I luoghi del cuore

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26-03-2014 07-32-51Il “Bastione degli infetti” partecipa alla manifestazione “I luoghi del cuore“, censimento dei luoghi italiani da non dimenticare promosso dal FAI, Fondo Ambiente Italiano. Etnanatura invita tutti gli amici a votare per questo sito che tanta importanza ha avuto nella storia di Catania.

 

Per esprimere la vostra preferenza a favore del “Bastione degli infetti” cliccate qui.

Il bastione degli infetti si trova sulla collina di Montevergine, antica acropoli di Catania. Già Cicerone, parlando dei furti di Verre, definisce il tempio di Cerere, Che doveva sorgere dove oggi troviamo i resti del Bastione degli infetti come tempio di gran culto. Ecco la citazione di Cicerone: “Nella parte più interna si trovava un’antichissima statua di Cerere, che le persone di sesso maschile non solo non conoscevano nel suo aspetto fisico, ma di cui ignoravano persino l’esistenza. Infatti a quel sacrario gli uomini non possono accedere: la consuetudine vuole che le celebrazioni dei riti sacri avvenga per mezzo di donne sia maritate che nubili…Esiste un’antica credenza che si fonda su antichissimi documenti e su testimonianze greche, che tutta l’isola siciliana sia consacrata a Cerere e Libera. Non è una profonda persuasione, a tal punto da sembrare insito e connaturato nel loro animo. Infatti credono che queste dee siano nate in quei luoghi e le messi in quella terra per prima siano nate in quella terra per prima siano state scoperte, e che Libera, che chiamano Proserpina, sia stata rapita da un bosco degli Ennesi”. In seguito il vescovo Leone II detto il Taumaturgo fece distruggere, come ricordano gli Atti Latini, il tempio utilizzando le sue pietre per costruire l’allora Cattedrale di Catania che corrisponde con l’attuale chiesa di sant’Agata la Vetere (vedi). Le Mura di Carlo V erano un complesso murario che venne fatto realizzare a Catania dall’imperatore Carlo V a difesa della città: esse erano costituite da undici bastioni ed avevano sette porte di accesso alla città. L’incarico della costruzione venne dato all’architetto Antonio Ferramolino all’inizio del XVI secolo ma la costruzione andò avanti con molta lentezza vista la complessità dell’opera. Esse racchiudevano completamente la città del tempo e la difendevano dai pericoli esterni. Ma, prima l’eruzione dell’Etna del 1669 e poi il terremoto del 1693 le rovinarono gravemente, ma la loro scomparsa definitiva si deve al piano di rinnovo urbano del XVIII secolo. Una delle poche testimonianze rimaste è costituita dal Bastione degli infetti costruito nel 1556 ad opera del vicerè Vega. Accanto ai resti del Bastione degli infetti ritroviamo la Torre del Vescovo. La torre si ritene fondata agli inizi del XIV sec. (1302 d.C.?) ed è parte integrante dell’antica cinta muraria aragonese. Venne acquistata dal vescovo Antonio de Vulpone e trasformata, insieme all’area antistante, in lazzaretto. L’edificio si caratterizza per la pianta quadrata e la tecnica edilizia (non uniforme) costituita da pietrame lavico appena sbozzato, inzeppato con frammenti di terracotta e legato insieme da malta. I cantonali sono rinforzati con blocchi di pietra lavica squadrati. Della torre si conservano solo tre dei quattro muri perimetrali, solo quelli rivolti verso l’esterno della cinta muraria. Si tratta, probabilmente, di un semplice accorgimento architettonico: in caso di assedio e di conquista della cinta muraria, gli attaccanti non avrebbero potuto utilizzare la torre contro la città, essendo essa, in corrispondenza del lato meridionale, esposta al tiro degli arcieri. L’edificio conserva solo le saettiere del primo piano, sebbene sia probabile che esistesse anche una seconda elevazione, oggi del tutto scomparsa. Il pavimento di entrambi i piani doveva essere ligneo. Non si conserva merlatura e la scarpa del pianterreno appare come aggiunta posticcia di tempi relativamente recenti. Nel XVI sec. il lazzaretto si estese, comprendendo oltre alla Torre del Vescovo anche il limitrofo bastione di Carlo V. Il nuovo complesso prese il nome di “Ospedale degli Infetti“» (le notizie sulla torre si devono al sito medioevosicilia.eu).

