Bronte

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Odilon Redon, "Le Cyclope", museo Kröller-Müller

Odilon Redon, “Le Cyclope”, museo Kröller-Müller

L’origine mitica della città. Di Marinella Fiume.

L’origine di Bronte ed il suo stesso nome risalgono all’alba dei tempi.  Secondo la mitologia, infatti, essi sono da ricondursi ai Ciclopi, giganteschi esseri dalla forma umana simbolo delle forze della natura, che la mitologia greca diceva essere figli del Dio Nettuno, uno dei quali, il ciclope Bronte (“Rimbombo”) fondò la cittadina verso il 1200 A.C,. Bronte ed i suoi fratelli Sterope (“lampo”) e Piracmon (“incudine ardente”), al servizio del dio Vulcano, erano stati condannati a lavorare presso la fucina del dio dentro le viscere dell’Etna con il compito di fabbricare i fulmini di Giove e le armi degli eroi. “All’interno d’un ampio antro manipolavano il ferro i Ciclopi Bronte, Stèrope e, nudo le membra, Piràcmon” (Virgilio).

Dal punto di vista storico, sembra che la nascita della cittadina risalga ai Sicani. Tucidide ci tramanda che i più antichi abitanti dell’Isola fossero i Ciclopi e i Lestrigoni. Nella parte occidentale della Sicilia, tra Erice e Segesta, si erano insediati i Troiani che presero il nome di Elimi. Per ultimo, nell’isola si stabilirono i Siculi che occuparono parte della Sicilia orientale e relegarono i Sicani nella parte occidentale dell’Etna. Qui appunto avrebbero fondato Bronte.

In due contrade ai piedi dell’Etna abitarono certamente gruppi di antichi Sìculi, spinti successivamente da terribili eruzioni ad andare verso posti più sicuri. Il rinvenimento di reperti archeologici, mattoni, sepolcri, oggetti funebri, anfore, monete, vasi di fine argilla rivela anche la presenza nel territorio di coloni greci; quindi, di passaggio, vennero gli eserciti romani, cartaginesi e siracusani. L’autore di Memorie Storiche di Bronte, Benedetto Radice, scrive: “Mentre si scavava la conduttura per l’acqua di Maniaci in quella contrada, vennero alla luce tante monete di bronzo con impressa la testa della dea Minerva portante l’elmo. Furono rinvenuti pure dei piatti e delle anforette”, che l’archeologo Paolo Orsi giudicò risalire al III sec.a. C., all’epoca di Timoleone, il generale di Corinto che liberò Siracusa dal tiranno Dionisio. Ma forse la testa della dea con l’elmo in testa non era Minerva, ma Atena, che i Romani chiamavano Minerva. È probabile, infatti, che i Greci fondatori di Bronte abbiano costruito un tempio dedicato alla dea di Atene,  loro città d’origine. Con l’avvento dei Romani, il tempio prese il nome di Tempio di Minerva, dal  nome che la mitologia romana dava alla corrispondente dea greca Athena Parthenos (la vergine).

Bronte, insomma, nasce dal mito. Ma né nell’antichità classica né nel Medioevo arabo compare un abitato con questo nome, che emerge dalle nebbie solo nel Cinquecento, mentre il momento in cui Bronte conquistò fama internazionale fu la fine del Settecento. Davanti all’avanzata della Rivoluzione, i  Borboni di Napoli si trovarono in gravi difficoltà: la regina austriaca Maria Carolina, figlia di Maria Teresa, temeva di finire sulla ghigliottina come la sorella Maria Antonietta; i Savoia avevano preso la via di Parigi, il papa era prigioniero, il re Ferdinando sperava di riparare a Palermo. A salvarlo intervenne l’ammiraglio britannico Orazio Nelson,  che imbarcò i sovrani sulla Vanguard e fece vela verso la Sicilia. Era il dicembre del 1799 e fu una  traversata infernale: Maria Carolina era atterrita, il re, i cortigiani e persino l’ammiraglio erano allo stremo, l’imbarcazione era in preda ai marosi. Nella tempesta, solo una donna, energica, sicura di sé, impavida, riusciva a soccorrere e  portare  conforto a tutti: Lady Emma, moglie di sir William Hamilton, affascinante avventuriera. Sembrò che fosse stata lei a salvare il prezioso carico regale. Perciò, finita la rivoluzione, i reali non seppero come ricompensare la donna e l’ammiraglio. A lei andarono doni per sei mila sterline dell’epoca, tra cui una parure di brillanti con la scritta “eterna gratitudine” e due carrozze piene di vestiti. All’ammiraglio, il titolo di duca di Bronte, rendita calcolata per tremila sterline annue. “Così il paesello etneo – scrive Sergio Sciacca – passava dalla leggenda greca a quella napoleonica. E alla letteratura inglese, dato che il reverendo britannico di origine irlandese Patrick O’ Prunty, in onore del novello duca, si cambiò il cognome in Bronte (con la dieresi per conservare la pronuncia italiana della e) e la figlia Emily, letterata come le sorelle, ancora porta in giro nel mondo il nome del ciclope etneo in quel romanzo, Cime tempestose, che è tra le opere romantiche più lette e studiate”.

Marinella Fiume

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