Megara Iblea

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30-07-2015 22-35-33«Proprio in quel tempo Lamide approdò da Megara in Sicilia alla guida di una colonia e a settentrione del fiume Pantachio fondò una cittadina dandole nome Trotilo. Più tardi passò di là a Leontini dove, per un breve periodo, divise con i Calcidesi la direzione politica di quella colonia; scacciato dai Calcidesi, fondò Tapso e venne a morte, mentre i suoi, espulsi da Tapso, eressero Megara denominata Iblea, poiché il re dei Siculi Iblone aveva loro concesso la terra, anzi ve li aveva condotti di persona. E per duecentoquarantacinque anni fu la loro sede, finché Gelone tiranno di Siracusa li espulse dalla città e dal suo contado.»
(La Guerra del Peloponneso, VI libro, Tucidide)

Megara Hyblaea è il nome latino di Megara Iblea (in greco antico Μέγαρα Ὑβλαία, traslitterato in Mégara Hybláia), antica colonia greca in Sicilia, situata nei pressi di Augusta. Il primo nome di questa colonia fu Hybla Mikrà (Ὕβλα μικρά), ossia piccola Ibla, per distinguerla dall’Ibla Maggiore e dall’Ibla Erea. Questo nome derivava dal fatto che i colonizzatori greci fondarono la colonia presso l’antica città sicula di Ibla, di cui perpetuava il nome. Secondo lo storico Pausania, l’origine del nome Ibla a sua volta si riferisce all’omonima divinità sicula. In età classica fu detta invece Mègara Hyblàia (Μέγαρα Ὑβλαία). Il nome Mègara deriva dal fatto che i colonizzatori greci vollero perpetuare il nome della propria città d’origine, in Attica. Secondo alcuni testi, quando Erodoto e Tucidide parlano di Hybla Gheleàtis (Ὕβλα Γελεᾶτις), ossia Ibla Geleate, si riferiscono sempre a Mègara Hyblàia; per altri invece il nome Ibla Geleate è attribuibile ad una sub-colonia di Gela che sorgeva nel territorio dell’attuale Piazza Armerina. Quando la città terminò la sua storia di colonia indipendente e passò sotto il dominio romano, venne denominata in Latino Megara Hyblaea, latinizzazione del termine greco usato in età classica. Oggi in Italiano il termine con il quale la colonia è più conosciuta e citata nei testi di Storia, nei vocabolari e nelle enciclopedie è Mègara Iblea. Fu fondata nel 728 a.C. da colonizzatori megaresi, i quali in precedenza si erano insediati nei pressi di Trotilon (l’attuale Brucoli), a Leontini ed a Thapsos. Tucidide narra che venne fondata dall’ecista Lamis, proveniente da Megara Nisea che morì nella poco distante Thapsos. Secondo la tradizione i megaresi ottennero la terra su cui istituire la colonia dal re siculo Iblone. In segno di gratitudine la nuova città assunse anche l’appellativo di Iblea. Circa cento anni dopo, gli iblei, probabilmente in cerca di nuovo suolo destinato al loro sviluppo, fondarono Selinunte. Non è mai sembrata essere una città di rilevante importanza e non ha mai tratto alcun vantaggio dalla sua posizione. Venne distrutta da Gelone nel 481 a.C. circa e sembra che le sue mura fossero rase al suolo. Nella spedizione ateniese contro Siracusa (415-413 a.C.), Lamaco propose (essendo allora deserta) di renderla una base operativa in forza all’esercito ateniese; ma la sua proposta non venne tenuta in considerazione finché i siracusani stessi non la fortificarono. Nel 309 a.C. venne ancora fortificata. Nel corso della seconda guerra punica venne distrutta dalle truppe del console Marco Claudio Marcello che andava ad assediare Siracusa. La città non venne mai più ricostruita ed in epoche successive soltanto isolate fattorie si insediarono sul suo territorio. Secondo alcuni autori fu la città natale del commediografo Epicarmo. La città viene in qualche modo collegata a quella evoluzione che portò il canto di bisboccia (komos) ad evolversi in mimica farsesca fino a delineare un nuovo genere letterario, la commedia greca. Nel 1867 i lavori di sbancamento per la costruzione della ferrovia Catania-Siracusa tagliarono in due il sito archeologico nella parte delle fortificazioni e in parte dell’abitato. Gli scavi si sono protratti fino al 1891 con lo scopo al riportare alla luce la parte nord-occidentale della città sono dovuti al lavoro degli archeologi francesi Georges Vallet e François Villard. La città era lambita a nord dal porto ed aveva una necropoli contenente circa un migliaio di tombe. La necropoli nord venne in parte coperta durante la costruzione della raffineria RASIOM nel 1949. Gli interventi della Soprintendenza di Siracusa diretta da Bernabò Brea permisero il salvataggio di alcuni reperti tra cui la famosa statua della Kourotrophos rinvenuta in pezzi il 30 ottobre del 1952 e poi restaurata. Interventi decisi della soprintendenza e dell’Ecole francaise (presente dal 1949) permisero il salvataggio della parte entro la cinta muraria ellenistica. I numerosi resti archeologici, tuttora visibili sul sito, sono frutto degli scavi effettuati nell’immediato dopoguerra, grazie al grande contributo dei già citati Vallet e Villard e degli archeologi italiani Luigi Bernabò Brea e Gino Vinicio Gentili. La conservazione della sua struttura urbanistica originaria è stata permessa dalla mancata urbanizzazione in epoca moderna.

Sul sito sono ancora visibili:

l’agorà con i resti di due portici
i bagni ellenistici
l’heroon
i resti delle mura di cinta
i resti di un tempio ellenistico
le fondamenta di un tempio arcaico
il pritaneo
un’officina metallurgica
i resti di decine di case

Nel Museo archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa sono esposti i numerosissimi resti recuperati durante le campagne di scavo. Tra i più importanti ricordiamo:

la statua arcaica in calcare della “Dea Madre” in trono (VI secolo a.C.), che allatta due gemelli (kourotrophos), ritrovata dagli scavi condotti da Gino Vinicio Gentili. Distrutta in 936 frammenti da un martello pneumatico durante scavi per la raffineria Esso, venne ricostruita pezzo per pezzo dal museo Paolo Orsi dove oggi è ammirabile
il torso marmoreo di uomo (kouros), in stile dorico;
una particolare maschera teatrale del VI secolo a.C.
Particolarmente bella è anche la ceramica megarese con il suo stile policromo.
Il sito mostra diverse criticità, dalla vicinanza degli impianti industriali, alla carenza di manutenzione e di salvaguardia del sito. Da anni sono fermi i finanziamenti per la valorizzazione dell’area rendendo il sito lontano da una fruizione turistica.

Da Wikipedia

Foto di Rosaria Privitera Saggio.

Sito Etnanatura: Megara Iblea.

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