Terme della Rotonda

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25-01-2009 05-25-49Le Terme della Rotonda sono delle strutture termali di epoca romana, datate al I-II secolo d.C. e site nel centro storico di Catania. Sul sito sorse pure una chiesa di probabile origine bizantina intestata alla Vergine Maria.
Etimologia. La singolare struttura architettonica della chiesa che vi si ricavò, una grande cupola sorretta da possenti contrafforti posta su un ambiente quadrato, fece sorgere l’appellativo di Rotonda al complesso ecclesiastico, spesso indicato col toponimo de La Rotonda nelle planimetrie Cinque e Secentesche.
La struttura termale è stata solo di recente chiarificata, come un grande complesso di edifici quadrangolari connessi tra loro e seguenti uno stesso orientamento. Tra essi emerge una grande sala absidata – forse un frigidarium – orientata in direzione nord-sud databile alla prima fase vitale delle terme, a cui si appoggia sul lato est un grande ambiente ad ipocausto ricco di numerose suspensurae che dovevano reggere un pavimento mosaicato di cui pure si sono rinvenute esigue tracce e identificabile come calidarium. Le dimensioni di quest’ultimo lo riconducono alla monumentalizzazione dell’area. In un secondo momento (intorno al V-VI secolo d.C.) venne ripartito in più ambienti di minori dimensioni, mentre a ovest della grande sala absidata si apre un vasto ambiente pavimentato in grandi lastre marmoree su cui si rinvennero diverse tombe, alcune realizzate distruggendo il pavimento stesso. A sud si aprono diversi altri ambienti appartenenti alla fase di II-III secolo, come due pavimenti ad ipocausto pertinenti a piccoli ambienti circolari, forse un tepidarium. Altri ambienti quadrangolari proseguono a nord, all’interno dell’edificio della chiesa che in parte si appoggia alle strutture romane.
La struttura più appariscente è tuttavia quella dell’ex chiesa di Santa Maria della Rotonda. L’ambiente in pianta quadrata presenta due aperture – una a sud con un portale in calcare del Cinquecento, l’altro a ovest in pietra lavica del Duecento – e due aree presbiterali ad esse corrispondenti: un presbiterio quadrato in forma di triclinium circondato da angusti corridoi che fungono da deambulacro si apre verso nord, mentre a est un piccolo catino absidale di cui rimane una porzione dell’alzato. All’interno del vano quadrato dell’edificio ne è ricavato uno in forma circolare dal diametro di 11 metri e chiuso a cupola, mentre da esso si aprono nei quattro angoli del quadrato altrettanti nicchioni che funsero da cappelle, messe in comunicazione con l’ambiente circolare da arconi in pietra lavica. Sopra la cupola un singolare lucernaio ad archetto faceva forse da piccolo campanile, mentre a decorazione dell’esterno si poteva osservare fino agli anni ’40 una merlatura tutto intorno al suo perimetro. A est della struttura si aprivano alcuni ambienti, un tempo sagrestia della chiesa, danneggiati dal bombardamento e ricostruiti nell’ultima campagna di lavori per ricavarne un piccolo ambiente per l’organizzazione delle visite.
Della decorazione pittorica di quella che fu la chiesa rimangono poche tracce. Le più antiche identificate rappresentano i Santi vescovi Leone e Nicola, a decorazione degli stipiti dell’arco ovest del presbiterio; una Madonna in Trono sulla parete orientale dello stesso ambiente; una Madonna in Trono con Bambino. Tali affreschi si possono identificare quali appartenenti al periodo compreso tra il XII e il XIV secolo. Al XVIII secolo invece risalirebbero gli altri affreschi: nel presbiterio parti di un ciclo rappresentanti l’Annunciazione e la Natività e, sulla volta, l’Assunzione della Vergine al cielo; nei triangoli d’imposta della cupola sono i Santi Pietro, Paolo, Agata, Lucia e gli Evangelisti Luca, Matteo, Marco, Giovanni; sulle pareti che chiudevano le arcate pure vi erano diverse figure prima dei lavori degli anni ’50, tra queste si riconosce Sant’Omobono. Alla base della cupola una lunga iscrizione in latino corre in circolo e recita:
«QUOD INANI DEORUM OMNIUM VENERATIONI SUPERSTITIOSAE CATANENSIUM EREXERAT PIETAS IDEM HOC PROFUGATO EMENTITAE RELIGIONIS ERRORE IPISIS NASCENTIS FIDEI EXORDIIS DIVUS PETRUS APOSTOLORUM PRINCEPS ANO GRATIAE 44 CLAUDII IMPERATORIS II. DEO. OP. MAX. EIUSQUE GENITRICI IN TERRIS ADHUC AGENTI SACRAVIT PANTHEON.» («Ciò che la pietà dei Catanesi aveva eretto all’inutile superstiziosa venerazione di tutti gli dei questo stesso tolto l’errore della falsa religione negli stessi primordi della nascente fede San Pietro Principe degli Apostoli consacrò nell’anno di grazia 44 a Dio Ottimo Massimo e alla sua genitrice ancora vivente nell’anno II di Claudio Imperatore»).
