Abisso di monte Nero

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Pagina Etnanatura: Abisso di monte Nero.

Questa grotta è situata lungo la frattura eruttiva del 1923 sul fianco NE del Monte Etna nei pressi di Monte Nero. Descrizione. Questa non è una cavità di scorrimento, ma una frattura eruttiva dell’eruzione del 1923, divisa da un crollo in due parti ciascuna delle quali presenta un ingresso: Abisso di M. Nero e Profondo Lavico. E’ il più grande sistema eruttivo in frattura rimasto sull’Etna ed uno dei meglio conservati. E’ stato esplorato e rilevato per più di 1 Km ed è la più lunga cavità sull’Etna. La profondità media è di circa 50 m, e la larghezza media è di soli 2 m. All’interno sono stati trovati alcuni minerali secondari. Uno di questi è la Portlandite, un minerale molto raro, mai trovato prima in una grotta (Forti & Marino, 1990). L’ingresso principale è situato in un hornitos (cono di scorie) lungo il sistema di fratture del 1923. Dopo un salto di 30 m si trova un grosso blocco di lava ricoperto di scorie. Procedendo verso NE vi è un altro salto di 35 m e quindi il fondo della frattura. Da qui procedendo giù, verso NE, la fessura è lunga circa 250m, invece risalendo verso SO si sviluppa per circa 800 m. Lungo la fessura, il pavimento è costituito da due grossi rotoli di lava uniti insieme. Le pareti sono tra loro parallele ad una distanza di circa 2 m e sono coperte da uno strato di lava che, in alcuni punti, è spesso ed in altri sottile solo pochi centimetri. In alcuni tratti tali spessori di lava sono crollati ostruendo il passaggio così, per proseguire, occorre arrampicarsi su di essi e la progressione è pericolosa.

Da http://www.vulcanospeleology.org/sym09/ISV9Ia.pdf

Attenzione la discesa nella cavità deve essere fatta solo da speleologi particolarmente esperti.

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Dagala del Picchio

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23-05-2014 22-57-14Le dagale sono delle isole boschive circondate dalla lava pietrificata. Il contrasto fra il paesaggio lavico e il verde della dagala ne risalta i colori rendendo magico l’ambiente. In particolare questa dagala s’incastona a nord di monte Calanna, formatosi dal collasso dei cosiddetti Centri Eruttivi Alcalini Antichi e che, per questo, presenta caratteristiche uniche nell’ambiente etneo. 
Foto di Salvo Nicotra.

Pagina Etnanatura: Dagala del Picchio.

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Castello di Bolo

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31-05-2014 19-45-45Il Castello di Bolo giace sulla sommità di un’alta collina che domina le circostanti vallate tra Bronte e Troina. Della fortezza rimangono, con grande rammarico, solo pochi ruderi. Tuttavia è possibile ricostruirne parzialmente la pianta: essa è di forma stretta ed allungata ed occupa tutto lo spazio disponibile presso l’angusta sommità dell’altura. Due sostanziosi resti murari lagano l’edifico ad epoca medievale, sebbene sia difficile, nell’attuale stato degli studi, affermare che i ruderi risalagno ad epoca normanna. Le mura sono costruite con pietre malamente sbozzate, legate insieme da malta di discreta qualità. L’equilibrio statico della costruzione è completamente compromesso e frequenti sono i crolli, soprattutto lungo il fianco meridionale del colle, particolarmente scosceso e difficilmente accessibile. La tipologia della fortificazione ricorda, a grandi linee, quella di una fortezza a guardia dei passi, che da Randazzo conducevano e conducono a Troina e viceversa. Del casale, che intorno al castello gravitava, a tutt’oggi non rimane, purtroppo, alcuna traccia. Presso i pochi resti murari ancora esistenti si riconosce la presenza di una cisterna. Il primo accenno dell’esistenza del Casale di Bolo è del 1139, durante la dominazione normanna. Nel 1392 un diploma reale prescriveva che i suoi abitanti dovevano rivolgersi per le loro cause al Capitano Giustiziere di Randazzo. Successivamente, nel 1535, Bolo e Cattaino furono abbandonati dagli abitanti per riunirsi, assieme agli altri casali, e formare un unico popolo in Bronte come ordinato da Carlo V.

