Palazzo Biscari

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28-03-2014 16-50-02Venne realizzato per volere della famiglia Paternò Castello principi di Biscari a partire dalla fine del Seicento e per gran parte del secolo successivo, in seguito al catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693. Il nuovo palazzo venne edificato sulle mura di Catania, costruite per volere dell’imperatore Carlo V nel Cinquecento e che avevano in parte resistito alla furia del terremoto: i Biscari furono una delle poche famiglie aristocratiche della città che ottenne il permesso regio di costruire su di esse.  La parte più antica del palazzo fu costruita per volere di Ignazio, terzo principe di Biscari, che affidò il progetto all’architetto Alonzo Di Benedetto, ma fu il figlio di Ignazio, Vincenzo, succeduto al padre nel 1699, a commissionare la decorazione dei sette splendidi finestroni affacciati sulla marina, opera dello scultore messinese Antonino Amato. Successivamente il palazzo fu modificato per volere di Ignazio Paternò Castello, quinto principe di Biscari, il quale lo fece ampliare verso est su progetto di Girolamo Palazzotto e, successivamente, di Francesco Battaglia. L’edificio venne infine ultimato nel 1763 ed inaugurato con grandiosi festeggiamenti. Al palazzo si accede attraverso un grande portale su via Museo Biscari, che immette nel cortile centrale, adorno di una grande scala a tenaglia. All’interno, si trova il “salone delle feste”, di stile rococò dalla complessa decorazione fatta di specchi stucchi e affreschi dipinti da Matteo Desiderato e Sebastiano Lo Monaco. Il cupolino centrale era usato come alloggiamento dell’orchestra, ed è coperto da un affresco raffigurante la gloria della famiglia Paternò Castello di Biscari. Si accede alla cupola attraverso una scala decorata a stucco (che il principe Ignazio chiamò “a fiocco di nuvola”) all’interno della grande galleria affacciata sulla marina. Tra le altre sale vanno ricordate quella “dei Feudi”, con alle pareti grandi tele rappresentanti i numerosi feudi dei Biscari; gli “appartamenti della principessa”, costruiti da Ignazio V per la moglie, Anna Morso e Bonanno dei principi del PoggioReale, con boiseries di legni intarsiati e pavimenti di marmo di epoca romana; la “galleria degli Uccelli” e la “stanza di don Chisciotte”. Infine particolare importanza riveste il Museo, dove un tempo era raccolta la grande collezione archeologica (oggi in parte al Museo civico del castello Ursino) di Ignazio V, grande studioso, archeologo e amante delle arti in genere. Tra i celebri visitatori del palazzo si ricorda soprattutto lo scrittore Johann Wolfgang Goethe che, nel corso del suo viaggio in Italia, venne ricevuto dal principe di Biscari il 3 maggio 1787, poco dopo la morte del padre Ignazio. Agli inizi del 2008 il palazzo ha fatto da sfondo al videoclip della canzone Violet Hill della band inglese Coldplay.

Da Wikipedia

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Palazzo Biscari.

