Le Salinelle

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Il fenomeno è noto nella letteratura scientifica con il termine di ‘vulcani di fango’, o popolarmente col termine ‘salse’. In alcune aree della Sicilia ove sono presenti vengono detti ‘macalube’. Nelle ‘Salinelle’ dei Cappuccini la via di risalita del fango sarebbe stata individuata in un condotto magmatico, lo stesso che ha portato in superficie le lave che costituiscono oggi la collinetta ove esse ricadono: una perforazione eseguita nel 1958 nell’area delle ‘Salinelle’ per la ricerca di idrocarburi ha mostrato una stratigrafia costituita da lave bollose ricche di pirite fino alla profondità di 400 metri.

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Calanchi del Cannizzola

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03-03-2016 19-53-56

I calanchi sono un fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l’effetto di dilavamento delle acque su rocce argillose degradate, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protette dal ruscellamento. I solchi che si formano all’interno del terreno si accentuano rapidamente, allungandosi e procedendo a ritroso, moltiplicandosi e ramificandosi. Tale processo si estende ad interi versanti, suddivisi da numerose vallecole separate a loro volta da strette creste con micro versanti nudi in rapida evoluzione.

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Torrente Saracena

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26-04-2014 17-07-19Il torrente Saracena Nasce dal Monte Solaro (m 1539) dalla confluenza dei torrenti Saracena, Martello e Cutò si forma il Simeto. Essi presentano buone caratteristiche ambientali ed ospitano una fauna ricca e interessante. La Raganella ( Hyla arborea ), piccolo anfibio che si trova spesso sugli alberi o arbusti in prossimità dei corsi d’ acqua, è una specie in forte riduzione. Un discorso simile va fatto per la Testuggine d’ acqua (Emys orbicularis) che si rinviene in alcuni stagni della parte alta del bacino. Tra gli uccelli, di particolare rilievo è la presenza del Merlo acquaiolo ( Cinclus cinclus ); in Europa questo uccello è l’ unico in grado di nuotare. Gli interventi di prelievo dell’ acqua e l’effettuazione delle opere di sistemazione idraulica hanno determinato la sua scomparsa da molti corsi d’ acqua siciliani. Per tale motivo questa specie in Sicilia è inserita nella lista rossa ed è considerata in pericolo. Le acque dei tre torrenti ospitano inoltre moltissime specie di invertebrati acquatici; alcune di esse vivono sempre nell’ ambiente acquatico, mentre altre vi svolgono soltanto una parte del loro ciclo vitale. La presenza di un elevato numero di specie di invertebrati acquatici è indice di una buona qualità ambientale. Molte specie di Plecotteri, Efemerotteri, Tricotteri, Ditteri, Coleotteri, solo per citare alcuni ordini di insetti, si rinvengono nel bacino del Simeto soltanto in questi torrenti o in uno solo di essi. Alcune specie sono endemiche, cioè non si trovano in nessun altro posto, ed addirittura di una famiglia di Tardigradi microscopici invertebrati, è nota la presenza soltanto nel torrente Saracena. I tratti superiori dei tre torrenti, che si sviluppano all’ interno di boschi di faggio, presentano notevole pendenza; le acque limpide scorrono tra grossi massi, molti ricoperti da muschi e si ha un continuo susseguirsi di cascatelle. Procedendo verso valle la faggeta lascia il posto a boschi di querce e, a contatto con il torrente, si ritrova una fascia arbustiva ripale caratterizzata in principal modo da salix purpurea, una delle specie di salici che si trovano lungo il Simeto. Più a valle i tre corsi d’ acqua hanno subito pesanti interventi da parte dell’ uomo che hanno cancellato gli aspetti naturali del torrente. 
di Angelo Abbadessa 
Da http://www.scos.it/Perle/Perle_abb_simeto_05.htm 
Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Torrente Saracena.

