Angeli custodi della Forestale

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pineta-etnadi Marinella Fiume

Si era fatta estate, l’estate siciliana che prosciuga i corsi d’acqua e brucia i campi d’arsura e le pinete alle pendici dell’Etna. Debora, diciannove anni e le sorelle Elena, quindici e  Valeria,  dodici, una sera d’agosto sentivano bussare alla porta. Era un carabiniere che diceva loro e al padre di seguirlo. Alle  ragazze il cuore balzò in gola, per la paura  che fosse successo qualcosa alla loro mamma.

Quel maledetto pomeriggio, infatti, uno dei consueti incendi dolosi che divorano ogni estate migliaia di ettari di pineta e macchia mediterranea delle pendici etnee, protette da un parco che crea più vincoli che lavoro “vero”, si portava via nel suo gigantesco rogo quattro forestali di una delle tante squadre antincendio di cui faceva parte una donna, l’unica in Sicilia. Giuseppina, poco più che quarantenne, era un’operaia stagionale alla sua prima esperienza, assunta per cinquantuno giorni; aveva accettato di svolgere un’attività difficile e pericolosa, un lavoro da uomini; stava nella squadra di pronto intervento senza che avesse alcuna specifica preparazione professionale e nemmeno un equipaggiamento idoneo, se si eccettua la tuta ignifuga. All’improvviso un incendio divampava dentro un canalone della pineta di Culma: la squadra decideva di scendere nel girone infernale di  quell’impervio vallone per circa centotrenta metri per tentare di sbarrare la strada all’incendio costruendo una striscia di terreno sulla quale le fiamme non potevano attecchire.

Ma accadeva l’imponderabile, “l’effetto camino” generato dal cambio del vento, un vortice di fumo e fiamme che avvolgeva Giuseppina e gli altri in un abbraccio mortale.

Vani e fors’anche tardivi i soccorsi, come misero in luce le polemiche dei giorni successivi. Uno dei quattro moriva dopo un’agonia di alcune ore senza che i soccorsi arrivassero. Gli altri tre, tra cui Giuseppina, subito, non per una caduta, ma proprio per il fuoco, come attestò l’autopsia.

Sicuramente doloso l’incendio appiccato da tre punti differenti, come fu appurato. Impuniti come sempre gli ignoti piromani assassini. Dietro il rogo, gli interessi miliardari di chi si proponeva probabilmente l’obiettivo di affrancare alcune zone dal severo regime del parco, magari per cementificarle una volta divenute brulle.

Gli ingenti corpi forestali disseminati in Sicilia, dove le foreste rappresentano un patrimonio alquanto limitato, costituiscono in realtà una valvola di sfogo per la disoccupazione e garantiscono voti ai politici locali grazie alle assunzioni clientelari. Gli incendi dei piromani, la piromafia,  innescano un giro di affari miliardari. Un circolo vizioso in cui illegalità e bisogno si intrecciano.

Li chiamano “angeli custodi” quelli della Forestale da queste parti e tante volte lo sono davvero, tante volte sono costretti a diventarlo: il servizio antincendio, infatti, è spesso affidato alla loro buona volontà. Nell’inerzia più assoluta  e complice anche di coloro che chiamano “naturali” queste calamità assolutamente “artificiali”, emerge solo il coraggio disperato, l’umile eroismo quotidiano di chi non sa se non fare il proprio dovere, magari a denti stretti, magari facendo un lavoro che non ha scelto, magari tra gli atavici pregiudizi legati al sesso debole, illudendosi che non ne avrà ormai per molto e presto potrà tornare a casa a riabbracciare le proprie bambine che aspettano il bacio della buonanotte.

Marinella Fiume

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