Secondo recenti studi archeologici condotti durante la campagna di scavo del 2004-2008 atta ad un intervento di valorizzazione e pubblica fruizione del complesso archeologico, la struttura risalirebbe nel suo primitivo impianto al I-II secolo d.C., conobbe una fase di monumentalizzazione intorno al III secolo d.C. durante una fase di notevole arricchimento della città di Catania per poi conoscere una fase di abbandono tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo d.C.
L’edificio termale, rimasto inattivo per quasi due secoli e ormai in pesante stato di distruzione e di degrado, divenne sede di una chiesa intorno al IX-X secolo d.C. che sfruttò le pareti ancora integre per gli scopi liturgici. La chiesa ricavata – probabilmente sin dal suo sorgere dedicata al culto della Madonna – venne orientata in senso nord-sud e si utilizzarono i materiali recuperati dalle rovine per la sua costruzione. Qui, addossata alla chiesa e ricavata nelle rovine interrate delle terme, sorse un’ampia area cimiteriale, intensamente utilizzata tra i secoli XII e XIII e attiva ancora fino al XVI secolo. Di questo periodo risale il cambio di orientamento (dal senso nord-sud al senso est-ovest), l’apertura dell’ingresso con portale ad ogiva e la realizzazione di un’abside ad esso contrapposto. La chiesa venne quindi adeguata a cappella funebre per figure alto-borghesi, forse cappella cavalleresca della guardia di Federico II. L’orientamento tornò ad essere nel senso nord-sud nel Cinquecento, con la realizzazione di un nuovo ingresso con portale rinascimentale.
Nei primi studi moderni su Catania e già dal Fazello si ha menzione dell’edificio, ritenuto il più antico tempio di culto a Catania, ritenuto un Pantheon pagano convertito in luogo di culto cristiano e consacrato a Maria nel 44 d.C.. Tale tradizione, seppur errata, mantenne per quasi tre secoli il suo fascino, almeno fino ai primi studi del Biscari il quale identificò per primo l’edificio quale ambiente termale di epoca imperiale romana. La corretta identificazione non fece tuttavia diminuire l’interesse per questo edificio e ancora nel Settecento viene ricordato come l’antico Pantheon catanese, ritenuto precedente persino alla struttura romana.
Il bombardamento del 1943 devastò la vicina chiesa di Santa Maria La Cava risalente al Settecento e rovinò pesantemente la struttura. Tra gli anni quaranta e cinquanta si operò quindi una serie di lavori di consolidamento delle strutture. La direzione dei lavori fu affidata a Guido Libertini il quale tuttavia non risparmiò le strutture ecclesiastiche, né alcuni preziosi affreschi, per mettere in luce le strutture romane. Libertini suggerì la seguente cronologia: un livello ellenistico-romano con resti delle sue costruzioni termali, oggi meglio identificato con le strutture di I secolo; un rimaneggiamento di età imperiale che diede all’ambiente la forma circolare del calidarium, in realtà la struttura circolare risale all’epoca bizantina; un altro rimaneggiamento di età romana più tarda; il pavimento bizantino; alcune trasformazioni di età medievale; la sistemazione più recente che risale al XVII o al XVIII secolo. Nell’opera di sbancamento venne abbattuta anche una monumentale tomba cavalleresca che faceva da altare durante il XIII secolo e, sulla base dei resti superstiti ospitati presso il Castello Ursino, si deve identificare quale sepolcro di un cavaliere membro della guardia personale di Federico II.
Il 23 febbraio 1997 lo studioso Francesco Giordano vi portò in visita una delegazione religiosa composta dall’esarca della Chiesa Cristiana Ortodossa d’Italia il metropolita Ghennadio, l’ex console greco in Catania Mefalopulos e il presidente dell’Associazione Siculo-Romena Lo Meo.
Nell’arco di anni dal 2004 al 2008 l’edificio e l’area ad esso orbitante furono interessati da un nuovo ciclo di scavi atti alla preservazione, allo studio e alla fruizione della struttura. In questa campagna di scavo si rinvenne una gran quantità di tombe, si poterono identificare con certezza nove ambienti termali e ipotizzarne molti altri che si estendono al di sotto delle vicine Via Rotonda e Via La Mecca, venne messa in luce l’abside di età sveva e si misero in luce diversi affreschi precedentemente coperti da un anonimo intonaco monocromo. Lo studio, oltre a rivelare le diverse fasi di vita dell’edificio, ha anche permesso il riconoscimento del ciclo di pitture che decoravano gli interni della chiesa, riconducendo a datazioni più corrette quelle più antiche.
Da Wikipedia.

