Catania e Agata

Share Button

U_Liotru_08-01-2014-11-42-23

Il lavoro che vi proponiamo nasce dalle ricerche congiunte di due gruppi affiliati: “Etnanatura” e “Ti cuntu“. Volutamente abbiamo tralasciato gli aspetti religiosi e folkloristici preferendo un’analisi storica e ricercando i siti che la leggenda e la storia hanno individuato nella città di Catania come luoghi di Agata.

Alleghiamo inoltre il racconto “Il velo di Agata” di Marinella Fiume che abbiamo già pubblicato nei giorni precedenti.

Foto di Etnanatura e Michele Torrisi.

Prima di Agata

Demetra e Core ritrovata a piazza Santa Nicolella

Demetra e Core ritrovata a piazza Santa Nicolella

Il culto di Demetra, la dea dell’agricoltura, e della figlia Persefone – spesso chiamata semplicemente Core, la “Ragazza”, rapita alla madre per diventare signora dell’Oltretomba, era il più importante e il più diffuso nella Sicilia di età greca e romana. Le due dee occupavano un ruolo di primo piano anche nella religiosità della Catania pre-cristiana, come ci viene testimoniato da Cicerone che menziona un sacrario di Cerere – questo il nome con il quale Demetra veniva venerata presso i romani – nel quale si tenevano cerimonie di tipo misterico riservate alle sole donne, sia sposate che vergini: a nessun uomo era consentito accedere al tempio o posare lo sguardo sull’antichissimo simulacro della dea. Il culto fu, se non introdotto, certamente esaltato da Ierone, il tiranno di Siracusa, che nel 476 a.C. si impadronì di Catania, svuotandola degli antichi abitanti e rifondandola con il nome di Aitna; Ierone apparteneva infatti alla famiglia gelese dei Dinomenidi che si trasmetteva per diritto ereditario il sacerdozio di Demetra e Core, un privilegio del quale la potente dinastia seppe servirsi abilmente sia per aggregare il consenso che per legittimare le proprie mire espansionistiche. Ad ogni modo la coppia divina rimase al centro della vita religiosa catanese anche nel momento in cui, fallito il tentativo siracusano, gli antichi abitanti rientrarono nella città (461 a.C.), e probabilmente mantenne questo primato fino alla consunzione del paganesimo, quando il posto fu infine preso da Agata. Il rilievo catanese di Demetra e Core è la più chiara testimonianza figurativa del culto tributato alle due dee nella città. Fu rinvenuto negli anni Trenta del secolo scorso in piazza Santa Nicolella, durante lavori di sistemazione dell’edificio oggi occupato dalla Questura. … Sul rilievo le dee appaiono una al fianco dell’altra, rivolte alla loro sinistra ed entrambe con la gamba destra flessa in posizione di riposo. Apre il fregio Demetra che indossa il peplo, con la mano destra portata in alto dietro la nuca solleva un lembo del manto che le copre le spalle. La figlia veste invece il chitone parzialmente coperto dal mantello, e regge con la mano sinistra una fiaccola; nell’altra mano, levata in alto, doveva portare un oggetto ora scomparso. …  E’ difficile sottrarsi all’impressione che sia nella tradizione agio-grafica sia nella pratica devozionale relative ad Agata permangano motivi e forme di rappresentazione collegabili più o meno direttamente al culto di Demetra e Persefone/Core.Negli atti greci del martirio si narra per esempio che ad Agata, condotta a forza dai soldati verso il giudizio, si sciolse un calzare. Dopo essersi chinata per riallacciarlo, voltatasi indietro, la Santa si rese conto di essere stata abbandonata dai sostenitori che fino a quel punto l’avevano accompagnata incoraggiandola, e proprio in quel punto nacque, improvviso, un oleastro. La tradizione ha enfatizzato la nascita miracolosa della pianta, mettendo in ombra il tema della scarpa slacciata che, se messo a fuoco, appare invece una delicata rielaborazione del motivo del “monosandalismo”, un costume che nel mondo greco e romano è il marchio delle figure in procinto di accedere a prove iniziatiche o comunque a una dimensione “altra” dell’esistenza, e che proprio nella regione etnea sembra connesso a pratiche rituali di morte e resurrezione simbolica legate a Demetra e Persefone. Non a caso il gesto segna il distacco di Agata dalla sua gente e l’inizio del percorso solitario verso il martirio. Anche il motivo del supplizio del seno, evocato in tutta la sua fisicità negli atti del martirio – …non hai vergogna ad amputare in una donna ciò che tu stesso hai succhiato da tua madre? Ma le mie mammelle sono integre dentro la mia anima… –, sembra proporsi nel segno della continuità rispetto a una certa immagine di Persefone maturata negli ambienti della grecità di Occidente: in alcune laminette orfiche si cita infatti esplicitamente il seno di Persefone, al quale l’iniziato ai misteri deve accostarsi per succhiare il latte dell’immortalità. Va inoltre considerata la possibilità che il forte legame di Agata con l’universo femminile, espresso anche attraverso forme rituali che emarginano in parte o in tutto gli uomini, perpetui il carattere delle feste greche di Demetra e Core, le Tesmoforie, solitamente riservate alle sole donne sposate. (4)

Ai tempi di Agata

25-11-2012 09-14-49

Anfiteatro romano

La data di nascita di Agata non è certa come non si è sicuri della località. Secondo alcune fonti nasce nel 230 d.C. secondo altre l’8 Settembre del 235. Siamo comunque alla fine della dinastia degli imperatori Severi. Il 235 d.C. diede inizio ad una profonda crisi dell’impero romano (oggi indicata come crisi del III secolo). Il 18 Marzo del 235 Alessandro Severo venne assassinato a Magonza insieme alla madre Giulia Mamea. Durante questo periodo di instabilità, che ebbe termine nel 284 d.C. con l’ascesa al potere di Diocleziano,si manifestarono simultaneamente situazioni estremamente problematiche in diversi campi, quali l’aumento della pressione nemica sui confini, spesso accompagnata da secessioni (si pensi all’Impero delle Gallie e al Regno di Palmira) e disordini interni (la qual cosa comporterà riforme strutturali della tradizionale unità militare romana, la legione), la crisi del tradizionale sistema economico e, soprattutto, la grave instabilità politica (la cosiddetta “anarchia militare”). Si rivelavano ormai inefficaci gli strumenti della diplomazia tradizionale, usati fin dai tempi di Augusto e basati sulla minaccia dell’uso della forza e sulla fomentazione di dissidi interni alle diverse tribù ostili per tenerle impegnate le une contro le altre. Si rendeva necessario ricorrere immediatamente alla forza, schierando armate tatticamente superiori e capaci di intercettare il più rapidamente possibile ogni possibile via di invasione dei barbari; la strategia era però resa difficoltosa dal dover presidiare immensi tratti di frontiera con contingenti militari per lo più scarsi. Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni nell’arco di venticinque anni non riuscirono neppure a metter piede a Roma, né tanto meno, durante i loro brevissimi regni, a intraprendere riforme interne, poiché permanentemente occupati a difendere il trono imperiale dagli altri pretendenti a il territorio dai nemici esterni. Nel breve periodo della vita di Agata alla guida dell’impero romano si susseguono: Massimino Trace, Gordiano I, Gordiano II, Pupieno, Balbino, Gordiano III, Filippo l’Arabo, Filippo II e Decio tristemente noto ai catanesi perché associato al martirio di Agata. Malgrado la crisi dell’impero la città di Catania in questo periodo vive ancora uno stato di benessere e ricchezza. Plinio il Vecchio annovera la città che i romani chiamano Catina fra quelle che Augusto dal 21 a.C. elevò al rango di colonie romane assieme a Syracusæ e Thermæ (Sciacca). Solo nelle città che avevano ricevuto il nuovo status di colonia furono insediati gruppi di veterani dell’esercito romano. La nuova situazione demografica certamente contribuì a cambiare quello che era stato, fino ad allora, lo stile di vita municipale a favore della nuova “classe media”.  Già nel 21 a.C. Augusto l’aveva promossa a colonia romana e quindi i suoi abitanti erano cittadini di Roma e godevano quindi del riconoscimento di tutti i diritti legati a questa condizione e l’amministrazione della città era controllata direttamente da Roma. I nuovi coloni, pur rappresentando una minoranza, si trovarono in condizioni di superiorità nei confronti della popolazione locale, eleggendo gli individui destinati a ricoprire le cariche di governo. Allo stesso tempo,i gruppi dirigenti della civitas decumana sembrano aver vissuto ai margini dello spazio politico urbano, eclissandosi sul piano archeologico – abitativo, funerario, pubblico  ed epigrafico, perlomeno durante il primo secolo di vita della colonia. Solo dalla prima metà del II secolo, la presenza della cultura greca, e con essa quella di una nuova élite municipale, riemerge nella documentazione a nostra disposizione. Ormai nell’avanzata età imperiale (III-V secolo), infine, anche nella colonia Catina la Graecia capta finirà per intervenire attivamente, in competizione con il ferus victor, nella vita culturale della città, nella quale gli agoni poetici, organizzati da cittadini eruditi omni doctrina, graeca quoque et latina, convivranno accanto agli spettacoli di massa dei ludi gladiatori. Il riflesso urbanistico più evidente della nuova condizione giuridica e della maggiore consistenza demografica della città è rappresentato dall’estensione dell’abitato tra la fine del I secolo a.C. e il I secolo d.C., la più ampia raggiunta da Catania fino alla conquista araba.  A Nord di piazza Stesicoro, sotto il palazzo Tezzano, ambienti della prima età imperiale, provvisti di ipocausto e di un impianto di riscaldamento a parete, verosimilmente appartenenti ad un edificio termale, si sovrapposero ad una casa della tarda età repubblicana.

