Villa Calanna

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07-04-2013 09-16-39Villa Calanna è una splendida casa padronale purtroppo in stato di grave abbandono con i tetti parzialmente crollati. E’ completa di palmento, cantine ed altri opifici destinati alla trasformazione delle olive e dell’uva. All’interno della Villa Calanna si possono osservare sale dalle splendide volte affrescate. Le colonne che reggono il portico sono di probabile origine romana. Dalla Villa, guardando verso Sud-Est è possibile ammirare un intatto sistema di canalizzazione delle acque (saja) che circonda una maestosa cresta di pressione, un condotto lavico che, nel corso dell’eruzione che lo ha generato, per aumento della pressione interna, si è gonfiato fino a spaccarsi. Più avanti è possibile raggiungere la Casazza, antico agglomerato di case rurali. Queste costruzioni, non ancora valorizzate come meritano, conservano elementi caratteristici degli edifici signorili siciliani.

Pagine Etnanatura: Villa CalannaGazzena.

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natale

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Pubblicato in News

Torri sant’Anna e Alessandrano

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19-12-2014 11-35-57Sia la Torre Alessandrano che la quadrangolare Torre di Sant’Anna nel borgo di Capo Mulini (1585), insieme con la Garitta di S. Tecla (vedi) e la Fortezza del Tocco (vedi), protessero la Timpa di Santa Maria La Scala (1592-1616) secondo il piano di fortificazione federiciano di epoca sveva. La Torre Sant’Anna, fu iniziata nel 1582 in corrispondenza del Capo Mulini e finita in circa un ventennio. Vi alloggiava un corpo di guardia con il compito di allertare all’avvicinarsi di navi corsare. Nel 1868 la torre di Sant’Anna venne convertita in faro. Oggi si trova in una proprietà privata.

Pagina Etnanatura: Alessandrano e sant’Anna.

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Catania sconosciuta

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25-01-2009-05-17-55Con l’arrivo dell’inverno potrebbe essere interessante scoprire con poco sforzo le bellezze nascoste di Catania. Tutti conoscono la via Etnea e molti apprezzano per la sua bellezza via Crociferi ma quanti sono in grado di individuare il percorso sotterraneo del fiume Amenano, ritrovare le vestigia romane della città o i resti delle mura che l’hanno difesa dalle invasioni? Sono i piccoli tesori nascosti, spesso sconosciuti se non trascurati, che restituiscono la bellezza e il fascino misterioso di una città unica. Ed è per questo che vi proponiamo tre itinerari nella storia della città:

  1. Catania romana
  2. Il fantasma del fiume Amenano
  3. Catania fortificata

 

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Grotta santa Maria della Neve

