di Marinella Fiume.
… Spingi, tira, salta, issa, spremi, scompari, ficcati sotto le gonne… Di mamma? Di una qualsiasi, ci sono tante donne qui, che importa che non siano la tua mamma, brutto moccioso… Hai paura del mare? Non l’hai mai visto? Piangi chè ti sistemo per le feste… Dov’è andato a finire quel farabutto?… Qui non c’è tempo di stare a badare, e poi, a un bambino… Piuttosto, avrà pagato anche per lui sua madre? Presto… non c’è tempo… Bisogna partire e chi c’è c’è, prima che torni il sole e ci metta tutti allo scoperto.
Un sordo rumore, il motore è avviato, il carico umano si è imbarcato e prende il largo sollevando grandi ondate che bagnano i viaggiatori. A tutto gas nell’autostrada del mare.
Adisu, in etiope “Nuovo fiore”, la mamma non riesce a vederla e, piccolo com’è, ha trovato intanto un nascondiglio sicuro tra le gambe e i piedi di chi occupa il barcone, cercando di non farsi calpestare dalla calca. Custodisce un segreto lui, qualcosa che non poteva portare con sé dall’Etiopia, ma che non ha voluto lasciarlo, l’ha seguito come un cagnolino, anche se non è un cane e lui non può tenerlo al guinzaglio.
Si è messo sul tetto del camion sgangherato che li ha portati stipati verso il mare in un lungo viaggio infernale durato giorni e giorni. Da lì spiccava voli possenti e ondulati, alternando battiti a chiusure d’ala. Un volo verso il cielo di qualche centinaio di metri di altezza, per poi ritornare verso terra ad ali chiuse, riaprendole solo a poca distanza dalla tettoia.
Perché è un passero lui, un’allodola, dal piumaggio di colore marrone leggermente striato di nero nella parte superiore e un piccolo ciuffo che mostra solo in questi casi perché è allarmato… Adisu ne ha osservato ammirato in volo la coda e le larghe ali corte bordate di bianco. Approdato sulla tettoia, si è messo a camminare e saltellare agilmente, aspettando la notte, quando i viaggiatori si gettavano a dormire in un’ ammucchiata di corpi esausti e affamati per volargli sulla spalla, non visto, e mettere in bocca al piccolo Adisu un seme che ha raccolto e messo in serbo per lui.
È partito coi suoi da un villaggio poverissimo dell’area di frontiera dell’Etiopia al confine con la Somalia per sfuggire alla fame e ai continui attacchi della guerriglia dei secessionisti. Ma è là che si sono conosciuti e hanno familiarizzato. L’allodola sembrava smarrita, sola, aveva perduto il suo piccolo branco, volava e tornava inquieta a terra, saltellava e affondava il piccolo becco in un mucchietto di terra in cerca di cibo o forse del nido dove aveva deposto le uova che stava covando prima che una mina esplosa nel cortile vicino alla baracca cambiasse l’assetto del terreno devastando ogni cosa.
L’aveva sentita anche cantare, un canto melodioso, una musica triste e insieme soave, una preghiera che da terra si innalza verso Dio, il canto di chi ha perso il nido e lo chiede al Cielo.
Si avvicinava con circospezione, Alidu, temeva che fuggisse impaurita, e invece l’allodola non scappava al suo apparire, si fermava, se ne stava immobile, sembrava che lo aspettasse. E così ogni giorno. Perché era un piccolo d’uomo lui e lei cercava i suoi piccoli. Ma quando qualcuno dei familiari lo veniva a chiamare per un servizio, l’allodola scappava via. Del resto, se lei non fosse scappata, lui l’avrebbe cacciata via bruscamente: poteva essere un pasto per alleviare i morsi della fame dei suoi, il nonno diceva che la carne dell’allodola è prelibata e questo era un bell’esemplare – pensava con terrore Adisu – lungo circa diciotto centimetri e di circa quarantacinque grammi di peso…
Il nonno era uno specialista nella caccia di piccoli e grandi volatili: con la sua abilità di cacciatore, scoccava frecce precise e infallibili. Per catturare i più piccoli, si era costruito un rudimentale strumento formato da due palette che giravano, coperte da frammenti di specchio e mosse da una specie di meccanismo a molle che, illuminato dal sole, inganna le allodole e le attira nella rete.
Adisu non voleva che facesse questa fine. Era la sua compagna di giochi, Ashe, “Carezza”, l’aveva chiamata così perché, quando si poggiava sulla sua spalla, con le morbide piume gli accarezzava il viso. Alleviava la sua solitudine…, alla fame ci aveva fatto il callo ormai, e poi lei gli procurava piccoli bruchi verdognoli, insetti, bruni semi commestibili, germogli, foglioline, che dividevano nella mensa in comune di nascosto a tutti.
Quella mattina della partenza il suo cuore era scuro, piangeva sicuro di doverla lasciare, di non rivederla mai più…
E poi, lungo il viaggio, la sorpresa, lo stupore, la gioia di vedere che l’aveva seguito… Non credeva ai suoi occhi, non riusciva a crederci…, avrebbe voluto conferme…, condividere la gioia con i suoi in quell’inferno del camion… ma ancora una volta non ne fece parola con nessuno.
Un uccellino volteggiava sul barcone tra i flutti alla deriva, ma non era un gabbiano… che strano! Il motore si era fermato da ore… cominciavano a scarseggiare l’acqua e i viveri… il barcone imbarcava acqua…
Fortunosamente Adisu riusciva a sbucare dalla calca…, era così piccolo “Nuovo Fiore”, che si faceva largo dappertutto, come un bucaneve che, esile e delicato com’è, riesce a bucare lo spesso manto di neve! Gli occhi al cielo cercava la sua Ashe che, immancabilmente, scendeva silenziosa e, senza che nessuno la vedesse, veniva a mettere sulla sua bocca un piccolo seme bruno.
Chissà dove l’aveva preso in quella distesa infinita di mare![1]
Marinella Fiume
Dal libro Echi da Echi – Dialoghi letterari sulle migrazioni per accorciare le distanze, edito da Scuola di Lingua italiana per stranieri, Università di Palermo, Palermo University Press.
[1] Adisu è un bambino etiope, ma, secondo una leggenda indiana, Bahradvāja, poeta e uno dei saggi del Mahābhārata, fu nutrito da un’allodola.
Da oggi “Echi da Echi” è in vendita nelle seguenti librerie di Palermo:
- Libreria Modusvivendi, via Quintino Sella 79, tel. 091323493;
- Libreria Broadway, via Rosolino Pilo n. 18, tel. 091609 1086;
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Il ricavato della vendita finanzierà i progetti #itastra di inclusione linguistica.