25-11-2012 09-15-10

Anfiteatro romano

Con la successiva costruzione dell’anfiteatro (vedi), verosimilmente tra la fine del primo e l’inizio del secondo secolo, la zona cessò di essere utilizzata a fini residenziali e finì per trasformarsi, perlomeno dalla metà del III secolo, in area cimiteriale . Ad Ovest e a monte di piazza Stesicoro, d’altro canto, la più antica necropoli catanese, quella della contrada “Orto del Re”, continuò ad essere utilizzata per tutta l’età imperiale. Il suo limite meridionale era probabilmente rappresentato dal distrutto mausoleo circolare del monastero dei Cappuccini (attuale palazzo della Borsa), organizzato su due livelli, il superiore consistente in un’edicola per una statua, l’inferiore contenente il sepolcro vero e proprio. Altri grandi edifici funerari del I-II secolo sono rappresentati dal cosiddetto Colombario della Mecca, presso piazza S. Maria di Gesù, e dai mausolei di viale Regina Margherita, di via Ipogeo e del monastero dei Cappuccini in piazza del Carmine, che richiamano modelli peninsulari, in particolare campani. Il limite orientale dell’abitato della prima e media età imperiale è rappresentato, allo stato attuale, da edifici con mosaici e pareti rivestite di crustae marmoree identificati ad Est di via Etnea, all’altezza della chiesa della Collegiata (via Mancini). Ancora più ad Est, sarcofagi e cinerari del II-III secolo furono rinvenuti presso la chiesa di S. Teresa, in occasione del livellamento di via di Sangiuliano. Le scoperte più utili a ricostruire il rapporto tra abitato e necropoli nel settore orientale della città nel corso dell’età imperiale, tuttavia, si debbono ad uno scavo del 1916, diretto da Paolo Orsi . In occasione di scavi lungo il tratto di via Vittorio Emanuele compreso tra il portale dell’Arcivescovado e piazza S. Placido, furono messi in luce i resti di alcuni edifici, uno dei quali ben noto a causa di una celebre iscrizione erotica latina, ai quali si era sovrapposta, tra il III e il V secolo, una estesa necropoli, da cui provengono numerose iscrizioni cristiane. In realtà, un’isolata tomba alla cappuccina, realizzata nell’intercapedine tra due edifici in rovina, esattamente di fronte all’ingresso dell’Arcivescovado, è anteriore, con ogni probabilità, all’età antonina, come indica il rinvenimento di un unguentario in vetro, che si inquadra facilmente nelle produzioni della fine del I e dell’inizio del II secolo . Non si può escludere, di conseguenza, che il  proasteion a Sud-Est della città messo in luce da Orsi sia stato abbandonato,probabilmente nell’ambito di un più ampio progetto urbanistico, nello stesso periodo in cui il quartiere a Nord di piazza Stesicoro sembra aver ceduto il passo alla costruzione . Un intervento di più ampio respiro, al contrario,potrebbe essere stato richiesto dalla costruzione dei grandi edifici pubblici, tra il II secolo e l’età severiana. Per quanto riguarda l’estensione della città della prima età imperiale verso Ovest e Sud, in fine, è opportuno ricordare che il limite occidentale doveva ricadere nell’area interessata dalla colata lavica del 1669, su cui i Benedettini realizzarono il proprio orto botanico (attuale ospedale Vittorio Emanuele), mentre, a Sud, edifici dell’età giulio-claudia sono stati identificati nei pressi del monastero di Santa Chiara e al di sotto del Castello Ursino … Gli edifici monumentali, gli spazi pubblici e le infrastrutture urbane (acquedotto, sistema viario) sembrano essere stati oggetto di molteplici interventi durante i primi tre secoli dell’età imperiale. Con l’importante eccezione del circo, localizzato nell’area a Sud-Ovest del Castello Ursino, ma oggi del tutto scomparso e, di conseguenza, non databile con precisione, sembra plausibile affermare che la colonia Catina abbia raggiunto la sua‘maturità’ urbanistica tra la tarda età antonina e l’età severiana, epoca alla quale si datano importanti interventi nel teatro, nell’anfiteatro e nell’odeum.  (1).

Monumenti romani:

25-01-2009 04-58-47

Teatro romano

Teatro (vedi). Un precedente teatro di epoca greca venne restaurato nel corso del I secolo, probabilmente a seguito dell’elezione a colonia romana di Catania, avvenuta ad opera di Augusto. Nel corso del II secolo, forse a seguito di finanziamenti ottenuti da Adriano, assistiamo a un progressivo processo di monumentalizzazione dell’area.

25-11-2012 09-55-21

Anfiteatro romano

Anfiteatro (vedi). Costruito probabilmente nel II secolo a ridosso della collina Montevergine che ospitava il nucleo principale dell’abitato  intorno al III secolo un ampliamento ne triplicò di fatto le dimensioni.

Foro romano

Foro romano

Foro romano (vedi). Costruito prpbablmente dove prma sorgeva l’agorà greca.

Ma la ricchezza della città è testimoniata dalla presenza di un numero rilevante di edifici termali:

Terme della Rotonda

Terme della Rotonda

Terme della Rotonda (vedi). Sono Datate al I-II secolo d.C. Sul sito sorse pure una chiesa di probabile origine bizantina, intestata alla Vergine Maria.

Terme Achilliane

Terme Achilliane

Terme Achilliane (vedi). Sono databili al IV-V d.C.

Terme dell'Indirizzo

Terme dell’Indirizzo

Terme dell’Indirizzo (vedi). II secolo d.C.

Terme dell'Itria, Balneum di casa Sapuppo e Balneum di piazza Dante

Terme dell’Itria, Balneum di casa Sapuppo e Balneum di piazza Dante

Terme dell’Itria, Balneum di casa Sapuppo e Balneum di piazza Dante.

Terme di Misterbianco e di Aci Catena

Terme di Misterbianco e di Aci Catena

Altri impianti termali li ritroviamo non lontano da Catania a Misterbianco (vedi) e ad Aci Catena (vedi).