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Gole della Cantera

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10334293_378383395633603_2766342110504835766_nLe forre laviche iniziano con uno strapiombo e un selvaggio burrone, dai brontesi denominato “u bazu ‘a càntira” (il balzo della Càntera) ove, sotto i ponti Cantera e Serravalle, i fiumi Simeto e Troina si precipitano schiumanti sulla lava e sui blocchi di pietra arenaria. Uno dei due fiumi (il Troina) è scavalcato dall’antico ponte normanno (vedi). Scendendo lungo il fiume vi sono particolarmente interessanti formazioni laviche a poligoni, o basalto colonnare, dovute al repentino raffreddamento della colata a contatto con le acque del Simeto, gli ampi terrazzi lavici che testimoniano dell’ampliarsi dell’edificio vulcanico etneo sui territori prima occupati dagli affioramenti sedimentari Erei e la tipica vegetazione che assume connotati particolari con la presenza dell’Oleandro, dell’Euforbia arborea, capaci di sviluppare le loro ramificazioni sulle lave. Sul greto del fiume si possono vedere ciottoli di origine lavica, diversamente colorati, sia da sabbie, ghiaia e ciottoli di origine sedimentaria provenienti dai vicini Nebrodi. Non è raro imbattersi in ciottoli e gusci di ambra di colore molto chiaro che hanno da sempre attirato i cercatori e che ci narrano di un lontano passato geologico. Il largo alveo sassoso è spesso occupato da tipica vegetazione ripariale: canne del genere Fragmite ed oleandri che in primavera assumono una magnifica fioritura. Il paesaggio agrario è quello tipico di Bronte, con vecchie zone golenali trasformate in frutteti e giardini, con le “sciare” pietrosissime dove il contadino brontese ha impiantato vaste colture a Pistacchio, e, a tratti occupato da pascoli acclivi e degradatissimi che lasciano comparire tra la rada copertura erbacea, la caratteristica argillosa del suolo con vasti solchi stretti e profondi e con ripide creste che movimentano le alture. Intorno un paesaggio contrastato e una natura profondamente varia, coltivazioni arboree specializzate che vanno dai frutteti (pere, pesche, etc.) fino agli aridi pascoli argillosi inframmezzati ad aride scoscese sciare coltivate a pistacchio, a giardini di agrumi, alberi di olivo o di mandorlo, ortaggi, fichidindia, campi di frumento e di cereali. La componente faunistica specializzata che popola questo ecosistema comprende alcuni tipi di rettili (la Biscia dal collare, la Biscia viperina, il Colubro leopardino, forse il più bel rettile europeo lungo sino ad un metro), le lucertole (Ramarro, Lacerta viridis o la Podarcis sicula) che si nascondono tra la vegetazione arbustiva e tra i sassi e le rocce laviche, una bella specie di anfibio (il Discoglosso dipinto), la Rana esculenta,e alcune specie di rospi che si ritrovano nei dintorni del fiume (Bufo bufo spinosus e Bufo viridis). Rara e quasi del tutto assente la fauna ittica. L’avifauna comprende diverse specie stanziali ed altre presenti come migratorie: non è rara l’apparizione dell’Airone cenerino (Ardea cinerea), che sosta in migrazione nelle zone mag­giormente ricche di anfibi da predare; nella vegetazione ripariale si nasconde il più elusivo dei rallidi, il Porciglione, poco atto al volo e dal corpo tipicamente adattato alla vita nel canneto, alcune specie di rapaci diurni tra i quali domina per dimensioni la Poiana, il Gheppio, e, nelle zone interessate dai pascoli e dalla bassa vegetazione, ancora oggi si può osservare la bella Coturnice, un tempo nota saliente del paesaggio interno siciliano ed oggi vera e propria rarità faunistica. Non è difficile avvistare ed incontrare il Barbagianni, mentre nelle aree più alberate frequenti sono sia l’Assiolo, che la Civetta. Per i mammiferi, compaiono come erratici e maggiormente provenienti dalle aree circostanti la Volpe, l’Istrice, il Riccio, il Coniglio selvatico e la Lepre. 
Da http://www.bronteinsieme.it/5am/ingr.html 
Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Gole della Cantera.