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Gole della Cantera

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10334293_378383395633603_2766342110504835766_nLe forre laviche iniziano con uno strapiombo e un selvaggio burrone, dai brontesi denominato “u bazu ‘a càntira” (il balzo della Càntera) ove, sotto i ponti Cantera e Serravalle, i fiumi Simeto e Troina si precipitano schiumanti sulla lava e sui blocchi di pietra arenaria. Uno dei due fiumi (il Troina) è scavalcato dall’antico ponte normanno (vedi). Scendendo lungo il fiume vi sono particolarmente interessanti formazioni laviche a poligoni, o basalto colonnare, dovute al repentino raffreddamento della colata a contatto con le acque del Simeto, gli ampi terrazzi lavici che testimoniano dell’ampliarsi dell’edificio vulcanico etneo sui territori prima occupati dagli affioramenti sedimentari Erei e la tipica vegetazione che assume connotati particolari con la presenza dell’Oleandro, dell’Euforbia arborea, capaci di sviluppare le loro ramificazioni sulle lave. Sul greto del fiume si possono vedere ciottoli di origine lavica, diversamente colorati, sia da sabbie, ghiaia e ciottoli di origine sedimentaria provenienti dai vicini Nebrodi. Non è raro imbattersi in ciottoli e gusci di ambra di colore molto chiaro che hanno da sempre attirato i cercatori e che ci narrano di un lontano passato geologico. Il largo alveo sassoso è spesso occupato da tipica vegetazione ripariale: canne del genere Fragmite ed oleandri che in primavera assumono una magnifica fioritura. Il paesaggio agrario è quello tipico di Bronte, con vecchie zone golenali trasformate in frutteti e giardini, con le “sciare” pietrosissime dove il contadino brontese ha impiantato vaste colture a Pistacchio, e, a tratti occupato da pascoli acclivi e degradatissimi che lasciano comparire tra la rada copertura erbacea, la caratteristica argillosa del suolo con vasti solchi stretti e profondi e con ripide creste che movimentano le alture. Intorno un paesaggio contrastato e una natura profondamente varia, coltivazioni arboree specializzate che vanno dai frutteti (pere, pesche, etc.) fino agli aridi pascoli argillosi inframmezzati ad aride scoscese sciare coltivate a pistacchio, a giardini di agrumi, alberi di olivo o di mandorlo, ortaggi, fichidindia, campi di frumento e di cereali. La componente faunistica specializzata che popola questo ecosistema comprende alcuni tipi di rettili (la Biscia dal collare, la Biscia viperina, il Colubro leopardino, forse il più bel rettile europeo lungo sino ad un metro), le lucertole (Ramarro, Lacerta viridis o la Podarcis sicula) che si nascondono tra la vegetazione arbustiva e tra i sassi e le rocce laviche, una bella specie di anfibio (il Discoglosso dipinto), la Rana esculenta,e alcune specie di rospi che si ritrovano nei dintorni del fiume (Bufo bufo spinosus e Bufo viridis). Rara e quasi del tutto assente la fauna ittica. L’avifauna comprende diverse specie stanziali ed altre presenti come migratorie: non è rara l’apparizione dell’Airone cenerino (Ardea cinerea), che sosta in migrazione nelle zone mag­giormente ricche di anfibi da predare; nella vegetazione ripariale si nasconde il più elusivo dei rallidi, il Porciglione, poco atto al volo e dal corpo tipicamente adattato alla vita nel canneto, alcune specie di rapaci diurni tra i quali domina per dimensioni la Poiana, il Gheppio, e, nelle zone interessate dai pascoli e dalla bassa vegetazione, ancora oggi si può osservare la bella Coturnice, un tempo nota saliente del paesaggio interno siciliano ed oggi vera e propria rarità faunistica. Non è difficile avvistare ed incontrare il Barbagianni, mentre nelle aree più alberate frequenti sono sia l’Assiolo, che la Civetta. Per i mammiferi, compaiono come erratici e maggiormente provenienti dalle aree circostanti la Volpe, l’Istrice, il Riccio, il Coniglio selvatico e la Lepre. 
Da http://www.bronteinsieme.it/5am/ingr.html 
Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Gole della Cantera.

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Grotta e vallone del Turco.

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20100627 126Incastonata in una delle valli più lussureggianti dell’Etna, il vallone del Turco, sopra Piano del Vescovo, si trova l’omonima grotta del Turco. Si tratta di una cavità formatasi grazie all’erosione secolare delle acque del torrente. Presenta un ampio ingresso in parte occluso da numerosi imponenti massi crollati dalla volta; l’interno si sviluppa con una sala lunga circa 14 metri ricoperta da sabbia.

Pagine Etnanatura: Grotta del Turco e Vallone del Turco.