Pagina Etnanatura: Bastione degli infetti.

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Il borgo dei fantasmi.

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13-07-2014 20-33-15Nato in periodo fascista, il borgo Giuliano si presenta in uno stato di totale abbandono determinato proprio dalla filosofia che dettò la nascita di alcuni borghi rurali soprattutto in Sicilia. Non case per i contadini ma per la piccola borghesia (chiesa, scuola, ufficio postale) che avrebbe dovuto supportare il territorio circostante. ” … piccola capitale funzionalistica senza stento e senza gravezza di plebe …” li definì con sintesi efficace Carlo Emilio Gadda ne “La nuova antologia”.  Il nome per ricordare uno dei tanti poveri soldati, Salvatore Giuliano, mandato allo sbaraglio a morire in terra di Abissinia per soddisfare la vanagloria del duce.  Anche allora, come spesso accade purtroppo anche oggi in terra di Sicilia, dopo formale e solenne inaugurazione alla presenza del ministro Tassinari, il borgo venne ben presto abbandonato. Oggi è abitato dai fantasmi che sollevano la polvere del tempo negli arsi pomeriggi.

Foto di Salvo Nicotra.

Pagina Etnanatura: Borgo Giuliano.

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Piano Margi

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27-08-2014 09-12-47Nell’altipiano di Margi, in cima ad una collina, si ritrovano i resti antichi di un accampamento romano. La costruzione rispecchiava la tipica domus romana, con pavimento in pietre e le pareti in coccio misto a calce idraulica. Al centro del rudere sono ancora visibili le colonne di un tempietto. Probabilmente in questo luogo sostarono le truppe romane di Sesto Pompeo  in ritirata durante la guerra civile contro Ottaviano, prima di portarsi verso Tindari. Alcuni racconti popolari narrano che proprio in quest’accampamento riposarono una notte i fratelli martiri Alfio, Filadelfo e Cirino in transito verso Lentini. Anche San Filippo d’Agira, proveniente da Limina e diretto a Mongiuffi Melia, Calatabiano e Agira, sostò in questo luogo a evangelizzare. Si racconta che, attratto dalla magia del luogo, Federico II, proveniente da Taormina e diretto all’abbazia di San Pietro e Paolo dell’Agrò, riposò in questo luogo alcune ore seduto su un sedile di pietra ancora esistente.

Notizie tratte da “Polissena e la valle del Chiodaro” di Giovanni Curcuruto che ringraziamo per le preziose informazioni. Ringraziamo anche Fabio Luchino, guida insostituibile e appassionato conoscitore di orchidee selvatiche di cui è ricco l’altipiano di Margi (a tal proposito vi consiglio la sua pagina web Orchidee dei peloritani).

Sito Etnanatura: Piano Margi.

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Carcaci

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19-02-2014 19-54-36La prima testimonianza della presenza umana nel luogo risale all’XI secolo, quando i normanni, venuti in Sicilia, nel 1061 qui si accamparono per organizzare la presa di Centuripe. A quell’epoca risale la prima costruzione di cui si ha testimonianza: una torre quadrangolare successivamente inglobata in altri edifici. Il primo feudatario di Carcaci fu Giovanni de Raynero nel 1200 circa. Nel 1453 Giovanni Spatafora ebbe l’investitura dal re Alfonso della baronia di Carcaci. Sul finire del XVI secolo vennero realizzati dei lavori idraulici per opera del barone Ruggero Romeo. Successivi feudatari di Carcaci furono Nicola Mancuso nel 1602 e Gonsalvo Romeo Gioieni nel 1630. Questi ottenne nel 1631 la licentia populandi e fondò il borgo. Dopodiché, Carcaci passò alla Casa Paternò Castello che da allora sono i Duchi di Carcaci. Il borgo venne realizzato con pianta regolare e con gusto barocco spagnoleggiante: venne realizzato un monumentale ingresso, una chiesa, dedicata a santa Domenica, ormai in stato di abbandono, un castello. 
Da Wikiedia 
Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Carcaci.