Ipogeo della collina Leucatia, Mausoleo circolare di villa Modica e Ipogeo quadrato

Ipogeo della collina Leucatia, Mausoleo circolare di villa Modica e Ipogeo quadrato

duebis

Mausoleo del Carmine, chiesa della Mecca

Non mancano i monumenti funerari: il Mausoleo del Carmine, la cripta sotto la chiesa della Mecca, l’Ipogeo della collina Leucatia, il Mausoleo circolare di villa Modica e l’Ipogeo quadrato.

La città ai tempi di Agata antica era ricca di acqua. Al centro della città, al posto della Via Etnea, scorreva un fiume, ora sotterraneo,

Fontana dell'Amenano

Fontana dell’Amenano

l’Amenano (vedi). I Romani avevano costruito un imponente

Acquedotto romano

Acquedotto romano

acquedotto (vedi) che convogliava in città le acque provenienti da una sorgente di Santa Maria di Licodia, un paesino ad una ventina di Km da Catania. La città, ai tempi dei Romani, ebbe come dicevamo molti complessi termali, di cui il meglio conservato è quello detto della

Terme della Rotonda

Terme della Rotonda

Rotonda (vedi). Così come altri monumenti della Catania barocca anche il Duomo fu costruito su parte di un antico edificio romano. La città romana era impostata sul cardo e il decumano, due assi ortogonali attorno ai quali si ponevano gli edifici pubblici. Essa si estendeva dall’anfiteatro al circo, posti l’uno a nord e l’altro a sud. Il

Foro romano

Foro romano

foro (vedi) era situato presso il cortile di San Pantaleone, probabilmente sull’agorà greca. A nord ed a est dell’anfiteatro si estendevano le necropoli. Sono stati identificati resti in via Etnea, sotto la Rinascente, in via

Ipogeo quadrato

Ipogeo quadrato

Ipogeo (vedi), in via Sant’Euplio e a sud della piazza S. Maria di Gesù. (2)

Non è possibile al momento definire esattamente i tempi e i modi dell’introduzione e dell’affermazione del cristianesimo a Catania, anche se si può pensare che qui non pochi fossero i fedeli della nuova religione alla metà del III secolo d.C. quando, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, la tradizione data il martirio di Agata. Notizie più sicure sulla Catania cristiana si hanno invece a partire dal IV secolo d.C. grazie ad un consistente nucleo di iscrizioni ed agli scavi condotti in aree sacre o cimiteriali (3) (ma il nostro racconto si vuole fermare ai tempi di Agata). Appena di qualche anno successivo al martirio di Agata dovette essere l’edificazione del primo tempio cristiano. La chiesa di San Gaetano alle Grotte infatti sorge sui resti di un antico tempio fondato nel 262 d.C. dall’allora vescovo S. Everio col titolo di S. Maria.

Ma torniamo di nuovo all’anno fatidico del martirio di Agata (251 d.C.). A Roma governava Gaio Messio Quinto Traiano Decio che fu imperatore dal 249 fino alla morte, avvenuta insieme al figlio Erennio Etrusco durante la battaglia di Abrittus, e regnando così per soli due anni. Il potere di Decio ebbe le proprie basi nell’aristocrazia senatoriale e nell’esercito, e ad entrambi si presentò come il restauratore della tradizione, tramite un’opportuna propaganda e riprendendo quei tratti del princeps che richiamavano la tarda Repubblica e il primo Impero. Il potere di Decio ebbe le proprie basi nell’aristocrazia senatoriale e nell’esercito, e ad entrambi si presentò come il restauratore della tradizione, tramite un’opportuna propaganda e riprendendo quei tratti del princeps che richiamavano la tarda Repubblica e il primo Impero. Dal punto di vista politico, Decio rivalutò le cariche repubblicane. Assunse per sé il consolato per ciascun anno del proprio regno; ripristinò la magistratura della censura nominando Publio Licinio Valeriano censore; assunse personalmente il comando delle truppe sul campo di battaglia e conferì onori ai soldati indipendentemente dal loro rango. Si richiamò agli Imperatori adottivi, assumendo il nome Traiano in onore e in riferimento all’imperatore considerato uno dei migliori della storia romana (Optimus princeps), sia in campo militare che civile; la scelta non poteva essere più oculata, in quanto Traiano, come Decio, era stato comandante della Germania Superiore prima della sua elevazione al trono. Riprese, dopo vent’anni, un programma di edilizia pubblica a Roma: restaurò il Colosseo danneggiato da un terremoto e fece costruire le sontuose terme Deciane sull’Aventino. Un elemento fondamentale della sua politica di restaurazione fu la promozione della religione romana; si tratta di un aspetto che è poco trattato dalle fonti contemporanee e da quelle pagane, ma che colpì molto gli scrittori cristiani. Un aspetto della politica religiosa di Decio fu l’obbligo per tutti i cittadini romani di sacrificare agli dei dello Stato; in cambio avrebbero ricevuto un libellus, una sorta di certificato attestante l’espletamento del sacrificio. Non è chiara la ragione di tale imposizione, anche se va considerato che era molto generica e non sembra sia stata emanata proprio per combattere il Cristianesimo. Anche altre comunità religiose, legate ai culti egizi e asiatici, furono anch’esse soggette all’obbligo di sacrificare, e alcune lamentarono condanne e problemi con le autorità imperiali. Probabilmente si trattò di una politica volta a restaurare la tradizionale pietas pubblica, un altro dei tasselli della restaurazione della tradizione voluta da Decio. Questa decisione però ebbe un impatto notevole sulle emergenti comunità cristiane, specie quella di Roma (una delle prime vittime fu papa Fabiano), fino a causare delle divisioni interne: in conseguenza alla persecuzione nacque ad esempio il movimento dei Novaziani, mentre la diatriba sulla natura di Cristo si può far risalire a questa epoca. Rappresentante del potere romano a Catania fu il proconsole Quinziano di cui poco o nulla si conosce che non sia legato alla vita di Agata e, quindi, come per Agata, anche per Quinziano, la storia con la leggenda si intrecciano in maniera spesso inestricabile.

Agatha fra storia e mito. Agatha che nasce dai coniugi di Raus (Rao) e Apolla. Fra i suoi avi i Colonna di Roma, il suo bisavolo è il notabile romano Gaijo Colonna; questi è cugino dell’Imperatore Nerone per via della madre di questi Agrippina,  è inviato in Sicilia con le funzioni di Presidente (metà del I sec.d.C.). Alla morte di Nerone Caijo Colonna cessa dall’incarico, rimane in Sicilia e fa costruire a Catania nel quartiere Civita la residenza di famiglia, il “Palazzo” per antonomasia. Dalla moglie Agrippa, mobilissima dama, ha due figli: Caijo e Elvidio III, il primo è sperimentato capitano e condottiero nell’esercito sotto l’Imperatore Nerva (fine del I sec. D.C.), mentre il secondo è Signore del Castello di Galermo (uno dei villaggi costituenti la cintura fortificata di Catania), acquisito perché dato in dote a sua moglie Agrippa nobilissima donzella catanese. A Elvidio III succede Agathum (Agatone), che è il marito di Lucia Opilia, figlia di Lucio Opilio Ruffini, a suo tempo Proconsole di Sicilia, altra famiglia gentilizia romana; da detti coniugi nasce Raus (Rao), il quale come detto è il marito di Apolla, cioè i genitori di  Agatha. Dove nasce Agata? Alcune fonti la vogliono nata a Palermo, altre a Galermo, altre ancora a Catania noi, per amore di patria più che di verità, facciamo nostra quest’ultima tesi. E proprio con il luogo natale di Agata iniziamo un percorso nella Catania moderna che ricorda in qualche modo ii tempi della vita di Agata. Nel periodo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, s’invaghì della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani. Ma più realisticamente si può immaginare un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, potrebbe esserci l’intento della confisca di tutti i loro beni. Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte. È probabile che Afrodisia fosse una sacerdotessa di Venere o di Cerere, e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine di tale affidamento era la corruzione morale di Agata, attraverso una continua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, per sottometterla alle voglie di Quinziano, arrivando a tentare di trascinare la giovane catanese nei ritrovi dionisiaci e relative orge, allora molto diffuse a Catania. Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpi Quinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica e retorica. Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l’intento di piegare la giovinetta. Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie.