Da http://www.icastelli.it/castle-1234881761-castello_di_bolo-it.php

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Castello di Bolo.

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Grotta Schadlish

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03-06-2014 18-01-46La grotta Schadlish è un cunicolo di scorrimento lavico lungo 112 metri. E’ stata individuata nell’anno 2000 e ha preso il nome dal suo scopritore.
Foto di Sebastiano D’Aquino.

Sito Etnanatura: grotta Schadlish.

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Sorgenti delle Favare

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24-05-2014 21-01-02Alle “Favare”, presso “Santa Domenica”, si trovano le sorgenti delle acque che alimentano l’acquedotto Biscari (vedi). Nel sito si trova una epigrafe in caratteri greci, recante un graffito che raffigura probabilmente una palma o un papiro, risalente al periodo normanno.

 

 

Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Sorgenti delle Favare.

Pagina Etnanatura: Acquedotto Biscari.

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Ponte Serravalle

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26-04-2014 13-22-26«A mettere in comunicazione le varie masse della sponda sinistra del Simeto: Maniaci, Rotolo, Corvo, S. Venera, Bronte, e tre masse con gli abitanti della sponda destra: Bolo, Cesarò, Carbone, Placa Baiana, Troina, Messina, capitale allora del Valdemone e Palermo capitale dell’Isola, il Conte Ruggiero nel 1121 fece costruire il ponte, detto dagli Arabi Càntera, che diede poi il nome alla contrada e lo dedicò alla memoria della madre sua Adelasia, morta in Patti nel 1118. Vi si leggeva questa epigrafe greca, scolpita in pietra calcarea, posta sull’ala destra del ponte, a Nord: “Fu costruito questo ponte per la serenità del glorio­sissimo conte Ruggiero di Calabria e di Sicilia e dei Cristiani aiutatore per l’assoluzione della defunta madre di lui Adelasia regina. 6629, ind. 14 (1121)”. La stessa data un pò geroglifica si legge in un quadrello di pietra lavica nella centinatura del ponte, a mezzodì; e la stessa data leggevasi pure, mi dicevano gli anziani brontesi, nella parete della Chiesa di S. Giorgio, al camposanto, fabbricata da Ruggiero nel suo passaggio da Bronte, come affermano alcune scritture storico-legali, che si conservano nell’archivio comunale di Bronte. La Chiesa ora è stata distrutta a causa del nuovo cimitero e serve da ossario. Una leggenda narra che operai saraceni furono addetti alla fabbricazione del ponte; che un saraceno, piantatosi colle gambe sulle rive opposte del fiume, abbia indicato il sito, ove esso doveva sorgere. Nella fantasia popolare: saraceno era sinonimo di gigante. Il Dio Termine però dava spesso occasione a litigi; e odi feroci fervevano nei petti dei confinanti per l’eterna lotta del mio e del tuo. Di quest’odio un ricordo è rimasto nel detto tradizionale dei Brontesi: «Sono come Maniaci e Rapiti» per dire: sono due nemici acerrimi.»

Da B. Radice, Memorie storiche di Bronte

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Ponte Serravalle.