Sito Etnanatura: Terme della Rotonda

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Bosco di Centorbi

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24-11-2013 17-32-41Il Bosco di Centorbi è un’area boschiva che sorge sul versante occidentale dell’Etna, nel territorio del comune di Bronte. Si tratta di un querceto sempreverde con dominanza di leccio (Quercus ilex) accompagnato da biancospino (Crataegus monogyna), perastro (Pyrus spp.), rosa canina e terebinto (Pistacia terebinthus). A margine vi crescono anche l’endemico bagolaro dell’Etna (Celtis aetnensis) e la ginestra dell’Etna Genista aetnensis. Il paesaggio è caratterizzato da numerosi crateri avventizi (Monte Minardo (1.304 m), Monte Peloso (1.269 m), Monte Ruvolo (1.410 m), Monti Tre Frati (1.384 m, 1.376 m), Monti Nespole (1.633 m, 1.725 m), anch’essi in genere coperti di bosco. L’accesso escursionistico è dalla Casa Forestale di quota 1.160 metri, raggiungibile dall’abitato di Bronte percorrendo la strada in basolato lavico che conduce alla “Grotta della Neve”, una neviera ricavata modificando un frammento di grotta lavica, usata in passato per la produzione di ghiaccio. Dalla Casa Forestale è possibile percorrere ampie e comode sterrate che attraversano la lecceta. Un sentiero a tornanti consente di salire alla cima del Monte Minardo. (da Wikipedia). Foto dell’amico Salvo Nicotra.

Sentiero etnanatura: Bosco di Centorbi.

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Serra delle Concazze e grotta di Serracozzo

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20100425 051Non potete dire di conoscere l’Etna se non avete provato il sentiero di Serra delle Concazze. Dopo avere attraversato i valloni di Serracozzo con i torrenti limpidi che scorrono alle prime pioggie, arrivate in una valle che custodisce la grotta di Serracozzo. Questa grotta, formatesi di recente dalle lave del 1971, per i giochi di luce dovute alle fessurazioni sul tetto, si presenta come una delle più affascinanti dell’Etna. Seguendo il percorso, dopo una ripida salita, arrivate a Serra delle Concazze che presenta un affaccio mozzafiato sulla valle del Bove.

Sentieri etnanatura:

Serra delle Concazze

Grotta di Serracozzo

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Eruzione del 1865

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27-10-2013 11-31-10L’eruzione dell’Etna del 1865 ebbe inizio il 29 gennaio e si concluse nella metà di giugno dello stesso anno. In seguito ad essa nacquero i Monti Sartorius sul versante a nord-est. Più a valle si formò la Grotta dei rotoli che deve il nome a tunnel di lava accartociata. L’attività del vulcano ebbe inizio, con emissione di fumo dal monte Frumento delle Concazze, alle ore 14,30 del 28 gennaio 1865 seguita da rombi e scuotimenti e scosse sismiche. Il 29 gennaio alle ore 23 si manifestò un forte sisma che interessò tutta l’area orientale del vulcano provocando panico negli abitanti di tutti i comuni dell’area reiterandosi per alcune ore; poco dopo tre fontane di lava sgorgarono da fenditure apertesi tra 1800 e 1750 m. s.l.m. Il 30 gennaio ad est di monte Frumento si aprì una fenditura di circa 400 metri che emise ulteriori 8 fontane di lava. Con passare del tempo le fratture e i punti di emissione continuarono a spostarsi verso est con la formazione di otto coni tutti attivi tra il 4 il 5 febbraio. L’eruzione sembrò rallentare ma riprese vigore tra il 19 e il 25 marzo. Le colate furono almeno tre di cui la più bassa, verso nord-est si fermò il 9 febbraio mentre una successiva si arrestò il 12 dello stesso mese. Una nuova colata circondava Monte Chiovazzi alla fine di marzo raggiungendo la massima lunghezza il 4 aprile. Dopo varie emissioni successive l’attività cessò nella metà del mese di giugno. (Notizie prese da Wikipedia).

