ellenistica da Moio, nella Valle dell’Alcantara. Una sezione del Museo è dedicata ai ritrovamenti subacquei con esposizione di numerosi ceppi d’ancora e di talune anfore da trasporto. L’ordinamento segue un criterio cronologico. Piano terra – Il periodo preistorico – Reperti rinvenuti tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900 – La fase più antica dello stanziamento coloniale: materiali ceramici tardo-geometrici di produzione corinzia e di produzione euboico-cicladica e di imitazione; corredi rinvenuti nella necropoli settentrionale; anfore da trasporto arcaiche, di fabbriche diverse, tutte riutilizzate come sepolture Piano 1 – Monete del V sec a.C. dal quartiere settentrionale della città – Le aree sacre della città: rivestimenti architettonici ed antefisse a maschera silenica – L’abitato arcaico e classico, le necropoli del V sec. a.C. e quelle ellenistiche (III sec. a.C.) Torrione del Fortino Borbonico – Reperti da recuperi subacquei (ceppi d’ancora, macine, anfore).

Parco Archeologico (vedi).

22-07-2015 09-43-29Dell’insediamento dei primi tempi della colonia, esteso soprattutto nell’area nord del’abitato classico, si conosce solo una casa di 4×4 m del tipo quadrato, ben attestato a Megara Hyblaea ma anche a Siracusa, con banchina sul lato di fondo per la suppellettile, scoperta al centro della penisola di Schisò sotto la ‘plateia’ A del V secolo a.C. Dell’età arcaica, fino alla distruzione del 476 a.C., sono stati individuati alcuni tracciati stradali e abitazioni in tecnica poligonale, il ‘temenos’ all’estremità sud-ovest, nonché vari sacelli nell’abitato e fuori: tra questi vanno ricordati quello sulla riva destra di Santa Venera, ricco di terrecotte architettoniche (notevoli i resti di un colossale ‘gorgoneion’ frontonale arcaico), con tutta probabilità da identificare col santuario di Apollo ‘Archegetes’ (alla luce di un passo di Appiano e della verosimiglianza che la foce del fiume sia stato il luogo dell’approdo dei primi coloni), e il tempio C, al centro della penisola di Schisò, un ‘oikos’ con ante di 2,20×6,90 m, conservato nel primo filare di blocchi e con probabile soprastrutture a mattoni crudi. Soprattutto notevoli sono le mura della fine del VI secolo a.C., che seguono il corso del Santa Venera ad ovest e la linea costiera a sud, ad est e a nord-est; il tratto più incerto è a nord-ovest, dove l’urbanizzazione moderna ha guastato notevolmente l’aspetto originario del terreno. Sono note tre porte sul lato ovest, due su quello sud ed una su quello nord-est; inoltre, presso una delle porte occidentali, vi è una torre. La necropoli arcaica è sconosciuta, tranne due tombe a tegoloni della fine del VI secolo a nord-est della città. Dopo la distruzione del 476 a.C., la città fu ricostruita da Ierone stesso, o dagli esuli al loro rientro nel 466 a.C., secondo un piano regolare basato su tre ‘plateiai’, di cui quella centrale, la ‘plateia’ A, ha dimensioni maggiori (m 9,50) delle altre due, e su di una serie di strade ortogonali, costantemente di 5 m, tranne la sesta ad ovest di misure più grandi (6,50 m). Ne risulta un impianto con isolati orientati nord-est/sud-ovest di 175×39 m, ad eccezione di quelli la cui normale lunghezza è stata impedita da irregolarità del terreno o dalla presenza del ‘temenos’ arcaico, rispettato nella ricostruzione. Negli isolati regolari è osservata una divisione in quattro (invece della normale bipartizione) nel senso della lunghezza: ogni striscia comprendeva 12 lotti di 9×12 m, con case di dimensioni un po’ più limitate quindi rispetto alle altre città siceliote. Caratteristica di questi isolati è la presenza, agli incroci fra le ‘plateiai’ e le strade ortogonali, costantemente sul lato orientale, di basamenti quadrangolari (m 1,50×1,25), in origine sormontati da lastre di 0,80 m, sulla cui funzione sono state fatte varie ipotesi: si è pensato che fossero ‘horoi’ o cippi di delimitazione degli isolati sul tipo di quelli usati dall’urbanista Ippodamo di Mileto nella ricostruzione del Pireo; ovvero altari destinati a sostituire precedenti sacelli arcaici distrutti a rappresentare culti che esprimevano la solidarietà degli abitanti dell’isolato, a mo’ dei ‘compita’; o altari d’incrocio o di quartiere, noti nella tradizione romana. Altro dato notevole di questa fase è la presenza di numerose officine di vasai e di coroplasti all’interno e all’esterno della città: ne sono note alcune nell’abitato (due nel ‘temenos’ sud-occidentale), ma il grosso si situa in aree extra-urbane, sul versante sud-ovest, tra il Santa Venera e l’Alcantara, e soprattutto a nord-est, al centro dell’attuale abitato di Giardini-Naxos (sotto lo svincolo autostradale), con tre fornaci e vasche per la decantazione delle argille e stradine di raccordo tra i vari forni. La necropoli classica è a metà strada tra il Santa Venera e l’Alcantara, con tombe alla cappuccina contenenti modesta suppellettile. L’abitato databile fra la distruzione del 403 a.C. e lo spostamento definitivo della popolazione è costituito da abitazioni sparse soprattutto lungo la linea costiera, e le sue necropoli sono state identificate presso la riva destra del Santa Venera, dove sorgevano sacelli d’età arcaica, e nell’attuale cimitero di Giardini. L’occupazione romana in relazione alla ‘mansio’ è suggerita da grandi depositi di anfore d’epoca tardo-imperiale. L’area archeologica comprende il ‘temenos’ sud-occidentale, tratti delle mura e dell’abitato. Il ‘temenos’, assai esteso, è il primo santuario noto delle colonie calcidesi di Sicilia. Il muro di recinzione, costituito da una struttura poligonale, a volte con blocchi di dimensioni ciclopiche, presenta due aperture principali, veri e propri propilei, entrambi coperti con tegole e terrecotte architettoniche; quello settentrionale, più piccolo, ha porta e controporta. Tutto il ‘temenos’, sorto nel VI secolo a.C. a cingere un’area sacra più antica e poi inserito nella cinta difensiva urbana, venne così a costituire una sorta d’acropoli della città, e il propileo nord assunse la funzione d’ingresso monumentale dell’abitato, mentre il propileo sud finì col diventare una vera e propria porta urbica. All’interno sono noti due templi; all’estremità nord-est dell’area è il tempio più importante, identificato con buoni argomenti con l’Aphrosidium noto da Appiano, che presenta due fasi, una solo parzialmente nota del VII secolo a.C. e un’altra dell’iniziale V secolo, rappresentata da un ‘oikos’ di 38×16 m, ricostruito forse in occasione della grande ristrutturazione urbanistica regolare, di cui fedelmente ripete l’orientamento (diverso da quello del precedente tempio).