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Monte Castellaccio

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Sito Etnanatura: Monte Castellaccio,

Ci piace presentarvi monte Castelaccio come un luogo da fiaba dove anticamente (non sappiamo quando e se) esistevano ricche miniere di oro alle quali attingevano i greci prima e poi i romani, i saraceni e tutti quelli che hanno fatto della Sicilia terra di conquista (e dico ciò con un’accezione non sempre negativa considerando che peggio dei siciliani nessuno ha mai amministrato le nostre terre).

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Capo sant’Alessio

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Sito Etnanatura: Capo sant’Alessio.

Il castello di Sant’Alessio Siculo sorge sul promontorio roccioso noto come “capo Sant’Alessio”, all’interno del comune di Sant’Alessio Siculo, in provincia di Messina. Il “capo” è l’unico promontorio a sorgere lungo la fascia costiera ionica tra Messina e Taormina. Per questa ragione ha rivestito, e riveste tuttora, un ruolo importante dal punto di vista strategico; tutti gli eserciti storicamente presenti in Sicilia hanno contribuito, in fasi successive, all’edificazione del castello sulla sua sommità. Il castello si compone di due torrioni, uno a pianta rettangolare e uno a pianta circolare, e di un muro di cinta.

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Savoca

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Bar Vitelli

Bar Vitelli

La nostra visita di Savoca, antico e affascinante paesino ai confini fra le province di Messina e Catania, comincia da un film che ha fatto la storia della cinematografia “Il padrino” di Francis Ford Coppola considerato dalla rivista Empire il più bello di tutti i tempi. Nella finzione cinematografica Michael Corleone chiede la mano di Apollonia nel bar Vitelli, per poi sposarla nella chiesa di Santa Lucia.

Salendo sulla collina sopra il bar si raggiunge la cripta dei Cappuccini. Realizzata agli inizi del Seicento nei sotterranei della chiesa omonima, racchiude 37 cadaveri mummificati appartenenti a patrizi, avvocati, notai, possidenti, preti, monaci, abati, medici, poeti, magistrati, una nobildonna e tre bambini, tutti appartenenti alla ricca e potente aristocrazia savocese. Sembra che i frati cappuccini abbiano appreso  le tecniche di imbalsamazione

Cripta dei cappuccini. Foto Wikipedia.

Cripta dei cappuccini. Foto Wikipedia.

in Sud America, le quali, attraverso la Spagna, sarebbero giunte in Sicilia. La mummia più antica risale al 1776, ed appartiene al notar Pietro Salvadore, la più recente è del 1876 ed appartiene a Giuseppe Trischitta. Il procedimento di mummificazione durava sessanta giorni, era detto dell’essiccazione naturale; consisteva, prima nell’immergere per due giorni la salma in una soluzione di sale e aceto, successivamente, dopo aver proceduto allo scolo dei visceri, nel distenderla nella cripta della Chiesa Madre dove, sfruttando il gioco delle correnti d’aria, avveniva la naturale essiccazione del cadavere. Infine, la mummia veniva elegantemente vestita e si procedeva a traslarla solennemente nel sito in questione. Il procedimento di mummificazione veniva effettuato direttamente dai frati Cappuccini ed era abbastanza costoso. La cripta dei Cappuccini di Savoca ha suscitato, nel corso del XX secolo, l’interesse di molti illustri scrittori, come Ercole Patti, Leonardo Sciascia e Mario Praz. I corpi sono rivestiti con elegantissimi abiti d’epoca e danno mostra di sé nelle nicchie e nelle bare in cui sono racchiusi.

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Porta del quartiere san Michele

Ritornando verso il bar Vitelli e risalendo per la collina opposta a quella dei cappuccini, si ritrova l’antica porta del quartiere San Michele.  Si presenta come un arco a sesto acuto in pietra arenaria, risalente al XII secolo. Fino al XIX secolo via San Michele, strada d’accesso alla porta, non era altro che una ripida scalinata scolpita nella roccia viva. Fino al 1918, erano ancora presenti le porte in ferro, che, nel Medioevo, venivano aperte all’alba e chiuse al tramonto. Il manufatto è stato restaurato nel 2009.