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Castello di Torremuzza

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30-05-2014 17-56-11Nella valle di Bolo, in territorio di Bronte, su di un piccola rocca a strapiombo sull’ansa del fiume di Troina o Serravalle, al centro di un paesaggio particolarmente impervio ma suggestivo, sorge il Castello di Torremuzza, nell’ex feudo e casale di Cattaino. Il complesso fortificato sorge su di un sperone di roccia calcarea accessibile solo da meridione. Agli altri punti cardinali corrispondono pareti a strapiombo difficilmente praticabili. La particolare conformazione rocciosa costringe la fortezza a distendersi su più livelli: in basso trovano posto recenti strutture, composte da ambienti probabilmente residenziali, forse adibiti in epoca recente a celle per i detenuti. Al livello superiore si accede attraverso piccoli gradini ricavati dalla roccia, terminanti in un ingresso angusto un tempo ben protetto da una porta rinforzata, i cui cardini dovevano essere robusti, secondo quanto si può dedurre dai fori scavati nella pietra. L’intenzione è quella di isolare agevolmente il livello inferiore da quello superiore, che si presenta nell’aspetto di un’ampia terrazza non coperta, i cui bassi muri perimetrali sono caratterizzati da numerose feritoie quadrate o circolari. Trattasi di un ampio luogo di osservazione per il territorio circostante, una sorta di ampio terrazzo naturale recintato artificialmente, in grado di trasformarsi, all’occorrenza, in un ridotto fortificato isolato dal resto dello sperone roccioso. Inoltre, su questo terrazzo si distinguono a nord-ovest i resti di una torre, la quale si ritiene (tradizione locale) edificata in una imprecisata epoca della dominazione bizantina in Sicilia. La struttura poggia su di un affioramento di roccia ai margini occidentali della piccola rocca. Dai resti si può dedurre una pianta circolare; la tecnica edilizia si compone di pietre locali non squadrate, unite insieme da malta. Sulla sommità si distingue quel che rimane del piccolo camminamento di ronda, accessibile probabilmente per mezzo di una scaletta elicoidale in pietra, secondo quanto lasciano intendere alcuni fori presenti lungo la parete interna superstite. Nell’insieme l’intero corpo di fabbrica presenta una tecnica costruttiva e un impianto edilizio relativamente recente. Non si posseggono al momento dati storici certi che permettano una sicura datazione, solo ipotizzabile tra il XVII e il XVIII sec. d.C. E’ comunque probabile che la torre sia preesistente, sebbene non vi sia prova alcuna per una datazione ad epoca bizantina. Scheda Compilata da: Dott. Andrea Orlando Si ritiene che la torre del Castello di Torremuzza risalga ad epoca bizantina (VI -VII secolo), con successivi ampliamenti avvenuti durante la dominazione normanna. Il castello fu successivamente ampliato dagli spagnoli ed infine, durante il periodo borbonico, adibita a prigione. Si deve a Benedetto Radice, storico brontese, la più completa ricostruzione storica relativa alla contrada. Il luogo sembrerebbe frequentato fin da epoca remota. Pare siano stati rinvenuti, in zona, deposizioni funerarie e sarcofagi databili intorno al III sec. a.C. La prima attestazione documentaria risale alla fine del XIII secolo. Nel 1296 Cattaino risultava feudo, i cui baroni erano gli eredi del giudice Giovanni de Manna. Il censimento dei feudi del 1408 ricordava barone don Nicolò Crisaffi. Durante i decenni successi il feudo passò in mano alla famiglia Sant’Angelo. Fu re Alfonso, nel 1453, a confermare il possesso di Cattaino a Blasco di Sant’Angelo. Durante i decenni successivi, il feudo passò da padre in figlio, finchè nel 1507 giunse in mano della famiglia Lancia. Il castello, la cui data di fondazione è sconosciuta, venne utilizzato come luogo di reclusione già nel 1501, quando vi fu internato tale Antonio Spitaleri, secondo sentenza del capitano di Randazzo. La contrada venne probabilmente abbandonata in relazione alla fondazione della città di Bronte. Il castello, tuttavia, continuò ad essere in uso in qualità di carcere forse fino ai moti rivoluzionari legati all’unità d’Italia.

Da http://www.icastelli.it/castle-1234884985-castello_di_torremuzza-it.php

Foto ed info di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Castello di Torremuzza.

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Castello di Poira

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22-12-2012 09-08-50Sulla cima di una dolce collina che sovrasta la valle del Simeto si trova il castello della baronessa Poira. Antica possente masseria i cui resti, malgrado il triste degrado, testimoniano l’imponenza di un tempo. La facciata dirupata permette una lettura degli ambienti interni tutti funzionali alla vita contadina di una nobile famiglia. Intorno i resti di ceramica castellucciana testimoniano una frequentazione dei luoghi già dalla prima età del bronzo. Recenti scavi archeologici fanno pensare anche alla presenza di una civiltà in qualche modo “imparentata” con i greci. Poco distante la grotta degli schiavi, forse un antico  Ergastulum romano, cioè il luogo in cui gli schiavi trovavano rifugio nella notte dopo il lavoro.

Sito Etnanatura: Castello di Poira.