Sentieri Etnanatura:

Monti Sartorius

Grotta dei rotoli

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Grotta di Monpeloso

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14-11-2012 10-09-54Il primo febbraio dell’anno 252 d.C., alla fine dell’impero di Traiano Decio, da Monpeloso, vicino Nicolosi, si dipartì una violenta eruzione che in pochi giorni arrivò a Catania; le lave superarono le colline di Cibali e poi, a nord, raggiunsero l’attuale frazione di Borgo. La leggenda narra che l’eruzione ebbe termine il 5 febbraio grazie al velo della santa Agata morta martire l’anno precedente proprio il 5 febbraio. Oggi di quell’eruzione resta la galleria d’effluvio dell’apparato eruttivo costituita da una grotta lunga 55 m con una caratteristica volta a sesto acuto.

Pagine etnanatura: https://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Grotta_Monpeloso

 

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Vena

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13-10-2013 10-56-29La tradizione narra che santa Silvia, madre di papa Gregorio I, aveva dei possedimenti nel versante orientale dell’Etna. Una missione di frati (forse basiliani) prevenienti da Mascali era stata inviata da Gregorio che aveva deciso la fondazione di un monastero ed al loro seguito vi era una icona che era trasportata a dorso di mulo. La leggenda narra che per volere divino il mulo ad un tratto si sarebbe fermato ed iniziando a scalciare avrebbe fatto sgorgare un rivolo o “vena” d’acqua (datazione approssimativa tra il 575 e il 580). Gregorio avrebbe così deciso nel successivo 597 di realizzare in loco un monastero basiliano dove conservare l’icona e dedicarlo a Sant’Andrea. Spesso Gregorio citò il monastero come «Sant’Andrea sopra Mascali».
Il bizantino Teofane Cerameo, che si formò nel XII secolo proprio nel monastero e fu noto come arcivescovo di Rossano (CS), scrittore e predicatore citò l’icona di Vena. Successivamente ai normanni le informazioni attendibili sul monastero si perdono sino al 1500 quando viene citata una «Abbazia di Vena». Le ipotesi più accreditate propendono per l’abbandono del monastero a causa di eventi naturali legati al vicino vulcano, probabilmente il terremoto e la successiva eruzione del 1169, come avvenne nel caso dell’Abbazia di Santa Maria di Maniace di Bronte. Una causa comune anche ad altri monasteri alle pendici dell’Etna che, pur se in momenti diversi, dovettero essere abbandonati come quello di Sant’Andrea a Milo, di San Giacomo a Zafferana Etnea e quello di San Nicola a Nicolosi. Inoltre sull’abbandono è possibile che abbia anche influito il progressivo ridimensionamento dei cenobi basiliani avvenuto dopo la ricca epoca normanna. Il monastero, dedicato da Gregorio a sant’Andrea venne successivamente abbandonato ed oggi non se ne trovano più tracce. Secondo alcuni dei ruderi sarebbero rimasti sino ai primi del XX secolo. L’impronta dell’attuale Santuario è decisamente novecentesca essendo stato ultimato nel 1930 e di antico conserva solo l’icona della Madonna. A fianco del tempio si trova la vena d’acqua tradizionalmente attribuita all’evento divino. L’immagine che ritrae la Madonna e Gesù bambino nell’icona è di dimensioni cm.170 X 67. La tavola di cedro del Libano è spessa 3 cm. Si trova una iscrizione, probabilmente postuma, che recita: “Sancta Maria, Vena omnium gratiarum, ora pro nobis” ( Santa Maria, Vena di tutte le grazie, prega per noi).
Sulla datazione dell’icona ci sono due correnti di pensiero, una prevalente si rifà alla tradizione popolare (VI secolo) dell’icona bizantina mentre altri autorevoli studiosi ipotizzano che possa anche trattarsi di una icona del XIII secolo di fattura locale.
Da Wikipedia.

Sito Etnanatura: https://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Vena

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Sciammaro lupo

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22042012 083Partendo da monte Ilice, il sentiero attraversa le lave del 1634 e del 1792 per arrivare alla grotta Cassone (una delle più lunghe grotte dell’Etna). Lungo il percorso merita una sosta la grotta di monte Cicirello. Le lave antiche formano disegni fantasmagorici che non mancheranno di affascinarvi.