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Salto del pecoraio

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30-05-2014 18-02-59A pochi metri dal Ponte del Saraceno (vedi), dove il fiume Simeto scava profonde e strette gole, si trova il Salto del pecoraio (Sautu du picuraru). Il luogo deve il suo fascino oltre che ad un’indubbia bellezza, alle leggende di cui è circonfuso. Secondo una versione, avallata da Paternò Castello (1907) in “Nicosia, Triona, Sperlinga, Adernò”, il nome nasce dal “salto” delle sponde del fiume di un pastorello per ritrovare l’amata (“… E’ questo il “salto del pecoraio” così nominato perché narra la tradizione che un pastore, per raggiungere più celermente la sua innamorata, soleva spiccare il salto…). Una versione più prosaica vede invece il pastorello costretto a scappare dalle forze dell’ordine che lo inseguivano per arrestarlo. Trovandosi il fiume davanti e i carabinieri dietro il pastore, armatosi di coraggio, spicca un salto sull’altra sponda riuscendo così a seminare i militi fermi sul greto del fiume. Giuseppe Recupero (1817) in “Storia Naturale e Generale dell’Etna” si mantiene sul vago preferendo descrivere la geografia del posto: “… Poco prima di arrivare al ponte di Carcaci, si restringe molto il letto del fiume e si chiama il passo del Pecoraro, perché dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna e si profonda in maniera che non si vedono le sue acque né si ode il suo rumoreggiare, come se qui il fiume si nascondesse …”.

Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Salto del pecoraio.

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Palazzo Corvaja

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09-05-2014 09-54-16In contrada Diana sorge un’elegante residenza del XVIII secolo “Palazzo Corvaja”. Questa contrada, attualmente appartenente al Comune di Fiumefreddo di Sicilia, un tempo faceva parte della baronia di Calatabiano. L’edificio presenta un pittoresco prospetto serrato fra torricini pensili, che chiude sul fondo una corte rettangolare entro magazzini, stalle e abitazione della servitù. Esso costituisce un esempio di villa-fattoria realizzata dai nobili del tempo per la villeggiatura e per il controllo dei latifondi e delle strutture produttive. Suggestivo è l’uso della pietra lavica per le mostre di porte, balconi e finestre, i corpi scalari merlati e la coloritura dei paramenti con forte tinte. Agli angoli del palazzotto, sorrette ognuna da tre mensole in pietra lavica, due garitte a pianta quadrata, coronata da cupole emisferiche ed ingentilite da un cornicione con decorazioni in stucco, serrano ai lati la facciata. Dietro di esse emergono due torrette più grandi, anche’esse a pianta quadrata e coronate da una merlatura ghibellina che ha un preciso valore simbolico oltre che funzionale. I due cortili e la recinzione del giardino dietro la casa, oltre a contribuire alla difesa, costituivano degli spazi esterni estremamente articolati e differenziati per lo svolgimento delle più svariate attività. In linea di massima la corte chiusa davanti alla residenza era riservata alle attività aziendali e familiari, mentre nel cortile esterno si svolgevano tutte le attività connesse al transito nella via pubblica. A lato del passaggio fra le due corti vi era lo “studio”: un locale dove la famiglia Diana probabilmente esplicava molti degli atti amministrativi relativi ai loro fondi ed ai feudi amministrati per conto dei Gravina-Cruyllas. Sul lato nord della corte esterna con la facciata rivolta alla strada è collocata la Chiesa di San Vincenzo, che assolveva funzioni sia di Chiesa per la popolazione locale, sia di cappella privata della famiglia. … Addossato al palazzotto, al pianterreno vi è il palmento, costruito nel 1694 dalla famiglia Bottari. Originariamente separata dalla residenza fortificata di Francesco Diana, la casa dei Bottari fu successivamente unita a questa: il corpo centrale fortificato venne così a perdere uno dei suoi attributi difensivi conferitogli dal totale isolamento da altre fabbriche. Dalla fine del ‘700 il complesso, abbandonato dai proprietari quale residenza, non subisce ampliamenti e modifiche sostanziali. Gli interventi più consistenti sono tutti della fine del secolo scorso e dei primi anni del ‘900, quando alcuni locali di servizio attorno alla corte vengono ristrutturati. Fortunatamente la residenza fortificata si mantiene ancora pressoché integra; non altrettanto può dirsi invece di altre parti del complesso. In tempi recentissimi sono state asportate le pietre angolari del parapetto e del collo del pozzo, ancora visibili di F. Fcihera dell’inizio del secolo. A sud del cortile esterno alcuni dei vecchi fabbricati sono stati sostituiti da una squallida palazzina “moderna”, mentre altri interventi hanno invece alterato una parte consistente dei fabbricati della corte interna che costituiscono un unico organismo architettonico con la residenza. 