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12-12-2014 11-21-07Sulla strada provinciale che scende verso il mare, a breve distanza dalla Villa Belvedere, si erge una minuscola chiesetta dal nome suggestivo che rievoca tempi e fatti avvolti nella leggenda anche se storicamente collocati a metà del ’700. L’antichissima grotta lavica, parte integrante dell’attuale chiesetta, che curiose leggende dipingevano come ricettacolo di ladri e assassini o addirittura dimora di demoni ed orride bestie, fu in verità adibita da qualche pastore della zona a ricovero per le capre, o scelta come rifugio provvisorio da qualche “discursore di campagna” nell’attesa di assalire malcapitati viandanti che solitari si avventuravano per quel sentiero. Nel 1752 un pio sacerdote, don Mariano Valerio, per adempiere ad un voto pensò di tramutarla in chiesa con l’intento di esporvi un presepe e ricordare così la nascita di Gesù. Per l’occasione, scrisse pure una collana di sonetti in dialetto siciliano da recitarsi davanti al presepe della Grotta ogni mese. Morto il Valerio, divenne Rettore della chiesa il can. Pasquale Pennini che nel 1820 ampliò la grotta costruendo un pronao con tre colonne e abbellì il prospetto in pietra bianca su cui spiccano i componenti della Sacra Famiglia, ben visibile dal mare di S. Maria La Scala. Qualche anno prima che la chiesetta subisse questi restauri, fu dato l’incarico di rinnovare il presepe ad un bravo artigiano acese, Mariano Cormaci, il quale si era messo in luce avendone costruito uno bellissimo nella chiesa madre di S. Venerina. Il Cormaci,attivo tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800, verso il 1812 plasmò nella cera, insieme allo Zammit, conosciuto come “ u nuticianu” perché proveniente da Noto, e al romano Santi Gagliani, le teste dei pastori; le mani, invece, furono intagliate nel legno ed inseriti in manichini rivestiti con varie stoffe, a seconda del ruolo dei personaggi che risultarono quasi a grandezza naturale. Le stoffe dei vestiti, ad eccezione delle sete e dei damaschi con ricami in oro dei Re Magi, rovinate purtroppo dal tempo, sono state rinnovate, mentre le barbe ed i capelli dei pastori sono ancora gli stessi donati dai fedeli come ex voto. Gli animali presenti sulla scena, pecore e conigli, sono stati modellati in gesso. Per questi lavori eseguiti con tecniche raffinate e con risultati artistici veramente sorprendenti, il Cormaci ricevette un compenso annuo di onze due e tarì 15, poca cosa per un lavoro così ben fatto. Si disse – ma è solo una diceria – che per modellare quelle teste l’artista avesse usato una tecnica segreta, poiché i successivi restauri non riuscirono ad imitare la tecnica conosciuta solo da sua nipote: in seguito alcuni volti furono rinnovati in gesso o in cartapesta con risultati meno apprezzabili, tanto che nei restauri del 1984 sono stati accantonati. Le figure sono di un realismo impressionante e formano un’interessante tipologia popolare e un ricco campionario di costumi dell’epoca. Lo spettatore, colpito dalla dolcezza dell’evento narrato a cui partecipa la natura tutta, è attratto da “Jnnaru”, coperto di stracci, contento di stare a scaldarsi davanti al braciere. Tra i personaggi tipici ricordiamo anche il Suonatore di cornamusa, lo Spaventato della grotta, i numerosi contadini – belli, dolci, estatici – che recano in dono ceste di arance, fiscelle di ricotta ed altre umili cose che poveri pastori “alla campìa” potevano offrire a Gesù appena nato. Tutti fanno da corona alla Sacra Famiglia: a fianco a Maria che osserva estasiata la sua Creatura con un sguardo materno pieno di dolcezza c’è S. Giuseppe, pensoso, appoggiato al suo bastone; e tutti sembrano cantare, per celebrare la sacralità della vita, il terzo “mistero gaudioso” nel colorito dialetto:
Parturistuvu Gran Signura
‘nta ‘na povera mangiatura:
e nasciu Gesù Bammineddu,
‘mmenzu ‘nvoi e ‘n’asineddu.

Sul finire dell’800, la chiesetta che intanto aveva preso pure il nome di S. Maria della Neve, restò chiusa per qualche anno, ma a partire dal 1900, grazie all’interesse della nobildonna M. Serafina Pennisi, erede dei Valerio, fu riaperta al pubblico per le festività natalizie con la celebrazione di una messa presieduta dal vescovo mons. Genuardi. Nel 1984 la Sovrintendenza per i beni culturali di Catania ha restaurato ogni componente del Presepe facendo sì che fosse cancellata l’usura del tempo e la violenza di discutibili restauri precedenti. All’ingresso, sulla stretta parete del pronao fa bella mostra di sé la splendida pala d’altare di Vito D’Anna raffigurante la “Natività”, forse dipinta nel 1740, dal pittore palermitano poco più che ventenne negli anni in cui frequentava la bottega del nostro Paolo Vasta, i cui influssi sono evidenti. Delicato il volto della Madonna, ricche le vesti della giovane donna che invita il figlioletto a rendere omaggio al Bambino Gesù mentre sullo sfondo, nella penombra, S. Giuseppe manifesta la sua ieratica, discreta presenza a così grande mistero.
(Testo tratto dall’opuscolo “Angeli e Campane”)

Pagina Etnanatura: Grotta santa Maria della Neve.