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Salto del pecoraio

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30-05-2014 18-02-59A pochi metri dal Ponte del Saraceno (vedi), dove il fiume Simeto scava profonde e strette gole, si trova il Salto del pecoraio (Sautu du picuraru). Il luogo deve il suo fascino oltre che ad un’indubbia bellezza, alle leggende di cui è circonfuso. Secondo una versione, avallata da Paternò Castello (1907) in “Nicosia, Triona, Sperlinga, Adernò”, il nome nasce dal “salto” delle sponde del fiume di un pastorello per ritrovare l’amata (“… E’ questo il “salto del pecoraio” così nominato perché narra la tradizione che un pastore, per raggiungere più celermente la sua innamorata, soleva spiccare il salto…). Una versione più prosaica vede invece il pastorello costretto a scappare dalle forze dell’ordine che lo inseguivano per arrestarlo. Trovandosi il fiume davanti e i carabinieri dietro il pastore, armatosi di coraggio, spicca un salto sull’altra sponda riuscendo così a seminare i militi fermi sul greto del fiume. Giuseppe Recupero (1817) in “Storia Naturale e Generale dell’Etna” si mantiene sul vago preferendo descrivere la geografia del posto: “… Poco prima di arrivare al ponte di Carcaci, si restringe molto il letto del fiume e si chiama il passo del Pecoraro, perché dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna e si profonda in maniera che non si vedono le sue acque né si ode il suo rumoreggiare, come se qui il fiume si nascondesse …”.

Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Salto del pecoraio.

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Mendolito

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11-06-2014 07-40-50Avete mai pensato a quante macchine del tempo abbiamo a disposizione? Basta guardare il cielo per ammirare la luce delle stelle che arriva a noi dopo aver percorso migliaia se non milioni di anni luce. Esse ci dicono come erano quando la terra non esisteva e mai potremo sapere come sono ora (assunto che esistano ancora). La stessa cosa avviene con i siti archeologici, soprattutto quando diverse stratificazioni temporali si sovrappongono e ci permettono una lettura “nel tempo”. Sotto questo aspetto il sito di Mendolito, poco o per nulla conosciuto, è uno dei più significativi. Nato nell’ XI secolo a.C. ad opera degli “indiani” siciliani che non avevano conosciuto ancora la colonizzazione di altri popoli, si è espanso nel tempo passando dalla cultura greca a quella normanna per conoscere (ahilui ed ahinoi) l’incuria e l’abbandono odierno: ma questa è una triste storia siciliana  condivisa con altri luoghi.

Foto di Salvo Nicotra.

Sito Etnanatura: Mendolito.