Antico carcere

Antico carcere

Superata la porta si ritrovano i resti dell’antico carcere. L’antico carcere della Terra di Savoca, fino al 1795 era ubicato nel villaggio di Casalvecchio. Quando poi questo paese si emancipò dal dominio savocese, le prigioni vennero spostate nel centro di Savoca, in un’ala dell’antico Palazzo della Curia. Del carcere rimangono miseri avanzi murari e una finestra quadrata, chiusa con una grata in ferro battuto, su cui troneggiava lo stemma dell’Archimandrita, rimosso e custodito al museo locale. È ancora visibile all’interno una cisterna che serviva per l’approvvigionamento idrico di buona parte dell’abitato. Dal 1855, quando Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, andò in disuso. Crollò parzialmente nel 1908 e non fu più ricostruito.

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San Michele

La chiesa di San Michele, costruita attorno al 1250, per volere degli Archimandriti, era la chiesa del Castello di Pentefur, ampliata nei primi decenni del XV secolo, venne ristrutturata ed affrescata agli inizi Seicento, seguendo lo stile Barocco. Inizialmente l’edificio era di esigue dimensioni e, secondo un antico manoscritto datato 1308, vi celebravano la Divina Liturgia numerosi sacerdoti di rito greco. Verso il 1420 la chiesa venne ampliata e si procedette ad impreziosirla con i due attuali portali in stile gotico-siculo. Durante tutto il Medioevo ed oltre, il non credente che si convertiva al Cristianesimo, secondo una documentata tradizione, doveva salire ginocchioni, in atto di penitenza, i suoi sette gradini, per poi ricevere il sacramento del battesimo.

Castello Pentefur

Castello Pentefur

Sulla cima della collina domina il castello di Pentefur (vedi). È ridotto ormai a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti delle mura merlate, nei resti della torre trapezoidale, che fu a due elevazioni su un’area di 350 m², ed in alcune cisterne. Il Castello sorge sull’omonimo colle, edificato in posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. Risale, con molta probabilità, all’epoca tardo-romana o bizantina, secondo la tradizione venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur. Venne riedificato dagli arabi e ampliato dai Normanni che ne fecero la residenza estiva dell’Archimandrita di Messina, signore feudale della Baronia di Savoca. L’Archimandrita messinese trascorreva, assieme alla sua corte, buona parte dell’anno all’interno del Castello Pentefur. Dal 1355 è proclamato Castello Regio ed è al centro di un susseguirsi di turbolenti eventi che si protrarrà per circa trent’anni, viene infatti tolto all’Archimandrita dal Re Federico IV di Sicilia che lo attribuisce a Guglielmo Rosso Conte d’Aidone. È lo stesso re Federico IV, il 30 novembre 1355, ad imporre ai Giurati ed ai Sindaci savocesi ed all’Archimandrita di Savoca Teodoro di giurare fedeltà al nuovo Capitano del Castello. Nel 1356 vi si rifugiò lo Strategoto messinese Arrigo Rosso Conte d’Aidone, fratello di Guglielmo, scampato miracolosamente all’eccidio di Messina. Sempre nel 1356, il re assegnò il castello al nobile messinese Federico di Giordano, fino al 1385, quando è nominato Castellano di Savoca Tommaso Crisafi da Messina. Nel 1386 il Castello ritorna definitivamente in possesso degli Archimandriti con Paolo IV di Notarleone. Tra il 1421 ed il 1450, risulta essere residenza stabile dell’Archimandrita Luca IV de Bufalis, il quale preferisce risiedere stabilmente a Savoca anziché a Messina. Nel 1480, venne restaurato ed ingrandito dall’Archimandrita Leonzio II Crisafi e, nel 1631, venne sontuosamente abbellito a spese dell’Archimandrita Diego de Requiensez.
Dal castello partivano gli ordini e le direttive indirizzate a tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate sul litorale e che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani, ove oggi sorgono i comuni di Santa Teresa di Riva, Furci Siculo e Roccalumera. È stato per secoli il centro del potere a Savoca, poi, pian piano perse d’importanza. Alla fine del XVII secolo subì gravi danni a causa del Terremoto del 1693, sicché in prosieguo fu poco frequentato dalla Corte Archimandritale che preferiva risiedere a Messina o a Roma. Dal 1780, circa, venne abbandonato ed andò in rovina per sempre.