La tradizione indica che nella notte venne visitata da san Pietro che la rassicurò e ne risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente all’ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella.

I luoghi di Agata

Casa natale

Casa sant'Agata

Casa sant’Agata

Dietro il Duomo, in via Museo Biscari, alla Civita, si trova quella che la tradizione vuole sia la casa natale  Sant’Agata. Così testimonia una lapide fatta affiggere nel 1728 dalla madre abatessa Maria Rosaria Statella nel prospetto sud del convento di San Placido. In effetti nei sotterranei del convento sono stati rinvenuti resti archeologici coevi alla santa catanese.

La fornace del martirio

Chiesa sant’Agata alla Fornace

Chiesa sant’Agata alla Fornace

Alle spalle dell’Anfiteatro la chiesa di sant’Agata alla fornace. Sopra l’altare dal magnifico paliotto in marmi policromi, si conservano, protetti da una teca, i resti della fornace in cui, secondo la tradizione, subì il martirio la Santa.

Il carcere

Sant'Agata al Carcere

Sant’Agata al Carcere

La chiesa di Sant’Agata al Carcere (vedi).  costruita su ciò che resta del bastione del Santo Carcere, appartenente alle mura di Carlo V del XVI secolo, che difendeva la porta nord (chiamata porta del Re) della città di Catania. Secondo la tradizione in questo luogo venne tenuta prigioniera sant’Agata prima di subire il martirio. La chiesa presenta elementi relativi a secoli diversi. La parte prospettuale risale al XVIII secolo in quanto venne distrutta dal terremoto del 1693. La facciata, su un originale disegno di Giovan Battista Vaccarini, è pertanto in stile barocco siciliano mentre l’antico portale strombato è in stile romanico, e fu recuperato dalla cattedrale. Il portale, unico esemplare in Sicilia dello stile Romanico Pugliese, venne realizzato in marmo bianco con arco a tutto sesto ed è retto da sei colonnine decorate in tre modi diversi (rispettivamente dall’esterno verso l’interno a scacchiera, a spina di pesce e a losanghe), il cui motivo si ripete lungo le strombature dell’arco stesso, e da due pilastrini che fungono da stipiti su cui sono figure e simbologie bibliche, animali reali o immaginari, intrecciati tra loro da una modanatura a motivo floreale. Fu costruito dopo il sisma che rovinò la città nel 1194, su richiesta dello stesso Federico II e proprio quest’ultimo sarebbe rappresentato sopra uno dei sei capitelli, seduto su uno scranno. L’interno è costituito da due corpi diversi. La parte anteriore, ricostruita dopo il terremoto, è barocca con volta a botte; mentre la parte absidale è costituita dalla campata a crociera gotica con tetto a costoloni, terminanti in uno stemma circolare, poggiato su colonne sormontate da capitelli corinzi. Sulla base di alcune recenti teorie tale campata apparteneva ad un sistema di collegamento alla sovrastante chiesa di Sant’Agata La Vetere, che un tempo le era connessa. Tra le opere custodite una pala sull’altare maggiore che rappresenta il Martirio di Sant’Agata di Bernardino Niger. Vicino all’altare del Crocefisso si trovano due lastre di pietra lavica che secondo la tradizione apparterrebbero a Sant’Agata che qui venne imprigionata, nel gennaio del 251, prima di subire il martirio; in una di queste sono impresse le orme di due piedi che, secondo la tradizione, avrebbe lasciato la santa catanese. Accanto ad essa si apre un angusto passaggio che conduce in un locale di epoca romana, attiguo alla chiesa, considerato il carcere di Sant’Agata da cui discende la denominazione della chiesa. Recenti scavi qui effettuati hanno confermato l’esistenza di una grande struttura tripartita coeva al martirio della Santa, la cui funzione tuttavia non è ancora ben chiara. Nella stessa chiesa è conservata la cassa in cui erano contenute le reliquie di sant’Agata riportate a Catania, da Costantinopoli, dai soldati Gisliberto e Goselmo nel 1126, dopo un’assenza di oltre 86 anni.

Sant’Agata la Vetere

Q84A8169

Se c’è un luogo di Catania dove la leggenda e la storia, il mistero e la religione s’intrecciano in un fascinoso groviglio quasi inestricabile, ebbene questo luogo è la chiesa di Sant’Agata la Vetere (vedi). Nell’anno 264, tredici anno dopo il martirio, il vescovo San Everio stabilì l’erezione di una edicola votiva nel luogo dove Agata subì il taglio delle mammelle su ordine del proconsole Quinziano. Dopo l’editto di Costantino il vescovo San Severino, nell’anno 380, fece costruire un vero edificio di culto all’interno del quale custodire il corpo di Agata in un sarcofago romano ancora presente sotto l’altare maggiore. Ampliata in forma di basilica, fu cattedrale della città di Catania fino l 1091 quando il conte Ruggero dispose la costruzione dell’attuale cattedrale consacrata nel 1094. Distrutta dal terribile terremoto dell’11 gennaio del 1693 fu ricostruita nel 1722. Ma della vecchia basilica sono ancora visibili alcuni tratti sotto il pavimento della nuova chiesa e la cripta, rimasta pressoché intatta, che conserva ancora gli scolatoi per la mummificazione dei cadaveri. Subito dopo l’ingresso si trova la cassa in legno che per oltre 500 anni custodì le spoglie di sant’Agata.

Il duomo

Duomo

Duomo

Il tempio è stato più volte distrutto e riedificato dopo i terremoti che si sono susseguite nel tempo. La prima edificazione risale al periodo 1078-1094 e venne realizzata sulle rovine delle Terme Achilliane risalenti ai Romani, su iniziativa del conte Ruggero, acquisendo tutte le caratteristiche di ecclesia munita (cioè fortificata). Già il 4 febbraio 1169, un terremoto catastrofico ne fece crollare completamente il soffitto, uccidendo gran parte dei cittadini riuniti in cattedrale per le festività agatine. Nel 1194 un incendio creò notevoli danni ed infine nel 1693 il sisma che colpì il Val di Noto la distrusse quasi completamente lasciando in piedi solo la parte absidale e la facciata a seguito del crollo della torre campanaria. I resti normanni consistono nel corpo dell’alto transetto, due torrioni mozzi (forse coevi al primitivo impianto) e le tre absidi semicircolari, le quali, visibili dal cortile dell’arcivescovado, sono composte da grossi blocchi di pietra lavica, gran parte dei quali è stata recuperata dall’anfiteatro romano; porzioni di muro d’ambito e il muro di prospetto sono stati inglobati dalla ricostruzione settecentesca. L’edificio attuale è opera dell’architetto Girolamo Palazzotto, il quale si occupò principalmente dell’interno, mentre Gian Battista Vaccarini disegnò e seguì i lavori della facciata con interventi e modifiche protrattisi dal 1734 al 1761; lo stesso architetto fece anche un progetto per la cupola, mai realizzato. Protetta da un’alta cancellata in ferro battuto vi è la maestosa cappella dedicata a sant’Agata. Nella parete sinistra di essa si apre la porta dorata finemente decorata che dà accesso alla camera chiamata dai catanesi a cammaredda, dentro cui vengono custoditi il busto reliquiario di sant’Agata e lo scrigno con le sue reliquie. Nella cappella, decorata da un affresco che raffigura santa Lucia orante sulla tomba di sant’Agata per invocare la guarigione della madre inferma, vi è il monumento funebre del viceré Ferdinando Acugna grande devoto della martire Agata. Sull’altare della cappella è situato un bassorilievo rappresentante sant’Agata incoronata da Dio con san Pietro e san Paolo con gli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

Fontana di sant’Agata alla marina

Fontana di sant'Agata alla marina

Fontana di sant’Agata alla marina

È stata creata per ricordare la partenza del corpo agatino nel 1040 verso Costantinopoli. La fontana, addossata alle mura di Carlo V, venne allestita il 4 ottobre del 1621. E’ composta da una vasca a forma di conchiglia dove l’acqua viene versata da tre cannelle, da una lapide che ricorda l’avvenimento e da un busto a rilievo di S. Agata incoronata. Con ogni probabilità il busto agatino proveniva da un monumento più antico in quanto esso non rivela, secondo gli studiosi, alcuno dei caratteri che distinguono la scultura del XVII secolo.