Le residenze di campagna nel versante orientale dell’Etna, di Gaetano Palumbo). 
Foto di Angelo Tècchese La Spina.

Pagina Etnanatura: Palazzo Corvaja.

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Grotta dei Rotoli

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Pagina Etnanatura: Grotta dei Rotoli.

L’eruzione dell’Etna del 1865 ebbe inizio il 29 gennaio e si concluse nella metà di giugno dello stesso anno. In seguito ad essa nacquero i Monti Sartorius sul versante a nord-est. Più a valle si formò la Grotta dei rotoli che deve il nome a tunnel di lava accartociata. L’attività del vulcano ebbe inizio, con emissione di fumo dal monte Frumento delle Concazze, alle ore 14,30 del 28 gennaio 1865 seguita da rombi e scuotimenti e scosse sismiche. Il 29 gennaio alle ore 23 si manifestò un forte sisma che interessò tutta l’area orientale del vulcano provocando panico negli abitanti di tutti i comuni dell’area reiterandosi per alcune ore; poco dopo tre fontane di lava sgorgarono da fenditure apertesi tra 1800 e 1750 m. s.l.m. Il 30 gennaio ad est di monte Frumento si aprì una fenditura di circa 400 metri che emise ulteriori 8 fontane di lava. Con passare del tempo le fratture e i punti di emissione continuarono a spostarsi verso est con la formazione di otto coni tutti attivi tra il 4 il 5 febbraio. L’eruzione sembrò rallentare ma riprese vigore tra il 19 e il 25 marzo. Le colate furono almeno tre di cui la più bassa, verso nord-est si fermò il 9 febbraio mentre una successiva si arrestò il 12 dello stesso mese. Una nuova colata circondava Monte Chiovazzi alla fine di marzo raggiungendo la massima lunghezza il 4 aprile. Dopo varie emissioni successive l’attività cessò nella metà del mese di giugno. (Notizie prese da Wikipedia).

Pagina Etnanatura: Grotta dei Rotoli.

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Castello Calatabiano

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Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

