Halloween

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16-06-2013 12-52-08

 

Tanto per rimanere in tema di Halloween o, se preferite, della ricorrenza dei defunti, ricordiamo il macabro ma affascinante Monte dei morti sul sentiero per la grotta del gelo.

 

Pagina Etnanatura: Monte dei morti.

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Grotta del porcospino

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10-02-2013 11-45-28La grotta si articola in diversi ambienti situati sullo stesso piano. Si entra strisciando per circa 10 m in un cunicolo di sezione semicircolare con il pavimento costituito da terra con qualche pietra. Il cunicolo sfocia in una saletta alta 1.70 m; anche qui il pavimento è costituito da terra battuta e qualche blocco di pietra isolato. Al centro si osserva una buca rettangolare profonda 0.5 m. Da alcune fratture della volta pendono lunghe radici imperlate da gocce di condensa che creano un curioso effetto di cortine. Dal lato destro della saletta si accede ad un angusto cunicolo in discesa che si estende per circa 30 m. La sua sezione è circolare, il pavimento e le pareti sono di lava irta di piccole punte acuminate, la volta presenta numerose stalattiti da rifusione allineate in file parallele. Dalla saletta si prosegue in una successione di brevi tratti di galleria alternati a piccole sale. Più avanti la cavità presenta una serie di ramificazioni ed ambienti di crollo. Il pavimento è costituito da fango con qualche tratto a superficie unita. Dal lato sudovest si osservano lamine accartocciate a forma di rotolo ai piedi della parete. In tutta la grotta è presente un discreto stillicidio che dà luogo a qualche pozzanghera. La cavità è frequentata da istrici di cui si trovano aculei ed altre tracce; è stata inoltre notata la presenza di pipistrelli isolati ed accumulo di guano nella parte terminale.

Descrizione tratta du Mungibeddu.it

Pagina Etnanatura: Grotta del Porcospino.

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Torre Modò

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23-10-2014 14-20-09Nel 1540 l’imperatore Carlo V concesse il governo dei territori della contea di Mascali a Nicola Maria Caracciolo, vescovo di Catania.

La contea assunse anche il nome di contea delle sette torri proprio per l’esistenza di sette torri di avvistamento che dovevano proteggere il territorio dalle invasioni arabe. Sull’ubicazione delle torri, ma anche sul loro numero, non si è certi e spesso la leggenda si confonde con la storia. Comunque diverse fonti, anche se non tutte attendibili, testimoniano dell’esistenza delle seguenti costruzioni:

  1. Torre di Mascali, ubicata nei pressi del duomo e distrutta dall’eruzione lavica del 1928 che rase al suolo l’intero abitato.
  2. Torre di Giarre, raffigurata in un quadro del Tuccari in piazza Duomo.
  3. Torri Malogrado nei pressi di Santa Maria la Strada. Sullla cui esistenza testimonia una carta topografica d’epoca borbonica;
  4. Torre di Dagala nella contrada oggi denominata “Rondinella”.
  5. Torre costiera di Archirafi, da cui il borgo prese il nome, sprofondata in mare a causa di fenomeni bradisistici.
  6. Torre in località “Femmina Morta”, costruita nel 1578, anch’essa ricadente in una proprietà privata ed in buono stato di conservazione.
  7. Torre Modò, nei pressi di Torre Archirafi, costruita nel 1567 che è l’oggetto di queste note.

La presenza in loco di alcuni cocci di terracotta databili fra il VI e il X secolo farebbero pensare ad una costruzione preesistente all’edificazione documentata del XVI secolo.

Pagina Etnanatura: Torre Modò.

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Arrusbighiasonnu

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Castagno_Castanea_sativa__20100402 165A volte il destino riserva agli umani un’esistenza anonima perché oscurata dalla presenza ingombrante di qualche familiare molto noto. Lo stesso destino ha avuto il Castagno della nave, imponente e vetusto castagno, la cui fama è offuscata da un vicino “ingombrante” e universalmente noto: il Castagno dei cento cavalli. Se vi trovate a visitare il famoso castagno dei Cento cavalli, noto per le imprese amatorie della regina Giovanna, non dimenticatevi di continuare il vostro percorso di altri 500 metri per visitare il Castagno della Nave, maestoso monumento naturale, alto quasi venti metri e vecchio di 1.800 anni. Il castagno deve il suo nome alla forma della ceppaia, che ricorda lo scafo di una nave. Ma i contadini lo chiamavano anche Arrusbighiasonnu forse perché,  quando ritornavano stanchi, di notte e a dorso di mulo, da una dura giornata di lavoro sulle pendici dell’Etna, venivano svegliati dall’urto con le fronde basse del castagno. O forse perché, ospitando l’albero centinaia di uccelli, questi all’alba, col loro canto, svegliavano tutte le persone che abitavano in prossimità di questo gigante.