Chiesa di San Gaetano alle Grotte

Chiesa di San Gaetano alle Grotte

Chiesa di San Gaetano alle Grotte

San Gaetano alla Grotta (vedi) sorge sui resti di un antico tempio fondato nel 262 d.C. dall’allora vescovo S. Everio col titolo di S. Maria. All’interno di una grotta lavica originatasi forse nell’eruzione del Larmisi venne ricavata una cisterna ipogea di epoca romana, in seguito riadattata all’uso di sepolcreto paleocristiano delle necropoli. L’impianto primitivo divenne nel 262 una chiesa cristiana, forse la prima costruita a Catania, prima ancora della vicina chiesa del Santo Spirito eretta ad opera del vescovo San Berillo, e tra le prime in Europa ad essere intitolate a Maria. Inizialmente sede di un martyrion. Le tracce più antiche, precedenti alla trasformazione in chiesa, sarebbero da cercarsi nel pozzo a sud dove sul soffitto rimangono tracce di una campata in mattoni di terracotta, un archosolium (murato per ricavarne l’altare), una falsa finestra e due sedili in pietra lavica. E successivo, sia pur di poco al martirio di Agat fu quello di Euplio (304 d.C.). Gli atti del martirio del diacono Euplio (o Euplo) narrano che il procuratore Calvisiano lo condannò alla fustigazione e alla decapitazione dopo l’esplicita dichiarazione della sua fede cristiana e l’affronto di aver portato i libri dei Vangeli, banditi dall’impero, al suo cospetto. Secondo un’altra fonte, insieme a lui patirono il martirio le vergini Veneria e Nericia.

L’epigrafe Iulia Florentina e un luogo distrutto

Epigrafe_di_Iulia_Fiorentina

 

 

L’epigrafe detta di Iulia Florentina è una epigrafe funeraria in marmo, conservata al Museo del Louvre, che costituisce un importante documento per la conoscenza della prima comunità cristiana di Catania.

 

 

 

Testo latino.

«Iuliae Florentinae infan[t]i dulcissimae atq(ue) innocentissimae, fideli factae, parens conlocavit quae pridie nonas martias ante lucem pacana nata Zoilo corr(ectore) p(rovinciae), mense octavo decimo et vices[i]ma secunda die completis fidelis facta, hora noctis octava ultimum spiritum agens supervixit horis quattuor ita ut consueta repeteret, ac de[f]uncta Hyblae hora die[i] prima septimum kal(endas) octobres. […] Cuius corpus pro foribus martXP(orum) cua X loculo suo per prosbiterum humatu[m] e[st], IIII non(as) oct(o)br(es)»

Traduzione

« A Iulia Florentina, infante dolcissima e innocentissima, divenuta fedele, il padre pose; lei, il giorno prima delle none di marzo prima del far del giorno, nata pagana, mentre zoilos era correttore della provincia, a 18 mesi e a 22 giorni compiuti divenuta fedele, all’ora ottava della notte rendendo l’ultimo sospiro, sopravvisse quattro ore sì da ripetere gli atti consueti, e morì a Ibla la prima ora del giorno, sette giorni prima delle calende di ottobre. […] Il suo corpo [si trova] davanti alle porte dei martiri dove nel proprio loculo è stato inumato per mezzo del presbitero 4 giorni prima delle none di ottobre»

Questa iscrizione funeraria, recuperata nel 1730 a Catania nell’area compresa fra le vie Androne e Dottor Consoli, costituisce un importante documento per la conoscenza della prima comunità cristiana catanese e sulle origini del culto dei martiri, in particolare di Sant’Agata. In essa si parla della piccola Iulia Florentina, nata pagana e battezzata in punto di morte a Hybla, l’attuale Paternò. La parte più importante è però l’informazione che segue, cioè che dopo la morte il suo corpo su trasferito a Catania e sepolto “vicino alle tombe dei martiri”. Questa informazione farebbe pensare che l’area del rinvenimento, dove scavi archeologici avevano messo in luce una vasta area cimiteriale extraurbana, possa essere stata anche il primo luogo di sepoltura e di culto dei martiri catanesi, che pur non citati, potrebbero comprendere anche Agata ed Euplo. A testimonianza di questo, stanno anche due importantissimi ritrovamenti archeologici, effettuati nella stessa zona, che hanno riportato alla luce i resti di due edifici di culto. Il primo è un martyrium del IV secolo (cioè circa un secolo dopo la data tradizionalmente indicata per il martirio di Agata e di Euplo) dalla caratteristica forma a Trichora, cioè una basilichetta triabsidata. E proprio al IV secolo, grazie al riferimento al correttore Zoilos, si può far risalire con una certa precisione l’epigrafe di Iulia Florentina, che fu ritrovata nella stessa area. Successivamente, negli anni cinquanta, nuove indagini hanno portato alla luce, addossata a questo, una basilica molto più grande, databile al VI secolo e abbellita da stupendi mosaici. La particolarità di questa basilica era l’altare posto nel centro, come spesso avveniva nelle basiliche paleocristiane dedicate al culto dei martiri, le cui reliquie probabilmente erano contenute in un sarcofago posto sotto la mensa eucaristica. Purtroppo questi due importantissimi edifici sono stati occultati sotto una moderna costruzione, mentre i mosaici sono stati strappati e giacciono nei depositi della Soprintendenza in attesa di essere collocati nel futuro Museo Archeologico di Catania.


 

 

Il velo di sant’Agata di Marinella Fiume

di Marinella Fiume

Processione col velo di sant'Agata per fermare la lava del 1886

Processione col velo di sant’Agata per fermare la lava del 1886

L’incombustibile Velo di sant’Agata che da tante disastrose eruzioni salvò e salva la città di Catania, nel corso dei secoli, è stato più volte portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell’Etna. È una reliquia conservata nella cattedrale di Catania in uno scrigno d’argento insieme ad altre reliquie della santa. Secondo una leggenda, sarebbe un velo usato da una donna per coprire la santa durante il martirio con i carboni ardenti. Secondo altre interpretazioni, il velo, di colore rosso, faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò in giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l’abito delle diaconesse consacrate a Dio. Secondo un’altra leggenda, il velo era bianco e sarebbe diventato rosso al contatto col fuoco della brace.

Un anno dopo la morte della santa, nel 252, Catania venne colpita da una grave eruzione. I fedeli, allora, andarono in cattedrale e, preso il velo, lo portarono in processione nei pressi della colata. Questa, secondo la tradizione, si arrestò dopo breve tempo. Era il giorno 5 di febbraio, la data del martirio della vergine catanese. Agata è la patrona della città e qui la devozione è profondamente radicata. Secondo alcuni, è la “A”, lettera iniziale di questo popolarissimo nome, che sormonta il monumento principale della città in piazza Duomo, l’elefante magico Eliodoro (u liotru), simbolo stesso di Catania; un’altra “A” si staglia nella pietra sulla facciata del Palazzo municipale; un’altra campeggia al centro dello stemma civico; un’altra, infine, al centro del gonfalone dell’Università. Anche questa è tuttavia un’interpretazione sovrapposta a quella “pagana”, secondo cui la “A” dello stemma della città nel quale la figura del pachiderma, invece dell’obelisco, porta sul dorso l’effigie di Minerva e la lettera, sta per l’iniziale del nome greco della dea Atena, a conferma della fama della città “culla di scienze e arti”, soprannominata l’“Atene sicula” dal nome della dea della sapienza. Un’altra interpretazione più intrigante mette in relazione la “A” all’obelisco della fontana dell’elefante e la collega ad Agathodémon, nome dato al “buon genio” adorato presso gli Egizi sotto forma di Ibis, raffigurato tra le forme e gli pseudo-geroglifici incisi nell’obelisco stesso.