Il castello fu costruito dagli arabi e successivamente rimaneggiato dai normanni. Per la sua grande importanza militare svevi e aragonesi vi apportarono migliorie difensive. Alla famiglia dei Cruyllas si deve l’ampliamento che portò la fortezza alle dimensioni attuali. Di maggior interesse sono il portale di ingresso, costituito da un arco a sesto acuto di pietra arenaria e pietra lavica, e il “Salone dei Cruyllas”, diviso simmetricamente da un arco in pietra lavica il cui concio reca le insegne della famiglia. Nella parte più elevata del maschio si trova un’uscita di emergenza sul pendio più ripido e difficilmente accessibile del monte. Solo qualche rudere rimane invece del borgo abbandonato nel 1693. Sul monte Castello,trenta metri più in basso del maniero, la Chiesa del Santissimo Crocifisso, inaugurata il quattro marzo 1484, ha forme tardo gotiche, un massiccio campanile merlato e due portali ogivali d’ingresso, a ovest e a sud. Sulla facciata vi è un’iscrizione recante la data d’apertura al culto dell’edificio da parte del vescovo Eufemio. Vi è custodito il simulacro di San Filippo Siriaco. Nella celletta alla base del campanile, cui si accede direttamente dall’aula tramite una porta ad arco leggermente bicentrico a conci regolari radiali in pietra bianca, di tipo catalano, è situato nella parete ovest un affresco di Madonna e Bambino che reggono una grossa catena che ha alla fine un giogo a due anelli. L’affresco, di buona fattura inscrivibile non oltre i primi quindici anni del Cinquecento,da considerarsi unico nella regione di filiazione antonellesca, dai Peloritani agli Iblei, che rischia danni definitivi per l’umidità di risalita e per la sottovalutazione dell’importanza, ha un modello stante di tipo desalibesco, col Bambino in piedi (postura riscontrabile nei piccoli monumenti funerari di Antonello Freri) sulla gamba destra della Madre, ed è sensibile alla moda ‘rilassata’ di un Befulco o di uno Scacco, a loro volta mediatori al sud della naturalezza raffaellesca, con voluti grafismi neobizantini (mani e occhi) e una caratteristica unica: la Madonna guarda con bonaria introspezione, “alla greca”, verso l’osservatore.Un forte e distribuito uso del color marrone farebbe pensare a un tentativo di sinopia poi ridipinto. Da Wikipedia.

Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

 

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Mendolito

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11-06-2014 07-40-50Avete mai pensato a quante macchine del tempo abbiamo a disposizione? Basta guardare il cielo per ammirare la luce delle stelle che arriva a noi dopo aver percorso migliaia se non milioni di anni luce. Esse ci dicono come erano quando la terra non esisteva e mai potremo sapere come sono ora (assunto che esistano ancora). La stessa cosa avviene con i siti archeologici, soprattutto quando diverse stratificazioni temporali si sovrappongono e ci permettono una lettura “nel tempo”. Sotto questo aspetto il sito di Mendolito, poco o per nulla conosciuto, è uno dei più significativi. Nato nell’ XI secolo a.C. ad opera degli “indiani” siciliani che non avevano conosciuto ancora la colonizzazione di altri popoli, si è espanso nel tempo passando dalla cultura greca a quella normanna per conoscere (ahilui ed ahinoi) l’incuria e l’abbandono odierno: ma questa è una triste storia siciliana  condivisa con altri luoghi.

Foto di Salvo Nicotra.

Sito Etnanatura: Mendolito.

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Chiesa della Misericordia

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03-05-2014 17-19-07La Chiesa di Maria SS. della Misericordia, risalente almeno al 1500, costituisce un rudere sacro di un’importanza straordinaria ed è stata meta di molti devoti che veneravano la Vergine dell’Aiuto o del Soccorso. La chiesa fu risparmiata dall’eruzione del 1536/37 e dalla colata lavica del 1669 che ne lambì appena il muro di tramontana. Oggi è in totale abbandono, il prospetto principale non è più esistente, rimangono solo i muri perimetrali del lato più lungo della navata e il muro di fondo con tracce di pitture che, a sfida del tempo e dell’uomo, sono ancora leggibili: l’affresco della pietà in cui vi è raffigurata la Vergine Santissima in atto supplichevole che chiede pietà al Padre Eterno per i poveri peccatori e l’affresco raffigurante la deposizione di Cristo dalla SS. Croce. Il bellissimo portale in pietra lavica fu tolto negli anni ’50 dal sacerdote Filippo Consoli per evitare che venisse rubato, e trasferito all’ingresso della “grotta del ritrovamento” del Santuario di Monpilieri (vedi). Sotto il pavimento fino a poco tempo fa era visibile l’accesso per la sepoltura e la tumulazione delle salme. Dipendevano dalla Chiesa della Misericordia altre due chiese, che si trovano a breve distanza da questa e, che facevano parte del patrimonio ecclesiastico delle otto chiese dell’Antico Mompilieri: la chiesa di San Marco e la chiesa della Madonna Bambina. La chiesa sacra all’Evangelista San Marco era a tre navate; fino al 1928 era possibile vederne le fondamenta, oggi non ne rimane alcun vestigio. La chiesa della Bambina è ancora esistente e funzionante.