 

Sentieri etnanatura:

Sciamaro Lupo

Monte Ilice

Grotta di monte Cicirello

Grotta Cassone

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Salto del cane

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Crateri_di_salto_del_cane_20100228 025Intorno all’anno 150 a.C., quindi in epoca romana, si formarono i crateri di Salto del cane. La colata lavica che ne scaturì arrivò a lambire l’attuale Acireale. Oggi in zona si può ammirare un paesaggio di estremo fascino e di interesse naturalistico e geologico. Ai piedi del monte si attraversano boschi di castagne mentre il versante alto è ricoperto da un fitto ginestreto. Giunti al bordo del cratere si ritrova un profondo baratro a forma di imbuto in cui si ammassano bombe laviche e blocchi di tufo. Sulle pareti scoscese troviamo il Leccio, il Pioppo tremulo che, come dice il nome, possiede foglie che fremono ad ogni alito di vento, il Sorbo meridionale, assai simile al Sorbo montano, ambedue molto rari sull’Etna, la Roverella e alcuni robusti esemplari di Faggio, che qui formano una stazione isolata di questa pianta. Inoltre si riscontrano molti arbusti: dalla già citata ginestra, alla rosa canina. Prima di scendere nel cratere in lontananza possiamo ammirare  i Monti Silvestri, la Serra Pizzuta Calvarina, La Montagnola, il conetto di Monte Escrivà e le Serre che delimitano la valle del Bove.

Sentiero etnanatura: Salto del Cane.

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Grotta dei ladroni

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20100402 145Per la brevità del sentiero e la facilità di accesso risulta senz’altro fra le grotte più conosciute e visitate del comprensorio etneo. La leggenda vuole che nei secoli sia stata rifugio e base logistica di briganti (da cui il nome). Si tratta di una grotta dovuta a fenomeni di scorrimento lavico formatasi in epoca non databile. Presenta diversi accessi e ha un’altezza tale da permettere una postazione eretta da parte del visitatore.

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La grotta dei lamponi

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27052012 314(di E. Crimi) Si tratta di una importante galleria di scorrimento lavico rinvenuta nel 1965 all’interno delle centenarie lave dei dammusi, in territorio di Castiglione di Sicilia. Le “Lave dei dammusi” sono state originate da una straordinaria colata che interessò la zona a partire dal 1614 e, ad alterne fasi, sino al 1624. Lave dei Dammusi, ovvero, dall’arabo dammus, toponimo oramai in disuso a significare entità vuote, ed accostato come confronto ai tetti delle case antiche. La particolarità di queste lave si riscontra nella loro costituzione a lastroni stratificati o, come definita, “a corde o pahoehoe ” per la conformazione di raffreddamento che ha lasciato degli ampi vuoti o spazi tra una placca e l’altra, per questo comparata ai tetti (dammusi) delle antiche case siciliane, che di solito sotto la volta esterna erano vuoti. Le lave dei dammusi (le concentrazioni più vistose presenti sull’Etna, sono appunto in territorio di Castiglione di Sicilia e Bronte, strada rurale SS. Cristo-Piano Ginestre) per le loro straordinarie peculiarità orografiche, oggi rappresentano una meta per gitanti comuni, attratti dalla particolarità delle loro forme fuori del comune, mentre rappresentano per gli studiosi una nicchia geologica di notevole interesse finalizzato alla ricerca scientifica, in quanto rivestono grande valore sia per la struttura sopra descritta che per la dovizia di caverne e gallerie di scorrimento. Le caratteristiche della “Grotta dei Lamponi” fecero subito pensare ad una interessante scoperta, portata alla luce ad opera di volontari del C.A.I. di Linguaglossa, i quali diedero alla grotta il nome delle piantine di lamponi vegetanti in uno dei suoi ingressi. A circa 1745 metri di quota, la sua lunghezza di circa 700 metri e il suo dislivello di circa 90 metri, la rendono di grande attrazione e tra le più importanti grotte presenti sul territorio di Castiglione di Sicilia. La grotta dei lamponi si snoda in un’unica e ampia galleria, larga circa 7 metri, avente un’altezza media di circa 3 metri al soffitto, il quale in alcuni punti si presenta crollato ed in altri ricco di stalattiti e scorie laviche o denti di pescecane, come vengono chiamati localmente. Il pavimento, ostruito in alcuni punti da detriti lavici provenienti da cedimenti della volta, testimonia ancora oggi, l’imponente passaggio del magma molto caldo e fluido. Punto d’arrivo di numerosi escursionisti per la sua facilità di individuazione, in quanto adiacente ad una pista forestale, la grotta dei lamponi può essere usata come punto di partenza per l’esplorazione di altre conosciutissime cavità, poste a non molta distanza, sempre nelle lave del 1614-24, su territorio di Castiglione di Sicilia.
di: Enzo Crimi
Sentieri Etnanatura:
Grotta dei Lamponi
Passo dei Dammusi

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