Q84A8152

La figura di Agata, vergine e martire, è stata oggetto nel corso dei secoli di molte indagini di natura storica. Un problema è stato determinato dal periodo in cui inserire il martirio della santa: il III secolo, nel corso della persecuzione di Decio, secondo alcuni antichi scrittori di cose sacre; il IV secolo, durante la persecuzione di Diocleziano, secondo altri. Anche sulla patria le antiche fonti divergono. Infatti, se secondo gli Atti greci Agata sarebbe nata a Palermo per poi essere martirizzata a Catania, gli Atti latini narrano delle origini catanesi della santa. Questa diversa tradizione alimentò violente diatribe fra le due città siciliane. Dal XVII secolo, però, la figura di Agata resta ancorata alla città di Catania.

Le peripezie di Agata non cessarono con la sua morte. Anche le sue reliquie, infatti, ebbero un destino di vagabondaggio che si sarebbe concluso dopo molti secoli. Nel 313, prima della promulgazione dell’editto di Costantino, le spoglie della vergine furono in un primo momento occultate dagli abitanti di Catania e, solo in seguito, furono traslate nella chiesa di S. Agata la Vetere. Fu l’ammiraglio bizantino Giorgio Maniace che nel 1040, mentre combatteva in Sicilia contro i Saraceni, le portò a Costantinopoli. Qui le reliquie rimasero fino al 1126, anno in cui, smembrate in vari pezzi, furono traslate nuovamente a Catania e riposte in otto preziosi reliquiari d’argento nel Duomo, fatto erigere nel 1094 da Ruggero il normanno.

Q84A8161

L’indagine antropologica sostiene che Agata sia la trasformazione in chiave cristiana di antiche divinità pagane, di Iside e delle Veneri locali: Venere-Astarte Ericina, Demetra e la figlia Persefone-Kore. Anche l’archeologo Emanuele Ciaceri scrive che l’archetipo Iside appartiene alla categoria delle grandi dee madri, in quanto dea della fertilità che insegnò alle donne d’Egitto l’agricoltura. Né mancano in città, ma anche nella Sicilia tutta, rapporti con l’Egitto antico. Una statuetta di Iside è stata rinvenuta nella necropoli di San Placido, un ushabti, statuetta funeraria in uso dal Medio Regno, che doveva magicamente risparmiare al defunto i lavori pesanti nell’aldilà, assumendone l’onere. La devozione per sant’Agata protettrice contro i pericoli del fuoco si diffuse durante il Medioevo: se la santa proteggeva contro il fuoco di un vulcano, a maggior ragione poteva difendere contro tutti gli incendi. Nello stesso periodo, si diffuse la credenza che sant’Agata proteggesse anche contro qualsiasi altra calamità naturale: inondazioni, bufere, epidemie e carestie. Ma la santa, martirizzata con l’amputazione di una mammella, protegge soprattutto dalle malattie femminili le devote, le puerpere e le gestanti che a lei si rivolgono per ottenere un parto felice e la grazia di allattare al seno i propri figli.

culto-iside

La dea Iside

La festa in onore di Agata, patrona della città di Catania, tra le più pittoresche d’Italia, si svolge dal 3 al 5 febbraio e rivela un fitto sincretismo di paganesimo e cristianesimo. Numerose sono le affinità di Agata con la dea egiziana Iside. La festa dedicata a Iside era una festa marinara: il Navigium Isidis, la festa dedicata alla Grande Madre egiziana, secondo il rito, imponeva la processione verso il mare, dove veniva consacrata alla dea la nave che poi sarebbe stata messa in mare. E d’indole marinara all’origine, spiega Ciaceri, pare fosse la festa di sant’Agata, come avveniva in Corinto, dove era approdata la nave con le sacre reliquie della santa. A Catania, la processione dal tempio scendeva alla marina, non per lanciare in mare la nave, ma perché là era approdata la barca recante le sacre reliquie della santa. Ancora, alla processione della dea Iside i suoi adepti recavano sugli abiti una tunica di lino bianco simile al “sacco” agatino. Inoltre, grande ruolo svolgevano le donne nella festa né mancava il ricorso alla mascherata come avveniva nella festa celebrata a Corinto. Questo riferimento allude al rito catanese delle ntuppateddi, in voga per la festa di sant’Agata fino allo scorso secolo, quando le donne, signore o popolane, maritate o nubili, nei pomeriggi della festa, potevano uscire da sole, mescolarsi alla folla, ricevere dolciumi e le attenzioni dei cavalieri incontrati per caso in strada.  Il riferimento è alle manifestazioni propiziatorie della fertilità del culto alessandrino di Iside.

L’usanza venne completamente abbandonata dopo il 1868 e così cancellato questo forte riferimento al culto femminile di Iside. Infine, al velo di Iside si sarebbe sostituito il velo agatino.

La dea Iside dalle molte mammelle simboleggiava, nel suo ruolo di nutrice, la forza riproduttrice della natura, sicché, durante il rito, un ministro del culto reggeva in mano un vasetto d’oro a forma di mammella e faceva libagione di latte, e  dei pani a forma di mammella erano presenti nelle processioni dedicate alla dea. Del resto, il seno, quale simbolo di vita, è un importante attributo delle Madri mediterranee e la simbologia del seno affonda nell’origine stessa del mito. Dall’egiziana Iside ad Afrodite a Persefone ad Artemide, l’immagine della mammella è legata a un primordiale principio di fecondazione e nutrimento. Interessante, sotto il profilo antropologico, è vedere come a Catania sia stato creato un dolce antropomorfo detto le “minnuzze di Sant’Agata”, cassatelle ripiene di crema con una glassa bianca in superficie e una ciliegina a mimare il capezzolo. Un dolce che affonda le sue radici nel “cannibalismo sacro” di ancestrali religioni, per cui mangiare ritualmente qualcosa che rievochi parti del corpo della divinità significa assumere dentro di sé la divinità stessa. E il rituale più antico in cui si ingeriva la carne e il sangue della vittima fu quello di Osiride, in cui gli iniziati mangiavano crudi la carne e il sangue di una vittima, circa due millenni e mezzo prima che nel culto cattolico romano fosse introdotta la comunione.

(Liberamente ripreso  da “Il culto di Sant’Agata-Iside”, in Marinella Fiume, “Sicilia esoterica”, Newton Compton, 2013)


Sant’Agata e la Sicilia a cura di “TI CUNTU” (https://www.facebook.com/pages/Ti-cuntu/258962690951220)