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Santa Domenica

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24-05-2014 20-50-07Il culto per Santa Domenica ad Adrano esisteva già al tempo del Conte Ruggero e di sua nipote Adelicia, come riferisce il Prevosto D. Petronio Russo nell’opuscolo “cenno storico sul martirio e sul culto di Santa Domenica, vergine e martire” (Adernò 1911): In suo onore sulla riva destra del fiume Simeto, in contrada Sciarone un tempio era stato dedicato a Santa Domenica. Adelicia (che aveva ereditato dal padre il vasto territorio di Adernò e che aveva istituito il grande conservatorio delle Vergini povere in Adrano, cui aveva donato le contrade Pulichello e Sciarone) raccomandava ai fedeli cristiani, abitanti presso le due chiese di Santa Maria (che si trovava sulla sponda sinistra) e di Santa Domenica che seguitassero a vigilare perché non fossero profanate dai Saraceni. Dell’’antica Chiesa, forse di età bizantina, che si trovava nel casale di Carcaci vecchio, oggi all’interno della proprietà del Cavaliere Ferrante di Carcaci, rimangono alcuni ruderi dell’abside, quasi sommersi da sterpaglie. In essa nel 1517 sostarono i cavalieri lentinesi, provenienti dal Convento di Fragalà, che lasciarono delle reliquie dei Santi Alfio, Filadelfio e Cirino. Nel XVII sec. il culto fu trasferito sulla riva opposta del Simeto, nella vicina Chiesa dedicata a Santa Maria, che da allora prese il titolo assoluto di Santa Domenica. Come si può dedurre osservando i resti dell’affresco dell’abside che riproduce fedelmente il drappeggio in velluto, ancora esistente nella Chiesa di Santa Lucia in Adrano, la preesistente Chiesa di Santa Maria fu restaurata e dedicata al culto di Santa Domenica a cura delle suore del monastero di Santa Lucia. Al tempo del Prevosto Petronio Russo la chiesa era elegante e abbondava di distinti sacri arredi, vi si trovava l’artistica e bella statua lignea della Martire, opera del Bellini, nella mano destra in alto stringe la croce argentea, nella sinistra tiene una palma di argento, simbolo della sua verginità, sul capo la corona, simbolo del martirio.; di essa rimangono solo alcuni ruderi messi di recente in sicurezza dalla Soprintendenza. In seguito al decreto reale di Francesco I°, nel 1826, nei giorni di sabato, domenica e lunedì dell’ultima settima di Agosto si svolgevano nel terreno adiacente alla Chiesa campestre di Santa Domenica la festa e la fiera, dato che le campagne intorno erano fertili e intensamente abitate. Tale fiera, a sentire qualche testimonianza, si teneva fino a 60/50 anni fa. La devozione degli abitanti (borghesi, pastori, mulattieri ed agricoltori) era grande verso la Santa, perché aveva loro concesso delle grazie liberando i loro armenti dalla epizoozia o altre malattie. I festeggiamenti oggi si svolgono in una chiesetta, costruita all’incirca negli anni 20, all’insegna della più assoluta essenzialità, con i fedeli provenienti da Adrano, Cesarò, San Teodoro, Troina.

Franca Meli Da http://www.santalfioadrano.it/

Foto di Salvo Nicotra

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Ponte Serravalle

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26-04-2014 13-22-26«A mettere in comunicazione le varie masse della sponda sinistra del Simeto: Maniaci, Rotolo, Corvo, S. Venera, Bronte, e tre masse con gli abitanti della sponda destra: Bolo, Cesarò, Carbone, Placa Baiana, Troina, Messina, capitale allora del Valdemone e Palermo capitale dell’Isola, il Conte Ruggiero nel 1121 fece costruire il ponte, detto dagli Arabi Càntera, che diede poi il nome alla contrada e lo dedicò alla memoria della madre sua Adelasia, morta in Patti nel 1118. Vi si leggeva questa epigrafe greca, scolpita in pietra calcarea, posta sull’ala destra del ponte, a Nord: “Fu costruito questo ponte per la serenità del glorio­sissimo conte Ruggiero di Calabria e di Sicilia e dei Cristiani aiutatore per l’assoluzione della defunta madre di lui Adelasia regina. 6629, ind. 14 (1121)”. La stessa data un pò geroglifica si legge in un quadrello di pietra lavica nella centinatura del ponte, a mezzodì; e la stessa data leggevasi pure, mi dicevano gli anziani brontesi, nella parete della Chiesa di S. Giorgio, al camposanto, fabbricata da Ruggiero nel suo passaggio da Bronte, come affermano alcune scritture storico-legali, che si conservano nell’archivio comunale di Bronte. La Chiesa ora è stata distrutta a causa del nuovo cimitero e serve da ossario. Una leggenda narra che operai saraceni furono addetti alla fabbricazione del ponte; che un saraceno, piantatosi colle gambe sulle rive opposte del fiume, abbia indicato il sito, ove esso doveva sorgere. Nella fantasia popolare: saraceno era sinonimo di gigante. Il Dio Termine però dava spesso occasione a litigi; e odi feroci fervevano nei petti dei confinanti per l’eterna lotta del mio e del tuo. Di quest’odio un ricordo è rimasto nel detto tradizionale dei Brontesi: «Sono come Maniaci e Rapiti» per dire: sono due nemici acerrimi.»

