Bronte e la pantofola della regina Elisabetta

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Ma, su una delle sue rupi più alte, la Rocca Calanna, cadde una pantofola che calzava un piede regale di Elisabetta …

di Marinella Fiume.

Affacciandosi dai ruderi del Castello di Maletto, si può scorgere in lontananza il fiume Saracena, sulle cui rive sorgeva l’abbazia di Santa Maria di Maniace, in territorio di Bronte, costruita nel 1173 e donata nel 1799 come castello, insieme al titolo di duca, all’ammiraglio inglese Horatio Nelson da Ferdinando IV di Borbone.Ma che c’entra la sovrana inglese in Sicilia? E come va a perdere la sua pantofola proprio da queste parti? Secondo una leggenda “inglese” sempre viva in queste plaghe di Sicilia, l’anima della regina Elisabetta I d’Inghilterra ora risiede nell’Etna, a causa di un patto che fece col diavolo in cambio del suo aiuto per salire sul trono d’Inghilterra.

Il patto o contratto col diavolo – l’impium o turpe foedus – si riscontra in molti racconti di origine popolare,dove maghi, streghe e stregoni sono sospettati di aver stretto un patto col diavolo, vendendogli la propria anima per ottenere in cambio poteri magici, lunga vita o fortuna.

Nel caso della nostra leggenda, La pantofola della regina Elisabetta, così come la racconta il Calì nel suo Leggendario, i contraenti sono Lisa Betta, figlia di Anna Balena, e Cìfaro, nomi che sono deformazioni parodistiche del dialetto siciliano.

Elisabetta I d’Inghilterra (Greenwich, 1533-Londra, 1603), figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, fu l’ultima monarca della dinastia Tudor. Incoronata nel 1558, nel suo lungo regno pose le basi della futura potenza commerciale e marittima dell’Inghilterra. La sua epoca, l’età elisabettiana, vide una straordinaria fioritura artistica e culturale, massima espressione della quale è la drammaturgia di William Shakespeare. Amata e temuta dal suo popolo, dotata di un innegabile fascino, la sua debolezza, però, consisteva in un’innata vanità: non tollerava di vedersi invecchiare, e ciò era causa delle sue ricorrenti crisi depressive. «Quando morrò – disse – voglio che queste parole siano incise sulla mia tomba: Qui giace Elisabetta, che regnò vergine e morì vergine».

Affacciandosi dai ruderi del Castello di Maletto, si può scorgere in lontananza il fiume Saracena...

Affacciandosi dai ruderi del Castello di Maletto, si può scorgere in lontananza il fiume Saracena…

Elisabetta, infatti, fu detta la “regina vergine” perché non volle mai sposarsi, malgrado le tante avventure sentimentali nel corso della sua vita. Aveva un carattere difficile e uno smodato desiderio di potere. In fatto di religione, Elisabetta si mostrò ambigua: la Chiesa ufficiale era quella di Inghilterra, di cui lei era capo supremo, ma ognuno in realtà poteva credere in quello che voleva. Nel 1582, però, affermò che era tradimento far passare i sudditi alla religione cattolica, costituì un tribunale speciale anticattolico, una specie d’Inquisizione protestante, accusò i gesuiti di istigare alla disobbedienza, fece dei martiri tra i cattolici. Elisabetta I fece decapitare per reato di alto tradimento la cattolica regina di Scozia, Maria Stuart, sostenuta dal partito cattolico inglese che la voleva regina d’Inghilterra. Sul piano internazionale Elisabetta assunse posizioni via via più nettamente anticattoliche e antispagnole.

In un primo momento, la lotta contro la Spagna prese soprattutto la forma degli attacchi corsari e del contrabbando ai danni di navi e colonie spagnole, ma nel 1588 quando l’Invencible armada spagnola salpò alla volta di Calais, dove avrebbe dovuto congiungersi con le truppe di Alessandro Farnese, nelle acque della Manica venne attaccata e vinta dalla più piccola ma più efficiente flotta inglese. Iniziava così il definitivo declino della potenza spagnola e l’ascesa dell’Inghilterra come potenza militare, mercantile e marinara. Elisabetta regnò ancora per quindici anni e morì nel 1603.

