Descrizione |
Il misterioso culto ctonio di Cibele era praticato nelle fenditure della montagna, entro grotte, nicchie e gallerie. I suoi sacerdoti, che si chiamavano Galli nella Galizia, Coribanti nella Frigia, Dattili Idei nella Troade e Cureti a Creta, avanzavano al ritmo frenetico di timpani, cembali, flauti e tamburi e, nel corso del rito, arrivavano a flagellarsi e mutilarsi evirandosi come Attis tra preghiere, urla, danze ossessive che culminavano in un vorticoso girare su se stessi e, in preda al parossismo, invasati dalla dea, vaticinavano, interpretavano i sogni, il moto degli astri, il volo degli uccelli, esorcizzavano gli spiriti del male.
Il leone accompagna la raffigurazione di Cibele in Anatolia e in una vasta area del bacino mediterraneo orientale, culla delle civiltá assira, fenicia ed egiziana. Nella primigenia fase storica del Matriarcato, pare che la criniera del leone e le sue fauci spalancate rappresentassero il simbolo del pube femminile. Piú tardi, quando si affermarono le societá patriarcali, secondo un simbolismo misogino, il pelo leonino fu trasformato in simbolo dei raggi della corona solare.
In Sicilia, il culto orientale della Grande Madre si era esteso anche a Siracusa, dove risulta praticato nel IV sec. a.C.; e da qui sarebbe stato introdotto ad Akrai. Cosí troviamo il culto di Cibele- Grande Madre �Magna Mater nel santuario rupestre situato in prossimitá di Palazzolo Acreide, l'antica Akrai, un monumento volgarmente detto i �Santoni�, di grandissimo interesse per la storia delle religioni nel mondo antico. Si tratta, infatti, di un complesso di dodici grandi quadri scolpiti ad alto rilievo nella roccia, datato al III sec. a.C., unico al mondo, il piú grande santuario noto dedicato al culto della dea Cibele, divinitá orientale della feconditá. Poichè il popolo romano, secondo la leggenda, discendeva dal troiano Enea, originario dell'Asia Minore, l'antica divinitá asiatica era anche la piú antica divinitá romana.
Il santuario di Akrai ci offre una sorta di sintesi delle iconografie e delle dottrine teologiche connesse al culto �metroaco�, dal nome greco della dea Meg�le Mèter (Grande Madre).
In ognuno dei quadri compare la dea Cibele assisa in trono con chitone, una lunga veste, ed himátion, una sopraveste che cade da una spalla, gira intorno alla vita e scende oltre i ginocchi, sulla testa il modio, un copricapo da cui i capelli ricadono intrecciati sulle spalle e sul petto, la mano destra regge una patera e l'altra un timpano, anche questo caratteristico della dea.
Quello della Grande Madre era un culto sfrenato, dionisiaco, orgiastico, le danze dei fedeli venivano accompagnate dal suono ossessivo di strumenti musicali: il flauto dritto e ricurvo, i cembali dal suono acuto e metallico, il timpano, antenato del tamburello che accompagna ancora le sfrenate tarantelle siciliane.
Ai lati del trono o nella scena, sono sempre rappresentati uno o due leoni, animali sacri alla dea; nella scultura piú grande del complesso, la seconda, Cibele é rappresentata in posizione eretta, da un lato vi é Hermes con caduceo e dall'altro Marsia; ai lati, due cavalieri, i Dioscuri. Sebbene il grado di conservazione delle sculture non sia ottimale, tuttavia é innegabile il fascino misterioso che promana anche dalla suggestione del luogo. Secondo l'archeologo Luigi Bernabó Brea, le sculture sono rozze in quanto espressione di un culto e di una rappresentazione popolare. Ma, come rivelano i fori praticati accanto alle teste e alle braccia, un tempo queste figure dovettero essere colorate ed adorne di corone bronzee o auree, bracciali, stoffe e serti di fiori, rami di querce o di pini.
Ô interessante notare come vicino alla simbologia riguardante la feconditá e la ricchezza spirituale, la melagrana della Grecia antica sia messa in relazione con la colpa, ad esempio Persefone viene condannata avendo rotto il digiuno con i chicchi di melagrana; a Eleusi, la melagrana era proibita agli iniziati, perchè, come simbolo della feconditá, aveva il potere di far �discendere le anime nella carne�. E il frutto �materno� per eccellenza della melagrana compare in alcune antiche favole.
Testo di Marinella Fiume |