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Gancia Chiancone

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20101226 113Circa diecimila anni fa una porzione del versante orientale del vulcano Mongibello fu soggetta ad una serie di grosse frane che hanno portato alla formazione dell’ampia depressione della Valle del Bove (Calvari et alii, 2004). Questo imponente collasso del versante orientale del vulcano Mongibello ha messo in luce gran parte della struttura interna sia dei centri eruttivi della Valle del Bove che del vulcano Ellittico affiorante lungo le pareti interne della Valle del Bove. Il prodotto di questo imponente collasso di fianco dell’edificio etneo è rappresentato dal deposito detritico denominato “debris flow” di Milo affiorante nell’omonima località. In seguito, la rimobilizzazione di tale deposito ad opera dei processi alluvionali porterà alla formazione del deposito di natura alluvionale, denominato Chiancone, che costituisce una vasta conoide alluvionale lungo la costa Ionica fra Pozzillo e Risposto.

Da Ingv sezione di Catania.

Pagina Etnanatura: Gancia Chiancone.

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Lago Gurrida

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02-03-2008 12-07-23Ubicato a sud di Randazzo, sul versante nord-ovest dell’Etna, fu creato da uno sbarramento dovuto ad una colata lavica dell’Etna avvenuta nel 1536. La diga naturale così creata sul fiume Flascio diede origine a questo piccolo laghetto che sorge ad una quota di 835 metri s.l.m.. Nei mesi estivi è spesso in secca venendo a mancare una adeguata alimentazione. Nonostante ciò non si spiega la secca completa se non con una permeabilità del suo letto che conduce alla dispersione della massa d’acqua. Nei mesi invernali, le piene del torrente causano l’esondazione del lago; in passato sono stati eseguiti dei lavori per controllare il flusso d’acqua ed impedire danni alle zone circostanti. L’acqua in eccesso viene dunque raccolta in una sorta di bacino secondario; la zona coperta dall’acqua si espande fino ad allagare i vigneti e i frutteti circostanti. Nella fauna si ritrovano i grandi aironi cenerini e gli aironi rossi che si fermano per catturare i pesci e gli anfibi di cui si nutrono. La maggiore presenza di animali si ha comunque in inverno e primavera con le eleganti pavoncelle, i beccaccini, i pivieri, le pettegole, i combattenti e i piovanelli. Nei mesi invernali, le piene del fiume Flascio causano l’esondazione del lago e l’acqua, tracimando nelle zone circostanti, va a ricoprire il vicino vigneto che rimane coperto dall’acqua anche per mesi. Il vitigno, grazie a queste strane condizioni climatiche, conferisce al vino particolarissime qualità organolettiche.
da Wikipedia.

Foto di Alfio Casella, Francesco Marchese e Concetto Mazzaglia

Pagina Etnanatura: Lago Gurrida.

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Grotta Di Bella

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04-12-2014 19-48-36La Grotta Di Bella è una cavità sotterranea naturale, presente nel territorio di San Gregorio di Catania e formatasi 4 mila anni fa. Trattasi di una grande galleria di scorrimento la cui peculiarità principale sono le notevoli dimensioni della sala principale di oltre 18 metri di larghezza e più di 8 metri d’altezza. Varcato l’ingresso, di modeste dimensioni, creatosi per un crollo nella parte più meridionale del condotto, si percorre in discesa un conoide di grossi blocchi sino a raggiungere, sette metri più in basso, il avimento della grotta. Il pavimento è di lava a superficie unita, quasi interamente ricoperto da fango. Il tratto terminale della cavita è caratterizzato da grossi crolli ed ha andamento in salita. Si ritiene che la Grotta Di Bella si è generata dallo svuotamento di un condotto di notevoli dimensioni di una eruzione vulcanica preistorica, probabilmente ascrivibile alle lave Celza (4 mila anni fa). Nel complesso si tratta di colate con struttura tipicamente pahoehoe; esiste una variabilità di tipi morfologici: ritroviamo le classiche pahoehoe piane o a corde e quelle a lastroni.
Informazioni tratte da “Grotte Vulcaniche Etnee, Nuove Segnalazioni” di Arturo Priolo, Blasco Scammacca, Giuseppe Priolo; edita sul “Bollettino dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali” (volume 29, numero 351, pagine 41-62; Catania 1996).
Informazioni del dottor Salvatore Costanzo, direttore della Riserva Naturale Integrale Complesso Immacolatelle e Micio Conti (Cutgana).

Info e foto tratte su gentile concessione di grottadibella.it.

Pagina Etnanatura: Grotta Di Bella.

Riserva naturale Immacolatelle e Micio Conti.

