Pozzo Blandini

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03-02-2013 09-38-22Verso la seconda metà del XVII secolo il Principe di Palagonia decise di dare in censo la parte collinare dello Stato lasciandosi la pianura, da sempre coltivata a cereali e quindi più remunerativa. I campi dati in censo, ricadenti sulle contrade Vigne, Tre Fontane, Camolino, Pozzillo, Balata, Scarpozziello, Carrubelli, Acqua Amara, Munceperi, Cermollica, Pallio, S. Leonardo, Malferraro, Pietre Nere, Targia, Cavoni, S. Giovanni, ecc.., difficilmente coltivabili a grano vennero adibiti alle coltivazioni arboree come l’ulivo, il sommacco. Nella seconda metà del XIX secolo una parte di questi terreni venne trasformata in aranceti. Ben presto vennero scavati dei pozzi per reperire acqua necessaria a coprire i fabbisogni estivi degli aranceti. Intorno ai pozzi vennero costruite delle strutture, come il Pozzo Blandini, che avevano una duplice funzione: – sollevare l’acqua con la noria azionata da animali (come asini e muli che mediante una scala salivano sul tetto o sul piano inclinato); – essere abbastanza alti da far arrivare l’acqua, per caduta, nelle parti più alte dei giardini. Negli anni trenta ogni giardino aveva un pozzo, ma l’arrivo delle macchine a vapore prima e delle pompe sommerse poi hanno reso superflue queste strutture che sono state abbattute, tranne qualcuna. Poco distante dalla basilica di S. Giovanni si erge il pozzo Blandini una imponente struttura di ingegno agrario costruita intorno alla metà del XIX sec. La struttura, a pianta circolare ed alta sei metri, costruita intorno al pozzo aveva una duplice funzione: sollevare l’acqua attraverso la “noria” (un tradizionale sistema azionato da animali da tiro tramandatoci dagli Arabi) e poi farla arrivare agli aranceti posti più in alto rispetto al pozzo stesso grazie alla forza impressale dalla caduta.

Da http://web.tiscali.it/Palagonia/pozzo.htm

Sito Etnanatura: Pozzo Blandini.

 

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Stabilimento Monaco

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06-04-2014 10-17-43Un tempo, lo stabilimento “Francesco Monaco e Figli” sorgeva vicino alla stazione della Circumetnea. Il fabbricato misurava circa 125 metri di profondità con 60 di prospetto e si elevava con i suoi quattro piani per quasi 18 metri. Gli altri locali, magazzini, uffici, il fondaco, si estendevano fino a via Roma. Le attività che vi si svolgevano erano diverse: pastificio, distilleria e mulino. Nel 1910, i fratelli Monaco si divisero le diverse branche produttive, Antonino impiantò a Catania la distilleria e l’industria dei derivati dell’alcool e Lorenzo continuò a Misterbianco con il mulino e il pastificio. Il mulino in 24 ore era capace di produrre circa 500 quintali di sfarinati. Vi arrivarono a lavorare fino a 200 persone. Nel 1900 i Monaco cominciarono la produzione dei cognac. Si racconta che le loro cantine potessero contenerne costantemente una riserva di oltre 2000 ettolitri. La fama dello stabilimento era tale che, nel 1901, perfino il ministro Giovanni Giolitti volle venire a Misterbianco per visitare lo stabilimento. Nel 1919, grazie ai Monaco si ebbe la prima illuminazione elettrica; fin dal 1866, infatti, le strade del centro storico erano illuminate con fanali e lampioni a olio. Grazie a un contratto tra la ditta Monaco e il Comune, dunque, fu la zona dello stabilimento a godere di questo vantaggio. La corrente veniva erogata agli utenti senza contatore, a forfait; per avere l’illuminazione pubblica e privata in tutto il paese si dovette aspettare il 1923. Lo stabilimento contava anche attività di riparazione e manutenzione, con una falegnameria, un reparto per confezionare i sacchi, una fucina, un’officina meccanica, dotata di macchinari per l’epoca modernissimi; un grande pozzo per la necessità di acqua. Nel corso della sua lunga carriera industriale, la ditta ebbe numerosi attestati di stima e di simpatia; premi, riconoscimenti e medaglie in mostre ed esposizioni, da Catania a Palermo, a Parigi. Lo Stabilimento Monaco con le sue modernità era un’industria all’avanguardia che eccelleva nella capacità organizzativa, nella produzione e nell’esportazione. Tutto avrebbe fatto pensare a uno sfolgorante futuro e, invece, la sera del 20 aprile 1922 il fuoco (pare fatto appiccare dallo stesso Monaco, snervato dalle richieste sindacali dei lavoratori) distrusse tutto, lasciando solo le mura esterne, qualche locale e la svettante ciminiera. L’impresa Monaco era conosciuta ed apprezzata in tutto il continente, infatti numerosi furono i riconoscimenti e le onorificenze conseguite alle Esposizioni Nazionali ed Estere (all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1900, il giurì decretava il “Grande Prix” per le paste alimentari; Medaglia d’oro a Palermo nel 1891 e a Milano nel 1906 per il “Bellini”, il “Cognac” e per lo “Champagne” ).

Da http://siciliaisoladaamare.wordpress.com/

Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Stabilimento Monaco.

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Acquedotto Biscari

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1908234_623793697673871_414969031_nL’acquedotto Biscari è un documento “vivente” della Contea adornese dei Moncada, l’ultima architettura di età aragonese e “precircondariale” di età borbonica. Simboleggia la fine di un secolo di splendore urbanistico e architettonico, che non ha riscontro nei secoli passati nella cittadina etnea. In questo secolo di “ripresa architettonica” si deve inquadrare anche quella economica, basata sull’agricoltura e sul commercio, che furono il vero motivo per cui fu costruito l’acquedotto, per iniziativa del Principe Biscari, Ignazio Paternò Castello, di cui rimane il nome. L’acquedotto-ponte fu costruito per la prima volta nel 1761-1776 e in una seconda volta nel 1786-1791. La condotta è costituita da 31 archi uniformi a sesto acuto che si sviluppano per centinaia di metri, di varia grandezza e altezza che attraversano le ripe del fiume per una lunghezza di circa 1330 piedi (400 metri) e con un altezza di circa 40 metri. L’arco principale, infatti, appena ogivato, ha un altezza di “130 piedi” (40metri). Sull’acquedotto e sulle sponde venne appoggiato un secondo ordine di archi che raggiunse la lunghezza di 360 canne (circa 740 metri). Il costo complessivo dell’opera fu calcolato in 100.000 scudi.
Da https://www.facebook.com/notes/antonio-barrasso/adrano-lacquedotto-biscariil-principe-ipcastellola-coltivazione-del-riso-e-un-te/10152039493622994
Foto di Salvo Nicotra.
Sito Etnanatura: Acquedotto Biscari.

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