11 Gennaio 1693: il terremoto.

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10358702_361538174027004_1589288567829410501_nIl 9 gennaio del 1693 alle ore 3,45 un forte terremoto scosse la città di Catania danneggiando alcune case. Gli abitanti scapparono nottetempo rifugiandosi nelle piazze e nelle campagne vicine. Solo all’alba appena la situazione sembrò più calma al grido Sant’Agata salvaci tu, i catanesi ritornarono alle loro case. La mattina del 10 gennaio 1693 si presentò al palazzo del barone catanese Don Arcaloro Scammacca una fattucchiera locale con la pretesa di incontrarlo per comunicargli cose importanti. Don Arcaloro, conoscendo il tipo, ordinò che la facessero salire. La vecchia confidò al barone che quella notte gli era apparsa in sogno S.Agata, la quale supplicava il Signore di salvare la sua amata città dal terremoto, ma il Signore a causa dei peccati dei catanesi, aveva rifiutato di concedere la grazia; ed aggiunse la terribile profezia “Don Arcaloru, Don Arcaloru, /dumani, a vintin’ura, /a Catania s’abballa senza sonu!”, e cioè “Don Arcaloro, don Arcaloro, domani, alle 14, a Catania si ballerà senza musica!”. Il Barone capì subito di quale ballo la vecchia parlasse; e si rifugiò in aperta campagna, dove attese l’ora fatale: e puntualmente all’ora indicata dalla strega il terremoto si verificò. E così l’11 gennaio 1693 alle ore 14 circa una forte scossa tellurica fece tremare la terra e rase al suolo Catania e sessanta comuni della Sicilia orientale fra i quali Noto, Lentini, Mineo e Ragusa. Il Mongitore narra: « L’orribilissimo terremoto dell’anno 1693 è stato, senza alcun dubbio, il maggiore il più pernicioso che tra tanti avesse danneggiato la Sicilia, e sarà sempre l’infaustissima sua memoria luttuosa negli annali dell’isola, tanto per la sua durazione, quanto per la rovina portata dappertutto. Il giorno di venerdì 9 gennaio nell’ora quarta e mezza della notte tutta la Sicilia tremò dibattuta dalla terribile terremoto. Nel Val di Noto e nel Val Demone fu più gagliardo: nel Val di Mazara più dimesso. Ma la domenica 11 dello stesso mese, circa l’ore 21, fu sconquassata tutta la Sicilia con violentissimo terremoto, con la strage e danno non accaduti maggiori ne’ secoli scorsi. ». Un testimone oculare racconta dell’evento dell’11 a Catania: “Vide che alle due mezza improvvisamente rovinò tutta la città con la morte di più di 160 persone e che durante il terremoto si era ritratto il mare di due tiri di schioppo e per la risacca conseguente aveva trascinato con sette tutte le imbarcazioni che erano ormeggiate in quell’insenatura. State certi che non c’è penna che possa riferire una tale sciagura.”.Alla catastrofe (7,5 MCS) seguì un tremendo maremoto . I soccorsi si resero difficili. Crollarono 20 tra monasteri e conventi; oltre 50 chiese, la Loggia, il Seminario dei Chierici, l’Università, l’Ospedale S.Marco. Crollò pure il campanile del trecento cadendo sul tetto del Duomo che franando uccise centinaia di fedeli. La Chiesa di S.Nicolò l’Arena rifatta nel 1687 dopo l’eruzione del 1669 venne totalmente distrutta. Scompariva la via cittadina principale detta Strada della Luminaria chiamata così perché era usanza porre, specie nelle serate di festa, fuori dalla porte, balconi e finestre dei lumi ad olio , a cera, o a sego di vari colori assumendo un fantastico aspetto di luminaria. E così gli abitanti sopravvissuti alla terribile sciagura, 11000, decisero di abbandonare la città. Il canonico Giuseppe Cilestri, tenendo tra le mani le reliquie di Sant’Agata andando in giro per le rovine li convinse a non fuggire. Ma la città fu ben presto sommersa da bande di briganti che frugavano tra le macerie in cerca di masserizie imponendo angherie e sopraffazioni. I catanesi si rivolsero alle autorità superiori e accolti dal vicerè Francesco Paceco duca di Uzeda ottennero il controllo della città da parte del vicario generale duca di Camastra, Giuseppe Lanza. Questi provvide innanzitutto a sterminare le bande dei briganti , a seppellire i morti e a ristorare i superstiti ma soprattutto a ricostruire la città che vediamo oggi ma … questa è un’altra storia che affronteremo prossimamente.

Davide A. S. Gullotta da “Ti cuntu

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