Fornaci_arcaiche_22-07-2015 09-46-46All’estremità opposta dell’area si trovava un alto sacello arcaico (non visibile), mentre l’esistenza di altri edifici minori (templi o ‘thesauroi’, non si sa) è suggerita da terrecotte architettoniche con antefisse a testa silenica. Nella medesima area, a sud-ovest del tempio maggiore, è un altare quadrangolare con tre gradini sul lato ovest, realizzato in testa poligonale, mentre numerose stele o piccoli altari con residui di sacrifici guarnivano il santuario, oggetto d’intenso culto tra il VII e il Vi secolo, come dimostrano i numerosi materiali votivi rinvenuti, terrecotte, statuette, ceramiche locali e armi. Lungo il muro del temenos sono stati raccolti abbondanti resti delle terrecotte architettoniche dei templi, che hanno permesso di ricostruire la decorazione degli edifici, la più significativa delle quali è quella pertinente al tempio maggiore, con un insolito antemio plastico a palmette e fiori di loto. Sempre nell’area sacra sono due fornaci, una circolare per vasi, una rettangolare per tegole, appartenenti al santuario e funzionanti per le necessità cultuali e per la manutenzione degli edifici. Usciti attraverso il propileo nord si possono visitare gli isolati adiacenti, con la già ricordata partizione in unità abitative assai limitate, costituite in genere da un piccolo cortile d’accesso e piccoli ambienti ai lati. Usciti dalla porta urbica adiacente al ‘temenos’, si segua il muro di cinta fino alla porta ovest. Il muro, eseguito con tecnica più rozza di quello del ‘temenos’, con massicci blocchi grossolanamente sbozzati, ha doppio paramento ed è spesso 4,60 m (ciascun paramento misura in media 1,80 m), con riempimento di pietrame a secco; la porta, guarnita a sud dall’unica torre nota della cinta (assai mal conservata), ha una luce di oltre 2,50 m.