Da B. Radice, Memorie storiche di Bronte

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Ponte Serravalle.

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Ponte Saraceno

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23-03-2014 17-52-52«A mettere in comunicazione le varie masse della sponda sinistra del Simeto: Maniaci, Rotolo, Corvo, S. Venera, Bronte, e tre masse con gli abitanti della sponda destra: Bolo, Cesarò, Carbone, Placa Baiana, Troina, Messina, capitale allora del Valdemone e Palermo capitale dell’Isola, il Conte Ruggiero nel 1121 fece costruire il ponte, detto dagli Arabi Càntera, che diede poi il nome alla contrada e lo dedicò alla memoria della madre sua Adelasia, morta in Patti nel 1118. Vi si leggeva questa epigrafe greca, scolpita in pietra calcarea, posta sull’ala destra del ponte, a Nord: “Fu costruito questo ponte per la serenità del glorio­sissimo conte Ruggiero di Calabria e di Sicilia e dei Cristiani aiutatore per l’assoluzione della defunta madre di lui Adelasia regina. 6629, ind. 14 (1121)”. La stessa data un pò geroglifica si legge in un quadrello di pietra lavica nella centinatura del ponte, a mezzodì; e la stessa data leggevasi pure, mi dicevano gli anziani brontesi, nella parete della Chiesa di S. Giorgio, al camposanto, fabbricata da Ruggiero nel suo passaggio da Bronte, come affermano alcune scritture storico-legali, che si conservano nell’archivio comunale di Bronte. La Chiesa ora è stata distrutta a causa del nuovo cimitero e serve da ossario. Una leggenda narra che operai saraceni furono addetti alla fabbricazione del ponte; che un saraceno, piantatosi colle gambe sulle rive opposte del fiume, abbia indicato il sito, ove esso doveva sorgere. Nella fantasia popolare: saraceno era sinonimo di gigante. Il Dio Termine però dava spesso occasione a litigi; e odi feroci fervevano nei petti dei confinanti per l’eterna lotta del mio e del tuo. Di quest’odio un ricordo è rimasto nel detto tradizionale dei Brontesi: «Sono come Maniaci e Rapiti» per dire: sono due nemici acerrimi.»

Da B. Radice, Memorie storiche di Bronte

Foto di Concetto Mazzaglia e Salvo Nicotra

Pagine Etnanatura: Ponte Saraceno.

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Il castello del duca di Misterbianco