Info e foto di Salvo Nicotra.

Sto Etnanatura: Chiesa della Misericordia.

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Santa Domenica

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24-05-2014 20-50-07Il culto per Santa Domenica ad Adrano esisteva già al tempo del Conte Ruggero e di sua nipote Adelicia, come riferisce il Prevosto D. Petronio Russo nell’opuscolo “cenno storico sul martirio e sul culto di Santa Domenica, vergine e martire” (Adernò 1911): In suo onore sulla riva destra del fiume Simeto, in contrada Sciarone un tempio era stato dedicato a Santa Domenica. Adelicia (che aveva ereditato dal padre il vasto territorio di Adernò e che aveva istituito il grande conservatorio delle Vergini povere in Adrano, cui aveva donato le contrade Pulichello e Sciarone) raccomandava ai fedeli cristiani, abitanti presso le due chiese di Santa Maria (che si trovava sulla sponda sinistra) e di Santa Domenica che seguitassero a vigilare perché non fossero profanate dai Saraceni. Dell’’antica Chiesa, forse di età bizantina, che si trovava nel casale di Carcaci vecchio, oggi all’interno della proprietà del Cavaliere Ferrante di Carcaci, rimangono alcuni ruderi dell’abside, quasi sommersi da sterpaglie. In essa nel 1517 sostarono i cavalieri lentinesi, provenienti dal Convento di Fragalà, che lasciarono delle reliquie dei Santi Alfio, Filadelfio e Cirino. Nel XVII sec. il culto fu trasferito sulla riva opposta del Simeto, nella vicina Chiesa dedicata a Santa Maria, che da allora prese il titolo assoluto di Santa Domenica. Come si può dedurre osservando i resti dell’affresco dell’abside che riproduce fedelmente il drappeggio in velluto, ancora esistente nella Chiesa di Santa Lucia in Adrano, la preesistente Chiesa di Santa Maria fu restaurata e dedicata al culto di Santa Domenica a cura delle suore del monastero di Santa Lucia. Al tempo del Prevosto Petronio Russo la chiesa era elegante e abbondava di distinti sacri arredi, vi si trovava l’artistica e bella statua lignea della Martire, opera del Bellini, nella mano destra in alto stringe la croce argentea, nella sinistra tiene una palma di argento, simbolo della sua verginità, sul capo la corona, simbolo del martirio.; di essa rimangono solo alcuni ruderi messi di recente in sicurezza dalla Soprintendenza. In seguito al decreto reale di Francesco I°, nel 1826, nei giorni di sabato, domenica e lunedì dell’ultima settima di Agosto si svolgevano nel terreno adiacente alla Chiesa campestre di Santa Domenica la festa e la fiera, dato che le campagne intorno erano fertili e intensamente abitate. Tale fiera, a sentire qualche testimonianza, si teneva fino a 60/50 anni fa. La devozione degli abitanti (borghesi, pastori, mulattieri ed agricoltori) era grande verso la Santa, perché aveva loro concesso delle grazie liberando i loro armenti dalla epizoozia o altre malattie. I festeggiamenti oggi si svolgono in una chiesetta, costruita all’incirca negli anni 20, all’insegna della più assoluta essenzialità, con i fedeli provenienti da Adrano, Cesarò, San Teodoro, Troina.

Franca Meli Da http://www.santalfioadrano.it/

Foto di Salvo Nicotra

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