Pagine Etnanatura: Castagno della Nave.

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Pitarrone e grotta Corruccio

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Crocus_longiflorus_30-09-2012 08-29-35Il sentiero do contrada Pitarrone si presenta di facile percorrenza ma di grande fascino. Vi permette consente infatti di attraversare la pineta di Ragabo e i boschi di quercia di contrada Pitarrone. Lungo il sentiero potete visitare la grotta Corruccio. Si tratta di una piccola cavità facilmente accessibile (sempre col casco come per ogni grotta) contenuta in parte nella bocca effusiva dell’apparato eruttivo di Monte Corruccio, ed in parte nella colata lavica. Un imponente crollo della volta, dove è stata costruita una scala in pietra, separa la grotta in due parti. Il tratto più a monte, in sensibile pendenza, presenta una volta ogivale a sesto molto acuto ed un pavimento di lava a superficie unita. Nel tratto a valle la cavità presenta sezione trapezoidale con pavimento di sabbia vulcanica e pietrame nella porzione iniziale e di lava a superficie unita a grosse corde nella porzione terminale. Nel tratto terminale la galleria si articola su due livelli.

Pagine Etnanatura:

Contrada Pitarrone.

Grotta Corruccio.

Rifugio Pitarrone.

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Cuba di santa Domenica

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20120725 189Il tempio sito nella Valle dell’Alcantara, denominato a “Cuba”, ma dedicato a Santa Domenica, come diceva il Lojacono forse per tradurre in forma latina la sua antichissima dedica a Santa Ciriaca, appartiene alla cosiddetta Nuova Età che va dal VII° Sec. fino al IX° Sec., segnando così la fine dell’Antichità. Il lato Sud di questo vetusto complesso doveva essere strutturalmente e funzionalmente associato ad un altro edificio monastico, sorto successivamente; la porta murata durante i restauri sul finire degli anni 50, da parte di P.Lojacono, è un chiaro esempio di comunicazione chiesa – monastero. La cupola a vela del naos era fortemente spaccata in più punti, e alcuni speroni mancanti o disgregati non potevano assicurare più l’equilibrio dell’insieme. Si aggiunga che fondazioni allo scoperto, squarci interni e l’asportazione di grossi blocchi di base di alcuni pilastri portanti avrebbero costituito l’inizio ad un eventuale pregiudizio alla stabilità. La Chiesa di Santa Domenica sorse probabilmente tra il 775 ed i primi anni dell’800, dopo la morte dell’imperatore Costantino V figlio dell’imperatore Leone III° detto l’Isaurico; si distinsero entrambi nella lotta iconoclasta che decretarono ed operarono sempre nel nome di Dio, facendo credere che le immagini fossero idoli e i veneratori idolatri; dunque, sia gli uni che gli altri, venivano distrutti. Furono dunque i monaci i veri costruttori ed architetti delle cinque Cube nella Valle dell’Alcantara? Inoltre la Chiesa di Santa Domenica per essere la più grande della Valle dell’Alcantara, lascia supporre che il Sito di Contrada”Cuba” doveva essere densamente abitato, e che le altre quattro “Cube” dovevano roteare intorno; analizzando invece i diversi reperti archeologici trovati in Contrada Imbischi in Contrada Cuba e dintorni, notiamo che il passato di questi territori è legato alla stessa civiltà. Anche se il materiale impiegato per la costruzione di Santa Domenica è molto diverso nelle qualità da quello delle Chiese dell’Anatolia, la Chiesa di Santa Domenica sembra derivi dalle tradizionali costruzioni a Basiliche che poggiano su enormi spazi con grandi cupole al centro, e nel contesto di queste forme, si ricorda la Chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli o Chiesa Grande. La Chiesa di Santa Domenica è stata dichiarata Monumento Nazionale il 31 Agosto del 1909.

da http://web.tiscalinet.it/Castiglione_di_Sic/cuba.htm

Pagina Etnanatura: Cuba di Castiglione.