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Postoleoni

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27-11-2014 18-03-20Nel demanio comunale di S. Lucia del Mela troviamo Posto Leone, un’area attrezzata molto accogliente al centro della quale è stata costruita una grande vasca circolare. Intorno alla vasca, all’ombra di Pini, Castagni e Querce, sono stati inseriti numerosi tavoli con panche in legno, altalene per i bimbi, punti cottura, una fontanella, servizi igienici.

Foto e info di Francesco Marchese

Sentiero Etnanatura: Postoleoni.

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I mulini di Aci

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01-05-2013 18-41-58I mulini ad acqua di Aci Catena sono delle costruzioni ubicate ad Aci Catena in Sicilia, nei pressi della frazione di Aci San Filippo, nella vallata greco-romana di Reitana e costituiscono l’ itinerario storico dove si svolgeva la Fiera Franca di S. Venera, dal 19 luglio al 2 agosto di ogni anno, dal 1422 al 1615, molto famosa in quei tempi, sancita come “Franca” (cioè esente da dazio) con decreto del Re Alfonso I il Magnanimo e successivamente confermato nel 1531, da Carlo V di Spagna. La costruzione dei mulini fu dovuta principalmente alla grande quantità di acqua disponibile sul territorio. A piano Reitana si trova un primo gruppo di sorgenti (sorgenti Cuba): vi sbocca l’acquedotto Casalotto. Quando all’acquedotto si verificava un sovrappiù di acqua si apriva un sistema di chiusura che faceva defluire l’acqua all’inizio della saia mastra, un grosso canale in muratura, dove veniva convogliata l’acqua delle sorgenti. L’acqua di Casalotto proveniva da sorgenti a monte,- la zona di Aci Catena, Aci S. Antonio, Valverde, Aci Bonaccorsi, San Giovanni La Punta – veniva usata per l’irrigazione degli agrumeti della costa ionica e per usi potabili nell’hinterland della provincia di Catania. La piazza Reitana è famosa per la lavorazione dei lupini, grazie alla presenza dell’acqua delle sorgenti. Piano Reitana [modifica] Tratto della saia mastra Il grande avvallamento di piano Reitana è ritenuto l’alveo di uno dei rami del fiume Aci: la presenza di argille nel terreno permette l’affioramento delle acque. La zona Reitana, risparmiata dalle eruzioni etnee, ha conservato un complesso basale formato da argille pleistoceniche: ciò ha consentito la possibilità di ritrovamenti archeologici, di cui la zona era ricchissima (monete, vasi, lacrimatoi, tombe). Costeggiando la saia mastra (detta anche fiumara) si giunge ai ruderi del primo mulino denominato Spezzacoddu, per via di un uomo violento che vi faceva il guardiano. Il mulino è ubicato sulla sinistra, prima di prendere la salita della strada per Vampolieri. I mulini erano costituiti da una botte cilindrica – dove cadeva a pressione l’acqua della saia che metteva in funzione il meccanismo della macina – e da un arco chiamato caraffo. I ruderi del secondo mulino, una volta abitato dalla signora Npacchiapa, un tempo ospitavano una scuola di campagna: vi era anche la stalla dei muli. Piano Pescheria [modifica] Al piano Pescheria sono ubicati il secondo gruppo di sorgenti, alcune attive altre spente: Funtanedda, con una cupola abbandonata, è una sorgente spenta, Pescheria è invece una sorgente attiva. Nella campagna vicina, chiamata Pignatelli e Isola , si hanno altre due sorgenti Spanneddi e Paratore. In questa campagna nel 1817 fu scoperta una villa romana con il Mosaico del Pegaso. Nel pianoro Pescheria inizia un torrentello (vadduneddu) che costeggia la saia mastra. Il terzo mulino da zia Nedda, sorella di don Neddu oggi chiamato Scardaci, è l’unico ristrutturato che può ancora dare l’idea del vecchio mulino. Proprio questo punto, costituisce un’oasi naturale, dove si possono ammirare le cascate dell’acqua, che fino ad una trentina di anni fa, muovevano la ruota del mulino, uno degli ultimi funzionanti. All’interno di questo mulino ci sono tre cascate d’acqua che ingrossano la saia, che attraversa al di sotto dello stesso mulino, proseguendo tra i papiri, per raggiungere