Castello di Schisò (vedi).

22-07-2015 10-46-22Il castello di Schisò si affaccia sulla baia di Giardini Naxos, è stato costruito a cavallo del XIII e XIV secolo. Edificato nella forma attuale su uno sperone roccioso formato da una colata lavica di età preistorica, il nome Schisò deriva dalla parola araba Al Qusus che significa seno o torace e identifica le due formazioni vulcaniche sulle quali poggiano le fondamenta, formazioni visibili sul prospetto anteriore. In epoca normanna l’aggregato agricolo comprende una chiesetta esistente al tempo del Gran Conte Ruggero dedicata a San Pantaleone, utilizzata dai contadini e pescatori di Schisò prima che sorgessero edifici di culto più recenti. L’agglomerato costituiva l’antica dipendenza del Monastero di Santa Maria di Gala, istituzione ubicata nell’odierna Barcellona Pozzo di Gotto, data in concessione ai monaci Basiliani di rito greco dalla reggente Adelasia del Vasto nel 1104 – 1105. Proprietà, diritti e concessioni riconfermati con Regio Privilegio dal figlio Ruggero II di Sicilia comprensivo dell’esercizio del diritto di pesca nelle acque della riviera di Taormina. Oggi il primitivo luogo di culto è inglobato nel complesso fortificato. Ricostruito nel XVI secolo con una torre di avvistamento idonea a sorvegliare Capo Schisò, la baia compresa fino a Capotaormina a nord e il golfo di Riposto a sud, a difesa delle incursioni dei pirati guidati da corsaro turco Khayr al-Din Barbarossa. Sul lungomare si affaccia la parte nobile e residenziale del complesso, all’interno del castello era installata l’attrezzatura per la raffinazione e distillazione dei prodotti della canna da zucchero, la produzione di questa coltura era un’attività lucrativa sorta intorno al XVI secolo estesa dagli spagnoli, praticata in epoca normanna e introdotta dagli arabi in Sicilia. Rinnovato nel tardo XIX secolo con l’aggiunta di balconi sulla facciata, delle primitive torri cilindriche d’avvistamento ne restano due e delimitano la corte interna della costruzione.

 

Necropoli delle rimembranze. (1)

22-07-2015 11-23-13Nel febbraio del 2000 un lembo di necropoli di età ellenistica-romana fu individuata in via Delle Rimembranze a seguito dei lavori per la realizzazione di un sottopassaggio pedonale lungo la linea ferroviaria Catania-Messina. La prima segnalazione di ritrovamenti archeologici in questa area era stata fatta nel 1873 dal Direttore delle antichità in Sicilia Saverio Cavallari che osservò, alla base della collina sovrastante l’abitato di Giardini, alcuni mattoni antichi nella scarpata della ferrovia. Lo scavo archeologico individuò una serie di sepolture disposte su vari livelli in un ampio spessore di sabbia: tutte le tombe avevano una copertura a due spioventi formata da tegole o pietre e conservavano il corpo del defunto disteso sul dorso con il capo rivolto a nord-est. Le tombe qui rinvenute sono da mettere in relazione alla permanenza, anche dopo la distruzione di Naxos avvenuta nel 403 a. C., di piccoli nuclei abitati lungo la baia di Giardini dediti al commercio del vino e alle attività legate alla produzione di vasi e anfore da trasporto. Questa strada prese il nome di “via Delle Rimembranze” perché, dopo la I Guerra Mondiale, furono qui piantati degli alberi per commemorare i Caduti di Giardini: in ogni pianta una targa ricordava il nome di un militare morto nel conflitto. Adesso l’aspetto della via è radicalmente cambiato ma la memoria di un passato in qualche modo da “rimembrare” ritorna tramite la visione della grande teca in vetro che conserva le ricostruzioni di alcune delle tombe qui rinvenute durante lo scavo archeologico.

Colonne romane.

22-07-2015 11-28-07Colonne di epoca romana ritrovate nei fondali del mare d Giardini Naxos.

Siti Etnanatura:

Foto Etnanatura

(1) Giardini-naxos.com

(2) Comune Giardini Naxos

(3) Parco Naxos Taormina

4) Regione Sicilia – Beni culturali

Dove non diversamente specificato le informazioni sono dovute a Wikipedia

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