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Castello di Pietratagliata

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03-10-2014 17-25-19Il castello dei Gresti o di Pietratagliata si trova in territorio di Aidone, appunto in contrada Gresti, quasi al centro del triangolo che unisce Aidone, Valguarnera e Raddusa. La sua condizione attuale è quella di rudere se pur ben leggibile nelle forme, che sono costituite principalmente di una poderosa torre piena e di una serie di stanze ingrottate. La sua origine non è ben definita, le prime notizie storiche documentabili risalgono al XIV secolo. I ruderi del castello sono tuttora di proprietà privata e da molti decenni lasciati all’incuria e all’abbandono. Il castello sorge su un’elevata cresta rocciosa di natura arenitica, che per due km, in direzione NE-SO, affiora nella vallata del Gornalunga. Nella parte centrale, lo sperone più alto, posto a cavallo del torrente Canne o Gresti a cui fa da diga naturale, è stato utilizzato dall’uomo per la sua posizione strategica come postazione di controllo e difesa. Infatti il castello costituisce un avamposto o una fortezza di avvistamento per il controllo di un vasto territorio, connotato dalle importanti vie di comunicazioni che dalla costa orientale (Catania, Siracusa, Lentini, Naxos…) si addentravano verso il centro della Sicilia dominato da insediamenti quali Morgantina, Enna, Agira. Il castello con qualche difficoltà è raggiungibile da Aidone percorrendo la SS 288, in direzione Catania, per circa 15 km, dopodiché ci si inoltra nella Strada Provinciale per Valguarnera che si percorre per 10 km circa. Il castello è conosciuto con entrambi i nomi. La denominazione “Pietratagliata”, che si riferisce certamente alla presenza degli ambienti tagliati nella roccia, è già testimoniata nei documenti in epoca medievale, quando viene citato il feudo di Fessinia o di Pietratagliata. La tradizione popolare lo conosce con il nome “castello dei Gresti” (in dialetto: u castedd’ î Grest), probabilmente per la sua vicinanza con il Cozzo dei Gresti, un modesto rilievo sul quale in età greco-romana era sorto un insediamento, testimoniato dai numerossissimi cocci ceramici emergenti, che diedero appunto il nome al sito (cocci, in dialetto “gresti”). Per la posizione strategica è indubbio che il sito sia stato abitato fin dai tempi più remoti; la struttura esistente è certamente di epoca arabo-normanna, ma nei documenti appare per la prima volta nel 1374, quando il feudo ed il fortilizio di Pietratagliata viene assegnato da Federico III di Sicilia, con un privilegio, a Perronus de Iuenio (Gioeni). Fino al 1512 Giovanni Luca Barberi, nei suoi Capibrevi ne conferma l’appartenenza alla famiglia Gioeni, già concessionaria della terra di Aidone e dei feudi circostanti. In seguito passò a vari proprietari tra cui il barone Caprini che nel 1668 fece incidere sull’architrave di una finestra ogivale, su una lastra di marmo, un’epigrafe in latino. Non c’è traccia oggi dell’epigrafe, ne conosciamo il testo per opera del Magno, che nel suo libro, citato, racconta di averla letta dopo esersi munito di binocolo. Questo il testo dell’epigrafe (secondo la traduzione dello stesso Magno), una dedica del Caprini ad un suo giovane successore, forse il figlio, a cui lascia questi terreni fertili e ricchi, ma arsi dal sole e privi delle delizie del giardino delle Esperidi:

« A Dio Ottimo Massimo
o giovinetto, al quale queste cose appartengono per diritto (di discendenza) di Giacomo Caprini, il quale ne è il barone e qui risplende col suo antico stemma, ti avanza. Tu godrai non dell’orto delle Esperidi, ma dei feudi, del pingue armento di lui e del gregge pascolante. Felice te, o giovinetto, che ti pasci di aura celeste nella casa del grande eroe piena di abbondanza. Anno del Signore 1668 »