Sinagoga

Sinagoga

Accanto alla chiesa di San Michele, ma questa volta alla base della collina ritroviamo i resti dell’antica Sinagoga medioevale. Il vetusto manufatto è in pessime condizioni di conservazione, invaso da sterpaglie e terriccio alluvionale, all’interno esiste una profonda cisterna. Sono visibili due archi in pietra sul prospetto principale, mentre su quello laterale, si scorge una pregevole finestra in pietra arenaria, ancora in discrete condizioni; caratteristici sono i conci di pietra angolare che collegano detto prospetto con la parete ovest. Non si conosce l’anno di costruzione di questo edificio, si sa solo, grazie ad antichi documenti che lo individuano con assoluta precisione “nel centro e nel migliore luogo” dell’antico abitato, che esisteva già nel 1408. Fruivano di questa sinagoga gli ebrei residenti a Savoca e nei borghi e villaggi vicini. Poiché detto edificio di culto sorgeva in un quartiere abitato da cristiani, perdipiù vicino a chiese ed all’edificio dove si curavano l’amministrazione e la giustizia cittadine, nell’agosto 1470, venne confiscato su ordine del Viceré di Sicilia Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi. Lo stesso viceré dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo. La ragione di tale severo provvedimento è da ricercare nel fatto che i giudei savocesi, nell’officiare i loro riti, cantavano inni a voce talmente alta da disturbare le attività dei cristiani che da lì a pochi passi si svolgevano. Di conseguenza, la sinagoga venne rivenduta ad un privato cittadino del luogo, tal Filippo Sturiali, che la trasformò in civile abitazione. Non è dato sapersi ove gli ebrei savocesi stabilirono il loro nuovo luogo di culto. Pochi anni dopo, nel 1492, gli ebrei sono costretti a lasciare la Sicilia. La loro sinagoga divenne una civile abitazione, per secoli; nel XX secolo viene adibita a stalla, poi, dopo il crollo del tetto, è diventata un rudere a cielo aperto lasciato in uno stato di incuria. Il vetusto manufatto è stato, nel corso degli anni, oggetto di studi da parte di numerosi esperti; nel 1997, si accertò l’orientamento dell’edificio in direzione est-ovest (cioè verso Gerusalemme) e la presenza di una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che serviva per le abluzioni rituali. Nel 2014, tra le rovine della sinagoga, è stata scoperta una lapide con sopra scolpita la stella di David. Risulta interessante ricordare che a Savoca esisteva anche un cimitero ebraico, sito in località Moselle, nei pressi della frazione di Rina.

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Chiesa San Nicolò

Risalendo ritroviamo la chiesa di San Nicolò (già nominata a proposito del film il Padrino). Edificata nel XIII secolo, fino a tutto il XVII secolo era riccamente adornata con affreschi in stile bizantino. L’edificio odierno presenta un’architettura settecentesca frutto di un rimaneggiamento successivo. Conserva una statua lignea di Santa Lucia eseguita dallo scultore Reginaldo D’Agostino.

 

Chiesa Maria Assunta

Chiesa Maria Assunta

L’ultima (ma non per importanza e bellezza) chiesa che visitiamo è la chiesa Maria Assunta. E’ la Chiesa Matrice di Savoca ed è un monumento nazionale italiano dal 1910. Edificata nel 1130, presenta una facciata a doppio spiovente con un portale centrale, di impostazione rinascimentale, spinto verso l’alto da paraste laterali che guidano lo sguardo verso il rosone in pietra lavica a cinque bracci. Nella cripta della chiesa nei secoli passati si procedeva alla mummificazione delle salme dei notabili del paese. Fu sede periferica dell’archimandrita di Messina di cui all’interno si conserva la cattedra lignea.

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Casa medioevale con finestra a bifora.