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08-03-2014 20-35-33Il Castello Duca di Misterbianco d’impostazione neogotica, fu edificato nel 1930 dal 9° Duca di Misterbianco Vespasiano. E’ situato all’interno dell’area “Oasi del Simeto”, in prossimità della foce del fiume. Attualmente si trova a nord rispetto al percorso del fiume, ma, fino alla metà del 1900 si trovava a sud, poiché il fiume, superato il ponte Primosole, prima di sfociare sul mare Jonio descriveva un’ansa passando più a nord. L’edificio era circondato da ettari di terreno coltivato a vigneti ed agrumeti, dotato di un pozzo per l’approvvigionamento dell’acqua, di una zona termale corredata di piscina e di un colonnato neoclassico. Il piano terra del castello era destinato ad alloggi per la servitù, locali per la lavorazione dei prodotti raccolti nei campi, con un palmento, il frantoio, le scuderie e magazzini deposito. L’accesso avveniva dai cinque archi presenti a sud della struttura. In tale piano si trovavano due scale, una nell’angolo sud-ovest a due rampe che permetteva l’accesso al loggiato posto ai piani superiori e l’altra posta in posizione centrale rispetto al manufatto, che permetteva l’accesso al livello superiore sia in direzione ovest, quindi verso il loggiato, che in direzione est, permettendo l’accesso sulla terrazza con vista sul mare. Dal primo piano, dall’angolo nord-ovest, si elevava una magnifica torre quadrangolare su cinque livelli fuori terra, che costituiva il loggiato dello stabile, mentre nell’angolo sud-ovest vi erano quattro archi a sesto acuto sorretti da colonne e capitelli. La parte centrale del primo piano era adibita al soggiorno della famiglia, con finestre, aperture ad arco e terrazzi che permettevano di vedere la vegetazione circostante ed il mare. Nella parte centrale, si elevava un’altra piccola edificazione costituendo il secondo piano. Le parti sommitali del castello erano tutti coronati da merli. Il castello costituiva la dimora estiva della famiglia Trigona. Rimase in buono stato fino alla terribile battaglia che si combatté tra il 14 e il 17 luglio del 1943 al Ponte Primosole. In quella occasione, il castello fu occupato prima dai tedeschi e dopo dagli inglesi (Royal Artillery) come posto di osservazione. La torre alta 30 metri in posizione dominante, fu distrutta dall’ultima cannonata dei tedeschi alle ore 17 circa e non fece neanche un morto poiché le guardie inglesi erano a consumare il tè pomeridiano.

 

Le origini della famiglia Trigona.

 

La famiglia Trigona trae origini dai duchi “de Monti Chirii in Isvevia” (Germania sud-occidentale) e dal duca Salardo, il cui figlio Coraldo, acquistando il castello e la signoria di Trigona o Trigonna, in Picardia (Francia settentrionale), prese il cognome. Un discendente di Coraldo, Ermanno, valoroso capitano dell’imperatore Federico II di Svevia, ricevette per i servigi offerti al re, diverse ricompense, tra cui, nel 1239 la nomina di governatore di Mistretta. Un discendente di Ermanno, Giacomo, sposandosi nel 1369 con Margherita d’Aragona, figlia di Giacomo, nipote di Pietro d’Aragona II, re di Sicilia, ricevette lo stemma originario con l’aquila nera della Casa Reale d’Aragona. Lo stemma del Casato Trigona raffigura un’aquila nera coronata, recante sul petto uno scudo con incisa una cometa che illumina un triangolo. Da quando fu affidata la Piazza del Castello della città di Mistretta al Capitano Ermanno, la famiglia Trigona entrò a far parte di una casta nobiliare assai nota in quasi tutti i maggiori centri Siciliani, possedendo molti vassallaggi, signorie e feudi.

 

Il ducato di Misterbianco.

 

Nel XVII secolo, Vespasiano Trigona di Piazza Armerina, acquistò il Casale di Misterbianco, dove si trasferiva con la famiglia nei mesi caldi dell’anno. Il figlio Francesco sposò Felicita Paternò Castello, nipote del Principe Agatino Paternò Castello, dalla quale ebbe un figlio, Pietro Domenico. Quest’ultimo, grazie all’influenza della famiglia materna Paternò Castello, ricevette nel 1685 il titolo di Duca di Misterbianco dal re Carlo II di Spagna. Con Pietro Domenico nacque il Ducato di Misterbianco ed i successori furono nell’ordine: Tullio zio di Pietro Domenico, Vespasiano, Mario, Vespasiano, Alberto, Vespasiano, Alberto, Vespasiano, fino al 10° Duca Alberto nato a Catania il 27.02.1928.

Le foto e le informazioni si devono ad un paziente lavoro di ricerca dell’amico Salvo Nicotra.

Sito Etnanatura: Castello del duca di Misterbianco.

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