L’epigrafe posta molto in alto, la posizione solitaria del castello ne ha fatto l’oggetto di una leggendaria “truvatura”: il cavaliere che, mentre lo superava al galoppo, fosse riuscito a leggere e ad interpretare l’epigrafe, avrebbe trovato un ingente tesoro. La lapide, la cui iscrizione è riportata in vari testi di storia locale, oggi non esiste più, probabilmente fu trascinata nel crollo del prospetto settentrionale. Ma secondo alcuni studiosi sulla collina sovrastante alla fine dell’Ottocento furono ritrovate parecchie monete d’argento e di elettro coniate da una zecca al seguito di un esercito punico(Ippocrate? ) ed alcune d’argento di Morgantina serie SIKELIOTAN che raffiguravano un cavaliere al galoppo nel R/ mentre nel D/ Zeus e forse per questi reperti è nata la leggenda. La struttura si estende su quattro livelli: al primo livello, che è anche il più antico si trovano delle abitazioni rurali e un’ampia grotta che si apre con un loggiato a sud e con una finestra e loggiato a nord. Al secondo livello da cui ha inizio anche la torre piena e parte la scala scavata nella roccia, ci sono due locali: un ingresso e una sala con finestra delimitata da panchette in muratura. Al terzo livello, il secondo piano in cui si trovano gli ambienti “nobili” di rappresentanza, sono presenti quattro stanze scavate nella roccia e altre in muratura. Al quarto livello è presente un ambiente con portale di ingresso che farebbe pensare ad una cappella e una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Un cenno a parte merita l’alta torre piena, saldamente ancorata alla roccia, visibile a grandi distanze. Presenta pareti dalle superfici compatte, sottolineate da spigoli costruiti in blocchi di pietra perfettamente squadrati; l’accesso alla terrazza della torre era consentito da una stupenda scala a chiocciola, con gradini di basalto, posta nell’angolo di sud-est. Per la struttura ed alcuni aspetti particolari, il castello non può avere avuto la funzione di dimora signorile, ma fu certo una fortezza di avvistamento all’interno della valle del Gornalunga che, dai tempi più remoti, ha fatto da tramite tra la costa ionica e l’interno. La presenza di numerosi castelli similari (alcuni oggi riconoscibili solo dalla toponomastica) fa ritenere plausibile l’ipotesi che il castello fosse inserito all’interno di una rete di segnalazioni ottiche, definite anticamente fani o fuochi, che consentivano di trasmettere rapidamente un segnale anche a grande distanza. La rete ottica è qui rappresentata dalle direttrici: Enna – Valguarnera – Pietratagliata – Morgantina – Aidone – Mongialino – Mineo.
Da Wikipedia

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Castello di Pietratagliata.

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Foro romano di Catania

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06-10-2014 21-26-31Il presunto Forum si presentava come una serie di diversi edifici circondanti un’ampia area centrale che costituiva il “foro” vero e proprio. Tali edifici dovettero essere quasi certamente essere dei magazzini o negozi. Lorenzo Bolano descriveva nel Cinquecento la presenza di otto ambienti con copertura a vôlta a sud e altri quattro a nord (quasi certamente perduti questi ultimi con la creazione del Corso, attuale via Vittorio Emanuele II). Il Bolano riferisce anche di un’ala occidentale distrutta ai suoi tempi. Il Bolano tuttavia lo descrive come un impianto termale, dato che la zona era soggetta a periodici fenomeni di allagamento. La struttura rimase così definita fino alle dovute correzioni del Biscari. Ancora Valeriano De Franchi, cartografo per l’opera del D’Arcangelo, ne traccia una prima planimetria dove la struttura viene chiamata Terme Amasene. Ai tempi del principe Ignazio Paternò Castello il pianterreno risultava essere già sepolto, mentre il secondo piano (cinque metri più in alto) era diventato residenza per molti popolani e i lati ridotti a due soltanto (quelli a sud e ad est) uniti ad angolo retto. Adolf Holm attesta esserci stati ai suoi tempi sette vani ad est e tre a sud e che questi furono chiamati “grotte di S. Pantaleo (…) per metà interrate e ridotte a povere abitazioni”. Il Libertini, in nota al testo dell’Holm, fa presente come gli otto ambienti a sud persistano, mentre le strutture a est furono convertite in antico in un unico corridoio. La facciata era di circa 45 metri di lunghezza. Tuttavia le strutture riconosciute dal Libertini erano quelle del secondo piano, mentre cinque metri più sopra rimanevano i ruderi del piano interrato che potrebbero essere i locali di cui fa menzione l’Holm. Oggi del presunto foro rimangono soltanto un paio di ambienti attigui visibili a sud, con ingresso architravato sormontato da una apertura ad arco, molto simile nell’aspetto ai magazzini del Foro Traianeo, oltre alle aperture ad arco semplice. Della struttura a est rimangono i resti di una parete in opus reticulatum appartenenti ad uno dei magazzini. Tuttavia, in un lavoro del 2008, Edoardo Tortorici ha messo in dubbio la possibilità che si tratti di un foro, mettendo piuttosto la struttura a confronto con gli horrea noti. Il vicino convento di S. Agostino pure conservava parte della struttura, forse una basilica, consistente in un grosso muro cui poggiava l’edificio religioso e trentadue colonne, prima del terremoto del 1693 componenti il chiostro del convento, in seguito poste a decoro dell’antico Plano San Philippo (oggi Piazza Mazzini). Da qui inoltre provengono il torso colossale di imperatore giulio-claudio e un lastricato in calcare un tempo esposti al Museo Biscari. Oggi il torso colossale è ospite al Castello Ursino.

Da wikipedia

Foto Salvo Nicotra

Pagine Etnanatura: Foro romano di Catania.

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