Accanto alla matrice ritroviamo un’antica  costruzione tardo medievale realizzata verso la fine del Quattrocento con una bella finestra bifora che viene citata in molti antichi testi per il suo “stile greco”. L’edificio venne restaurato verso la fine del Seicento. Ha uno stile gotico-spagnolo, tipico della Sicilia del tardo Quattrocento; il successivo restauro del XVII secolo ha dato, altresì, al manufatto un ulteriore sapore ispanico-fiammingo. Il portale d’ingresso è ornato con gigli borbonici settecenteschi. Appartenne nei secoli scorsi alle facoltose famiglie locali dei Fleres e dei Trischitta. Tra il 1909 ed il 1927, ospitò gli uffici municipali del comune di Savoca. Negli ultimi cento anni è appartenuto alle famiglie Rizzo e Altadonna. Il pregevole monumento venne propagandato nel 1928 dal Touring Club Italiano. L’edificio è sottoposto al vincolo di tutela architettonica, si presenta in buono stato di conservazione ed appartiene alla famiglia Cantatore.


Visualizza Savoca in una mappa di dimensioni maggiori

Info tratte da Wikipedia.

Siti Etnanatura:

Savoca.

Maria Assunta.

Castello di Pentefur.

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Castello Colonna

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13-07-2014 20-40-27Il Castello Colonna è un maniero edificato sulla Rocca Giannina, in un luogo elevato, in una posizione strategica passando fra bassi edifici e i tipici “baddaturi”. Tra questi, a sinistra, si stacca una breve scalinata scavata nella roccia, che giunge sulla sommità del rilievo, in una suggestiva e romantica cornice di rovine antiche. Il portone ad arco che fa da ingresso è formato da blocchi di pietra sovrapposti, ai cui lati emergono due colonne che terminano in due cariatidi, in stile barocco raffiguranti un uomo e una donna. Fu costruito agli inizi del x secolo e venne ricostruito alla fine del 1500 e inizi del 1600.
Del castello medioevale, oggetto di profonde trasformazioni da parte dei Colonna Romano nel XVI- XVII secolo, rimangono poche tracce. Si raggiunge l’area del castello percorrendo, nel fitto tessuto medioevale del paese, un vicolo che si conclude in una scalinata.Quest’ultima conduce al portale manieristico in arenaria costituito da un plastico bugnato a cuscino sormontato da un arco a tutto sesto definito ai lati da due figure antropomorfe. Il portale è l’unico elemento architettonico che riconduce alla trasformazione tardo cinquecentesca. Delle tre ali edilizie ipotizzate, sussiste solo quella di sud-est: i ruderi esistenti giustificano però la ricostruzione presentata.
Da http://www.ricordidisanteodoro.it/
Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Castello Colonna.

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Palazzo Corvaja

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09-05-2014 09-54-16In contrada Diana sorge un’elegante residenza del XVIII secolo “Palazzo Corvaja”. Questa contrada, attualmente appartenente al Comune di Fiumefreddo di Sicilia, un tempo faceva parte della baronia di Calatabiano. L’edificio presenta un pittoresco prospetto serrato fra torricini pensili, che chiude sul fondo una corte rettangolare entro magazzini, stalle e abitazione della servitù. Esso costituisce un esempio di villa-fattoria realizzata dai nobili del tempo per la villeggiatura e per il controllo dei latifondi e delle strutture produttive. Suggestivo è l’uso della pietra lavica per le mostre di porte, balconi e finestre, i corpi scalari merlati e la coloritura dei paramenti con forte tinte. Agli angoli del palazzotto, sorrette ognuna da tre mensole in pietra lavica, due garitte a pianta quadrata, coronata da cupole emisferiche ed ingentilite da un cornicione con decorazioni in stucco, serrano ai lati la facciata. Dietro di esse emergono due torrette più grandi, anche’esse a pianta quadrata e coronate da una merlatura ghibellina che ha un preciso valore simbolico oltre che funzionale. I due cortili e la recinzione del giardino dietro la casa, oltre a contribuire alla difesa, costituivano degli spazi esterni estremamente articolati e differenziati per lo svolgimento delle più svariate attività. In linea di massima la corte chiusa davanti alla residenza era riservata alle attività aziendali e familiari, mentre nel cortile esterno si svolgevano tutte le attività connesse al transito nella via pubblica. A lato del passaggio fra le due corti vi era lo “studio”: un locale dove la famiglia Diana probabilmente esplicava molti degli atti amministrativi relativi ai loro fondi ed ai feudi amministrati per conto dei Gravina-Cruyllas. Sul lato nord della corte esterna con la facciata rivolta alla strada è collocata la Chiesa di San Vincenzo, che assolveva funzioni sia di Chiesa per la popolazione locale, sia di cappella privata della famiglia. … Addossato al palazzotto, al pianterreno vi è il palmento, costruito nel 1694 dalla famiglia Bottari. Originariamente separata dalla residenza fortificata di Francesco Diana, la casa dei Bottari fu successivamente unita a questa: il corpo centrale fortificato venne così a perdere uno dei suoi attributi difensivi conferitogli dal totale isolamento da altre fabbriche. Dalla fine del ‘700 il complesso, abbandonato dai proprietari quale residenza, non subisce ampliamenti e modifiche sostanziali. Gli interventi più consistenti sono tutti della fine del secolo scorso e dei primi anni del ‘900, quando alcuni locali di servizio attorno alla corte vengono ristrutturati. Fortunatamente la residenza fortificata si mantiene ancora pressoché integra; non altrettanto può dirsi invece di altre parti del complesso. In tempi recentissimi sono state asportate le pietre angolari del parapetto e del collo del pozzo, ancora visibili di F. Fcihera dell’inizio del secolo. A sud del cortile esterno alcuni dei vecchi fabbricati sono stati sostituiti da una squallida palazzina “moderna”, mentre altri interventi hanno invece alterato una parte consistente dei fabbricati della corte interna che costituiscono un unico organismo architettonico con la residenza. 