gli altri mulini. Lì vicino, in via Paratore, si trova il fondaco: era il luogo di ristoro e di riposo durante la notte per i carrettieri e i cavalcaturi che venivano in questi mulini per la macina del grano. Vicino al fondaco c’è un lavatoio. Nelle acque di questo tratto di fiumara si possono incontrare granchi di acqua dolce, anguille e rane. Attraversando la ferrovia, sopra un moderno ponte pedonale, si arriva al quarto mulino U mulinu a via, ex mulino Don Neddu, dalla caratteristica costruzione rossa. Si giunge quindi alla contrada baracche, frazione di Acireale, con la chiesetta di S. Andrea. Qui è presente il quinto mulino Don Pippino”, funzionante fino agli anni sessanta e così via il sesto, settimo, ottavo mulino, oggi abitazioni (lungo la via Montevago). Attraversando la statale – nel luogo dove esisteva il nono mulino, oggi luogo residenziale – in zona chiamata A chianata di Vigo, si incontra l’ultima sorgente, la mutaddisa. Scendendo per la strada asfaltata si giunge a Capomulini (frazione di Acireale) che prese appunto il nome dalla presenza dei mulini. Qui troviamo l’ultimo mulino, oggi abitazione. Sugli scogli a mare nello stesso sito sboccano la saia mastra (fiumara regitana), il torrentello (vadduneddu) e il torrente Lavinaio. L’ambiente dei mulini [modifica] Nel territorio di Aci S. Filippo, S. Nicolò, Reitana, Pianura del Torrente Platani e valli dei Mulini, cioè la porzione sud del territorio delle Aci, la componente fisica dell’ambiente costituì un’attrazione importante per i primi processi di antropizzazione. L’area possedeva infatti tutte quelle condizioni naturali che consentivano una facile sopravvivenza per uomini non dotati di tecnologia e permettevano benessere e veloce progresso. Tali condizioni erano e sono sostanzialmente ancora rappresentate da: Disponibilità idriche in abbondanza in qualsiasi stagione: l’area rappresenta una zona di convergenza di importanti deflussi idrici superficiali e sotterranei di una buona porzione del versante sub-orientale dell’Etna. Se anche oggi, con i massicci prelievi idrici a monte e con minori precipitazioni rispetto a qualche millennio fa, l’area è un fiorire di pozzi, sorgenti (anche termali) e canalizzazioni, un tempo costituì un proscenio di tutte le possibili rappresentazioni che l’acqua nel continente poteva esprimere. I depositi alluvionali, le paleoforme fluviali, gli effetti visibili sulla roccia, rappresentati da molature e fossette di erosione idrica, testimoniano di un passato in cui le acque in tutte le forme e attività costituivano il protagonista ambientale del territorio. Suolo naturalmente fertile di origine alluvionale, particolarmente predisposto a trasformarsi in suolo agrario. Nella pianura alluvionale del Torrente Platani e in tutto il circondario di Reitana, sono presenti i terreni più fertili dell’Etna. Disponibilità di terreni argillosi: le complesse vicende geologiche hanno generato nell’area l’unico vero affioramento argilloso all’interno del perimetro vulcanico etneo. Sicuramente l’unico rilevante per impiantare cave di argilla. La collina dell’Olivo S. Mauro-Torre Reitana e dei Mulini, con la presenza di argille pleistoceniche costituivano, fino a qualche decennio fa, l’area del prelievo dell’argilla per una fiorente industria dei prodotti ceramici che risale a diversi millenni fa. Microclima favorevole: la protezione del gradino morfologico della Timpa di Acicatena-Aci. S. Filippo-S. Nicolò a ovest e a nord e la sua felice esposizione a oriente e a sud, conferisce all’area un microclima caratterizzato da una maggiore mitezza rispetto al territorio circostante. Lo testimoniano, oltre che i dati meteorologici, la grande produttività agricola dell’area, caratterizzata dall’areale limonicolo e orticolo tra i più produttivi dell’intera provincia etnea. Approdo costiero: Capo Mulini è uno dei pochi approdi naturali relativamente protetti di cui dispone la costa etnea.

Foto di Etnanatura e Mario Antonio Pulvirenti

Pagina Etnanatura: I mulini di Aci.

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