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Fontana Paradiso

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15-05-2014 17-39-31A est di Pedagaggi, a circa due chilometri dall’abitato, si trova contrada Fontana Paradiso, il cui toponimo rimanda all’esistenza di una ricca sorgente, la sorgente Paradiso appunto, che in passato favorì certamente lo stanziamento dell’uomo, attratto probabilmente, oltre che dall’acqua, anche dalla presenza di una fitta boscaglia e di un’abbondante selvaggina. La presenza dell’uomo in quell’area è testimoniata dalle numerose grotticelle artificiali preistoriche realizzate lungo i fianchi della profonda cava scavata nel corso dei secoli dal torrente Gelso, alimentato dalla sorgente Paradiso. Due le grotte archeologicamente più rilevanti visitate a metà degli anni ’60 dal prof. Luigi Bernabò Brea. Nella prima, un riparo sotto roccia, furono rinvenuti e raccolti diversi utensili di pietra riconducibili al Paleolitico superiore. Gli oggetti litici scoperti appartengono, nello specifico, alla fase iniziale del cosiddetto Epigravettiano finale, tra 14 e 12 milioni di anni fa. Nella seconda grotta, conosciuta come «Grotta del fico», l’indagine dell’illustre archeologo ligure consentì di accertare la presenza di ossa umane e di numerosi frammenti di ceramica appartenenti allo stile di Diana del Neolitico superiore, agli stili del Conzo e di Malpasso dell’Eneolitico, e allo stile di Castelluccio dell’Età del Bronzo antico.

Proloco Pedagaggi

Foto di Giuseppe Guercio

Sito Etnanatura: Fontana Paradiso.

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Castello Ursino

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12-03-2014 08-46-23Tra la fine del 1239 e l’inizio del 1240, Federico II di Svevia dà il via alla costruzione del Castello Ursino, affidata al “praepositus aedificiorum” Riccardo da Lentini. Con una lettera datata 24 Novembre 1239, l’imperatore invitava i catanesi a versare una somma di duecento once in oro per la costruzione del castello ed i lavori iniziarono da lì a breve, incalzati da una possibile rivolta cittadina. La costruzione del Castello Ursino faceva parte di un ampio progetto di fortificazione avviato già negli anni precedenti nella Sicilia orientale da Federico II. Nonostante le difficoltà economiche imponessero in quegli anni l’interruzione dei lavori in gran parte degli altri castelli siciliani, il castrum catanese fu costruito in breve tempo su di un promontorio che si affacciava sul mare ma che dominava altresì il centro urbano. Non più isolata roccaforte, ma vera “struttura” urbana a presidio della città, in relazione con la sua configurazione ed il suo sviluppo. Difficile, per chi lo visita oggi, immaginarne l’originaria collocazione strategica. L’eruzione del 1669 modificando il rapporto dell’edificio con il terreno e la sua posizione all’interno del tessuto cittadino ne snatura l’originaria vocazione. La colata lavica lo circondr lasciando pressoché intatta la struttura ma distruggendone la funzionalità militare. Viene alterata anche la visuale del Castello, reso meno imponente dal “livellamento” del terreno. La struttura del Castello esprime gli aspetti essenziali dell’architettura Federiciana: una pianta rigorosamente geometrica definita da un doppio perimetro quadrato con al centro un’ampia corte interna. Una struttura perfettamente regolare e simmetrica che ripete se stessa, segnata da quattro torri angolari e quattro torri mediane, due delle quali ancora esistenti. La storia del Castello Ursino (l’origine del nome è tuttora controversa) è da sempre legata ad accadimenti politici e naturali. Dalla costruzione a oggi è stato quasi costantemente utilizzato. Per tutto il sec. XIII mantenne il carattere di fortezza per poi divenire dimora reale degli Aragonesi (nel Castello fu convocato il primo Parlamento Siciliano) e, più tardi dei Viceré Spagnoli. È stato adibito anche a carcere (nel cortile sono ancora visibili i graffiti dei prigionieri) e utilizzato in seguito come caserma. Restaurato in epoca fascista, dal 1934 il Castello ospita le raccolte civiche in cui sono presenti le sezioni archeologiche Medievale, Rinascimentale e Moderna. Nel 1988 inizia il restauro volto a recuperare alla città di Catania un monumento di inestimabile valore del suo patrimonio storico e culturale.
Comune di Catania

Foto di Etnanatura e Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Castello Ursino.

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