Le residenze di campagna nel versante orientale dell’Etna, di Gaetano Palumbo). 
Foto di Angelo Tècchese La Spina.

Pagina Etnanatura: Palazzo Corvaja.

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Castello Calatabiano

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Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

Il castello fu costruito dagli arabi e successivamente rimaneggiato dai normanni. Per la sua grande importanza militare svevi e aragonesi vi apportarono migliorie difensive. Alla famiglia dei Cruyllas si deve l’ampliamento che portò la fortezza alle dimensioni attuali. Di maggior interesse sono il portale di ingresso, costituito da un arco a sesto acuto di pietra arenaria e pietra lavica, e il “Salone dei Cruyllas”, diviso simmetricamente da un arco in pietra lavica il cui concio reca le insegne della famiglia. Nella parte più elevata del maschio si trova un’uscita di emergenza sul pendio più ripido e difficilmente accessibile del monte. Solo qualche rudere rimane invece del borgo abbandonato nel 1693. Sul monte Castello,trenta metri più in basso del maniero, la Chiesa del Santissimo Crocifisso, inaugurata il quattro marzo 1484, ha forme tardo gotiche, un massiccio campanile merlato e due portali ogivali d’ingresso, a ovest e a sud. Sulla facciata vi è un’iscrizione recante la data d’apertura al culto dell’edificio da parte del vescovo Eufemio. Vi è custodito il simulacro di San Filippo Siriaco. Nella celletta alla base del campanile, cui si accede direttamente dall’aula tramite una porta ad arco leggermente bicentrico a conci regolari radiali in pietra bianca, di tipo catalano, è situato nella parete ovest un affresco di Madonna e Bambino che reggono una grossa catena che ha alla fine un giogo a due anelli. L’affresco, di buona fattura inscrivibile non oltre i primi quindici anni del Cinquecento,da considerarsi unico nella regione di filiazione antonellesca, dai Peloritani agli Iblei, che rischia danni definitivi per l’umidità di risalita e per la sottovalutazione dell’importanza, ha un modello stante di tipo desalibesco, col Bambino in piedi (postura riscontrabile nei piccoli monumenti funerari di Antonello Freri) sulla gamba destra della Madre, ed è sensibile alla moda ‘rilassata’ di un Befulco o di uno Scacco, a loro volta mediatori al sud della naturalezza raffaellesca, con voluti grafismi neobizantini (mani e occhi) e una caratteristica unica: la Madonna guarda con bonaria introspezione, “alla greca”, verso l’osservatore.Un forte e distribuito uso del color marrone farebbe pensare a un tentativo di sinopia poi ridipinto. Da Wikipedia.

Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

 

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