Orbene, qui ha inizio la leggenda in terra di Sicilia. Quando, dopo quarantaquattro anni di efferato regno, la regina morì, i diavoli ne gettarono le spoglie dentro il cratere dell’Etna, per farla andare all’inferno. Ma, su una delle sue rupi più alte, la Rocca Calanna, cadde una pantofola che calzava un piede regale di Elisabetta. Molto tempo dopo, un pastorello, mentre faceva pascolare le sue pecore, vide sfavillare al sole la pantofola: ammirato la volle toccare, ma quale non fu la sorpresa quando si bruciò le mani! Fu chiamato allora un frate esorcista, grazie al quale la pantofola volò via,  andandosi a posare su una torre del castello di Maniace, presso Bronte.

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Nel 1799 il castello di Maniace fu donato dai Borbone all’ammiraglio inglese Horatio Nelson …

Quasi due secoli dopo, quando nel 1799 il castello di Maniace fu donato dai Borbone all’ammiraglio inglese Horatio Nelson, durante una festa da ballo a Palermo, una dama misteriosa, il fantasma della regina Elisabetta, donò a Nelson in gran segreto un prezioso cofanetto nel quale era custodita la fatidica pantofola, e gli raccomandò di non farla mai vedere a nessuno e di custodirla gelosamente. Ma l’amante dell’ammiraglio, Emma Hamilton, riuscì a trafugarla. La stessa notte l’ammiraglio vide in sogno la misteriosa dama che gli disse:

«Sciagurato! Hai perduto la tua fortuna!».

Pochi giorni dopo, Nelson morì nella battaglia di Trafalgar, era il 21 ottobre 1805. La leggenda contamina fonti di epoca e di origine e di epoca diversa e incrocia il mito e la storia antica con quella assai più recente, da quella del calzare di bronzo appartenuto a Empedocle ed eruttato dal vulcano, alla storia della ducea di Nelson a Bronte.

Bronte emerge dalle nebbie del mito solo nel Cinquecento, mentre il momento in cui conquistò fama internazionale fu la fine del Settecento. Davanti all’avanzata della Rivoluzione, i Borboni di Napoli si trovarono in gravi difficoltà: la regina austriaca Maria Carolina, figlia di Maria Teresa, temeva di finire sulla ghigliottina come la sorella Maria Antonietta; i Savoia avevano preso la via di Parigi, il papa era prigioniero, il re Ferdinando sperava di riparare a Palermo. A salvarlo intervenne l’ammiraglio britannico Horatio Nelson, che imbarcò i sovrani sulla Vanguard e fece vela verso la Sicilia. Era il dicembre del 1799 e fu una traversata infernale: Maria Carolina era atterrita, il re, i cortigiani e persino l’ammiraglio erano allo stremo, l’imbarcazione era in preda ai marosi. Nella tempesta, solo una donna, energica, sicura di sé, impavida, riusciva a soccorrere e portare conforto a tutti: Lady Emma, moglie di sir William Hamilton, affascinante avventuriera. Sembra che sia stata lei a salvare il prezioso carico regale. Perciò, finita la rivoluzione, i reali non seppero come ricompensare la donna e l’ammiraglio. A lei andarono doni per seimila sterline dell’epoca, tra cui una parure di brillanti con la scritta “eterna gratitudine” e due carrozze piene di vestiti. All’ammiraglio, il titolo di duca di Bronte, rendita calcolata per tremila sterline annue.

«Così il paesello etneo – scrive Sergio Sciacca – passava dalla leggenda greca a quella napoleonica. E alla letteratura inglese, dato che il reverendo britannico di origine irlandese Patrick O’ Prunty, in onore del novello duca, si cambiò il cognome in Brönte (con la dieresi per conservare la pronuncia italiana della “e”) e la figlia Emily, letterata come le sorelle, ancora porta in giro nel mondo il nome del ciclope etneo in quel romanzo, Cimetempestose, che è tra le opere romantiche più lette e studiate».

Marinella Fiume

Foto di Sebastiano D’Aquino, Salvo Nicotra e Francesco Marchese.

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