tratto da “Spettacoli e feste popolari siciliani” di G.Pitrè

Pochi santi ebbero in Sicilia tanto culto quanto n’ebbe Sant’Agata nei secoli passati. Palermo e Catania gareggiarono di zelo per onorarla, e palleggiarono di botte e risposte per riuscire a provare come qualmente ella fosse stata palermitana o catanese. L’ opinione più comune è che essa nacque in Palermo e ricevette il martirio in Catania. A causa perduta i Palermitani si rassegnarono nella persuasione che S. Agata
se non fu loro concittadina fu almeno loro visitatrice; e in una delle tre chiese a lei dedicate, in quella cioè sopra le mura; additarono sempre non so qual vivo sasso, ove la Santa avrebbe posato il piede e lasciatovi miracolosamente impressa I’ orma di esso. Ma questa pia tradizione è molto contrastata, ed uno storico catanese dice che falsamente si attribuisce dai Palermitani questa pedata a S. Agata. Oltre della Chiesa sopra le mura o la pedata erano sullo scorcio del quattrocento due altre chiese nel nome di lei : S. Agata di Civilcarii o delli scorruggi o serocaldi , e S. Agatuzza la Guilla. Ogni anno al 5 febbraio avea luogo una solenne processione, che partendo dalla chiesa e percorrendo mezza città avea termine nella chiesa delli scorruggi, oggi quasi abbandonata. Gli agiografi ci han serbata memoria di quella processione, cui prendea parte tutto il Clero, il Senato cli Palermo ecc. Era festa comandata : nessuno potea lavorare, nessuno aprir fondachi e botteghe, sotto pena di onza una (L. 12, 75) di multa. I popolani che abitavano i pianterreni per i quali la Santa avea a passare, erano invitati a spazzare il dinanzi della porta, a parar questa di fiori e festoni, Ma quel che rendeva caratteristica la processione era l’ andarvi persone ignude per ragione di penitenza. Questa nudità era essa nell’intiera accezione del vocabolo, ovvero parziale? Il Villabianca avverte che per l’amore delle indulgenze vi si andava nudi della persona (e non scalzi); e conferma I’ avvertenza un erudito palermitano in una serie di Aneddoti siciliani inediti ed altri scrittori , a capo dei quali è l’Amato; ma io inclino a credere che per nudità debba in questo caso intendersi a piedi scalzi e gambe nude, ovvero, che è più probabile, coi soli calzoni lasciando scoperto il tronco fino al basso ventre. Del resto trattandosi di una penitenza da farsi nel cuor dell’inverno non è inverisimile che la si sostenesse con quel rigore di nudità. Nel Tabulario del Senato di Palermo, pag. 9, è un bando del 1º febbraio 1481 che ordina quella• festa. Eccolo, anche come curiosità dialettale:
« Sia notu e manìfestu ad ogni persuna, como li Magnifìci e Spettabili Sìgnurì Preturì et ,Jurati di quista felichi patria di Palermu, cum interventu di lu Reverendo Patri Vicario di la Majuri Ecclesìa, attìsu che per autentica scriptura, translata di Grecu in Latinu, costa, como la illustre et ínclita S. Agata Vergini et Martiri di Jesu Christu , fù nata in questa felichi chitati, et di poi martirizata in la clarissíma chìtatì di Catania, di la quali Santa nostra Chitatina havemo una excellenti reliquia di lu só santu braczu, hanno deliberatu, chi la sua fìstivìtati, che sarà a Ii chincu di Frìvaru prossime da venire, ogn’anno si digia celebrari, e fari grandi festa, et sollennitati, et conduchiri la ditta reliquia per la chitati; et per tanto comandano Ii dítti sígnuri offìcialí, et Vicario che quilla mattina essendu bon tempo, ogn’uno, homini e donni, Religiosi, et Casi di disciplina, e tutti Conventi si digiano retrovare a spunta di suli a la Ecclesia di S. Agata, fora di la porta che và a Sautu Spirìtu, undi si predica, e canta la Missa, et da poi si partirà, e. farrà Ia via di la ruga di li Pergulí, et nexirà a la strata grandi, calando per la Feravecchia, e per la Loggia, et andirà a Matri Ecclesia: ogn’unu si chi (ci) digia trovare devotamente, e quelli personi, che per devozioni di la Santa vorranno andari nudi, guadagniranno grandi indulgencia, a la quali ogn’uno preghirà per la sanitati di questa Patria. Comandanu ancora, che ogn’uno dígia annittari davanti la sua ruga; et ornarili, accussì comu lu jornu; tantu di fora la chitati, quantu dintra: non si digia fari servicìu alcunu, në apriri putichi, nè vindiri, nè accaptarí cosa alcuna, como si fussi lu jornu di Pasqua, subta pena di unza una, d’applicarsi la mitati a li Maragmi di la Ecclesia et un’altra a li fussati senza remissione alcuna, »
Un bando simile fu emanato il 1 febbraio del 1499, nel quale tra le altre cose si ordinava « chi uno anno la ditta processioni si digia partiri di S. Agata fuora li mura de petra, e passarí pri I’Albergaria, ed andari a la Ecclesia di S. Agata, che è a Civalcari dellì Scorruggi, e delle mura, ecc. e l’anno prossimo di veniri, si partirà di S. Agata fori la citati, e cussì l’autru annu pri l’auturu quarteri pri dari festa, alligrizza et consolationi ad• ogni una: pri tantu tutti pirsuni religiusi, e casi di disciplina, a spuntata di lu suli, lu dittu jornu si diggiano presentari a la ecclesia di la ditta S. Agata di Civalcari, pri accumpagnari la ditta processioni, et ogni uno lo ditto jorno diggia scupari, et annittarì li viali, undi passirà Ia ditta prucissioni, et ornarili more solito; e cuí Io ditto jornu guardirà la festa, lo R.mo sig. Arch. li duna XL jorna di pirdunanza .. »
Altri bandi si hanno del 26 gennaio 1502 e del 4 febbraio 1516, e tutti confermano la grande venerazione della Santa, in onor della quale si bandì qualche volta il palio Ma con l’andare del tempo quel fervore andò scemando. Nel 1601 un diarista palermitano si entusiasta per la solennità del. 5 febbraio in onore della santa concittadina. Verso la fine del secolo passato la processione era ridotta ad assai poca cosa, siccome ce ne fa fede il citato march. Villabianca. Quando ultimamente si proibiva in Palermo qualunque pubblico spettacolo religioso, la processione non era più in vigore, e riducevasi a un giro di poche comunità religiose dentro il Duomo.
Cercando la ragione di tanto intiepidir di devozione, io la trovo nel cresciuto culto di S. Rosalia. Accadeva d’ordinario che una nuova santa presa a patrona d’una città. togliesse il posto nella solenne festività alla santa che trovava: e S. Rosalia dopo il 1625 lo tolse a S. Cristina, antica patrona palermitana, a S. Ninfa, a S. Agata, ai santi Raimondo e Nonnato e ad altri santi e beati che ora il popolo conosce solo di nome.

Porta Sant'Agata a Palermo

Porta Sant’Agata a Palermo

In Catania però il culto di S. Agata non è stato scalzato da nessun beato, e questa santa « sta come torre ferma che non crolla. »
Patrona e protettrice della città, essa ha un festino annuale, che dura tre dì. Rimando il lettore che voglia la descrizione di quella festa alle opere storiche catanesí, particolarmente alle Memorie del Carrera, e riporto due di tre ottave siciliane di Andrea Pappalardo poeta illetterato catanese, il quale così ne fa cenno:
Ppi li dicìarottu Agustu pazzu ‘ntantu
Principia lu fìstinu a cumprimentu,
A li Stùrîi cc’è grun sonu e cantu,
Ognunu accorda ccu lu sò strumentu :
Ogni citati javí lu sò santu,
O puru santa cornu hê ‘ntisu e sentu;
Ma sugnu catanisi e mi l’avantu.
Lu fistinu in Catania è spaventu.
Lu carru ppi Catania è ‘na ‘rannlzza
Massimamenti quannu non si strazza,
A caminari ppì lu chìanu addrizza
Benchì camina a tempu e ‘un si strapazza;
A poi si vìdi ‘n’autra biddizza
Quannu fa la vutata di la chiazza :
Sant’Aita dda supra ‘n tanta autizza
Pari ca ccu li manu a Cristu abbrazza.
Io mi rimango alla sola parte degli usi e costurni di carattere popolare. E tra gli usi v’è anche quello della processione dei nudi. « I condottieri della bara di S. Agata, scrivea verso la metà del secolo XVIII il Carrera, si chiamano gli Ignudi perché vanno coi piedi scalzi e gambe ignude, havendo su le vesti una camìcía lor livrea speciale. Ciò provenne dal ritorno delle sacre reliquie fatto dal Castel di Jaci in Catania l’a. 1126, imperocchè allora gran parte de’ cittadini (intendo dei maschi) andò ignuda a ricevere il Santo corpo fasciato nel mezzo della persona solamente d’una avvolta tovaglia, al che ciascuno si mosse dall’esempio del vescovo Mauritio, che vi handó a piedi scalzi e ciò fu fatto per volontaria afflitìone e penitenza presa per puro affetto e devotione della Santa, Questo uso da poi si frequentò per ogni festa di febraio, ma per cagion de’ freddi con acconcio dell’habito, rimanendo ignudi solo i piedi e le gambe, e ‘I resto del corpo delle communi vesti coperto e d’una camicia di sopra come si disse. Le donne bramose ancora di andare all’incontro della Santa, per non esser vedute o conosciute in campagna ritrovarono I’ invention degli occhiali; così dìciamo quel bianco fazzoletto di tela che legato su ‘I capo e pendente copre il volto della donna, nel quale ove gli occhi debbono rimirare vi si formano due spiragli a fenestrette. Da quel tempo insin0 al presente s’è. continuato questo uso nelle donne, ma specíalmente nelle feste della Santa a febraio e agosto: il che per le donne povere a gran commodítà risulta, e per esso, e per tutte I’altre a cautela di honestà, togliendosi l’occasione d’esser vagheggiate da’ giovani »
Anche a’ nostri giorni si hanno de’ nudi a quella solennítà, ma se la voce è tradizionale il significato è cangiato. Nudi son detti coloro che il 4 febbraio , giorno del giro trionfale della Santa , vestono un sacco, soppravveste di lino bianchissimo che si attacca ai fianchi con un cingolo a guisa di camice ; e si mettono sotto il fercolo ov’essa, la statua della Santa, è piantata. Il sacco è segno di allegrezza e di giubilo. Le donne per non farsi conoscere, vestite colla massima eleganza, coprono la metà della persona dalla vita in su con un manto di seta nero, lasciando soltanto aperto I’ occhio destro onde guardare e dirigersi in istrada; ed hanno fìguratamente il nome di attuppateddi. Vanno esse a due, a tre ed anche più, o sole, o a braccio di parenti o d’amici . Molte se ne dissero di queste donne così camuffate, e delle conquiste amorose che si fanno in quel giorno soprattutto per un po’ di libertà che sotto quella foggia si hanno; ma non bisogna credere a relazioni di viaggiatori e ad aneddoti di piacevoli novellieri. Quel che c’è di vero è che l’attupateddi andando per istrada (e ve n’è migliaia, sì che il Corso Stesicoreo ne è come invaso) s’accostano a qualche amico o conoscente, e prendendolo sotto il braccio lo conducono a un dolciere per averne confetti od altro che Ioro aggradi. Colui deve pagare e mostrarsi generoso e cortese. Le meno prudenti ti menano a un negozio di minuterie, e scelgono a loro gusto. Ed ecco una bella occasione per ottenere quello che non s’è mai avuto nell’ anno. Una moglie che chiese invano un oggetto d’oro al marito saprà coglier questo nella folla; e farsi comperare per ossequio all’uso ciò che per piacere ella non ebbe comperato mai. Così farà una figlia, così una sorella. E’ ben facile che talora in questo si trasmodi, ma comunemente la spesa suol essere, almeno ora, assai modica: di poche lire.
E poiché siamo a Catania non dimentichiamo che miracolosissimo per gl’incendì fu sempre il velo di S. Agata che là si conserva. Più e più volte esso fu posto da’ Çatanesi in faccia al fuoco dell’Etna ; e vi sono relazioni a stampa e a penna di quelle eruzioni: scene dolorose e terribili di un popolo minacciato di esterminio o dalla fame da quel vulcano, Il catanese Tedeschí racconta che l’esposizione del velo bastó ad arrestare I’incendio d’un grand’albero, come in S. Giovanni di Galermo ad impedire che si riempisse di lava una cisterna. Sìmìgliante virtù ebbe talora il drappo nel quale esso venne ìnvolto ; come quando un sac. Paolo Torrisi delle liste dì quel drappo circondò le siepi del suo podere, che rimase illeso dalle fiamme e la bambagia onde furono tocche le reliquie della Santa, la quale bambagia attaccata. alle siepi le salvò dal fuoco, le rese impenetrabili, inaccensibile essa stessa in mezzo al fuoco; per cui il Carrera, facile accoglitor di notizie e leggende sulla vergine protettrice della sua patria, ricorda di aver visto dopo un secolo la vigna di S. Agata, vigneto tra il casale di Nicolosi e il monastero di S. Nicolò il vecchio, che nell’eruzione del 1536, circondato di quella bambagia, non fu menomamente toccato. Oltre di queste tradizioni di fatti prodigiosi S. Agata ha leggende popolari inprosa e in verso. Una di esse molta antica ne canta vita, martirio e miracoli conforme al leggendario de’ santi. Secondo la tradizione orale S. Agata sarebbe stata una tessitrice di straordinaria bellezza. Un tale se ne sarebbe innamorato e l’avrebbe chiesta in moglie a’ genitori. La vergine catanese, perchè riluttante alle nozze, I’ avrebbe tenuto a bada permettendogli di sposarlo sì tosto che avesse finito di tessere una tela che avea per le mani. La condizione parve plausibilissima e perciò fu accettata. Ma la ragazza, che di giorno tesseva, di notte disfaceva; e così potè liberarsi dal molesto ed odioso uomo. Di qui la frase popolare che si ripete a proposito cli cosa che non si finìsca mai: Essiri comu la limpia di S. Aàti; alla quale si suole aggiungee: ca la notti tissia, e lu jornu scusia (limpia non ha significato come nome sicìliano , ma la s’ intende per tela ; e v’ è chi dice Essiri comu la tila ecc.). In Catania più chiaramente : E comu la tila di S. Aita, ca non si finía mai. Evidentemente qui la storia di Penelope è stata cristianizzata e santítìcata. Più tardi Agata destò le insane voglie d’ un re pagano, e perchè recisamente rifiutossi le furono asportate Je mammelle. Per questi due fatti ella fu tolta a lor protettrice dalle tessitrici, a loro medichessa dalle donne cui si ammalano le poppe. Le une e le altre hanno preghiere per lei, e mentre le prime riconoscono da S. Agata ogni fortuna, le seconde le offrono mammelle di cera a guarigione ottenuta. La leggenda catanese dianzi citata si chiude con questi versi:
Per quilli sancti et dilicati minni
Ki di lu pectu ti foru xippatì,
Fali di sanltatl, o Sancta, dignl
A quilli donni ki l’ anu malati.
In alcuni paesi ne’ quali il pane si fa in famiglia non si suole tralasciare qualche pezzo che, col nome di minnuzzi di Sanit’Aàti, rappresenta le mammelle della Santa. E’ una devozione come quella per S. Lucia e per S. Biagio.
In Catania s’invoca il nome di S. Agata come testimonio di verità ; così dicesi al suono della campana d’una chiesa che da chi parla con altri vien inteso in mezzo al discorso: Santa vuci di Diu! ma se sarà la campana del Duomo battezzata col nome di S. Agata, allora dicesi da chi parla: Sant’ Aita biniditta! quasi a testimoniare col npme della Patrona della città la verità della sua affermazione.
Siccome i proverbi meteorologici fanno a gara per anticipare le stagioni, così un proverbio dice che per il 5 febbraio il Sole è già sulle strade: Sant’Agatì, Lu Suli ‘ntra li strati.

Chiesa di San Pietro - Piazza Armerina "Il martirio di Sant'Agata"

Chiesa di San Pietro – Piazza Armerina “Il martirio di Sant’Agata”

Note biografiche

Per altre notizie sulla Catania romana vedi lo speciale di Etnanatura.

(1)  Il culto di Sant’Agata-Iside”, in Marinella Fiume, “Sicilia esoterica”, Newton Compton, 2013

(2) http://www.goccediperle.it/catania/arte/catania-romana/

(3) http://www.cormorano.net/catania/storia/cittarom.htm

(4) https://www.academia.edu/1311270/Prima_di_Agata_il_rilievo_di_Demetra_e_Core

(5) http://www.academia.edu/330401/LO_SVILUPPO_URBANO_DI_CATANIA_DALLA_FONDAZIONE_DELLAPOIKIA_ALLA_FINE_DEL_V_SECOLO_D.C

Tutto quanto non specificato è dovuto a Wikipedia

Share Button