I calanchi sono un fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l’effetto di dilavamento delle acque su rocce argillose degradate, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protette dal ruscellamento. I solchi che si formano all’interno del terreno si accentuano rapidamente, allungandosi e procedendo a ritroso, moltiplicandosi e ramificandosi. Tale processo si estende ad interi versanti, suddivisi da numerose vallecole separate a loro volta da strette creste con micro versanti nudi in rapida evoluzione.
Torre Cuba
Si tratta di una torre dalle origini incerte in località Muglia nel comune di Centuripe. Quasi sicuramente una torre di protezione e avvistamento per la fattoria e i terreni circostanti. Di struttura Nuragica, troncoconica, con conci a secco, in alcuni punti è rivestita da intonaco. Nei dintorni ritroviamo la miniera di zolfo di Muglia, il familisterio della zolfara e la fattoria del barone Spitalieri. La torre, la zolfara e la fattoria versano purtroppo in uno stato di totale abbandono e si teme per la loro conservazione.
Castello di Cerami
Il castello di Cerami e una fortezza rupestre di cui sopravvivono alcuni ambienti scavati in roccia chiaramente identificabili. L’intero complesso sorge sulla sommità di una rupe (1050m s.l.m.) e risulta accessibile attraverso due sentieri, da sud-est e sud-ovest. E’ ragionevole pensare che la zona ove insistono gli affioramenti di roccia più consistenti sia quella ove un tempo sorgeva il nucleo più antico del castello, successivamente estesosi occupando il limitrofo pianoro. Sulla consistenza della fortezza, a metà del XVI sec., si pronuncia Fazello, che ricorda la presenza di un “palazzo baronale fornito di magnifiche sale e camere da consiglio e dalla chiesa di S. Giorgio” [T. Fazello, vol. I, pag. 445 e seg.]. A questa descrizione si aggiungono le importanti testimonianze fotografiche del G. Paternò-Castello [G. Paternò Castello 1907, pp. 85-87], attraverso le quali è possibile ricostruire in linea di massima la consistenza dell’antico complesso.
Castello di Noto
Annesse alle mura di Noto antica si trova il castello Reale con l’ampia Sala d’Armi e le scuderie, i resti di torri di cui quella principale è del 1431 e della antica prigione dove sono visibili moltissimi graffiti e bassorilievi lavorati dai galeotti. Molti dei graffiti oltre a riportare il nome della persona rappresentano le imbarcazioni dell’epoca e più volte riprodotto anche un gioco con le pedine. La struttura venne edificata nel 1091 dal Duca Giordano d’Altavilla su un precedente forte di epoca araba.
Castello di Tripì
Sulle origini del castello di Tripì non si hanno notizie, o sono incerte; l’unico documento sarebbe uno scritto del 1154, del geografo Idris, che parla della presenza in questo luogo di una fortezza medievale. Si sa di certo che nella prima metà del 1300 si sono svolte delle azioni militari per il suo possesso e vi soggiornarono, l’ammiraglio Ruggero di Lauria, il re Federico II ed altri personaggi di alto rango fino alla seconda metà del XVII secolo. Il Castello è delimitato dai resti di una cinta muraria e da rocce che ne costituivano una difesa naturale; vi si accede dal lato sud ,tramite un sentiero tortuoso, che partendo dal paese si inerpica per 100 metri e si ferma davanti ad un varco, creato nelle mura, che fa supporre la presenza, in origine, del portale di accesso.
Abakainon
Abaceno o Abàcano (in latino: Abacaena o Abacaenum, in greco antico Ἀβάκαινον o in greco antico Ἀβάκαινα) era un’antica città della Sicilia, sul versante settentrionale, le cui origini sembra risalgano al periodo siculo, poi ellenizzata, nel cui territorio Dionigi di Siracusa fondò la città di Tindari (396 a.C.), situata in prossimità dell’attuale cittadina di Tripi, in Provincia di Messina, ove nel secolo XVI si scorgeva un largo campo di rovine antiche, in parte ancora esistenti. In seguito alla progressiva colonizzazione greca della Sicilia anche Abacena si adattò alla nuova cultura ellenizzandosi. Partecipò assieme a tante altre colonie indigene alla sollevazione di Ducezio ma in seguito alla sconfitta entrò nell’orbita di influenza cartaginese. In età greca ebbe una zecca con proprie emissioni monetali.
Lago Sartori.
Il lago di Ancipa, detto anche “lago Sartori” è un bacino artificiale della Sicilia. Si trova sui monti Nebrodi, sulla strada tra Troina e Cerami, a cinque chilometri dal primo comune, e segna il confine tra la provincia di Enna e quella di Messina. Il lago nacque in seguito alla costruzione di una diga (detta di “San Teodoro”) a sbarramento del torrente Troina allo scopo di produrre energia elettrica. La sua costruzione finanziata dall’Ente siciliano elettricità avvenne negli anni tra il 1950 e il 1952 creando un invaso della capacità massima di 30 milioni di m³. I lavori vennero eseguiti dalle imprese SOGENE e Lodigiani. Il 6 dicembre 1950 i lavori vennero funestati da una sciagura dovuta ad un’esplosione di grisou nella galleria in costruzione in prossimità della diga con ben 13 vittime alcune delle quali perite nel generoso tentativo di estrarre i compagni svenuti all’interno. In seguito l’acqua del lago è stata impiegata anche a scopo irriguo e ad uso potabile.
Santa Maria di Valverde
Ci sono dei posti conosciuti per la loro bellezza, altri per la loro storia, altri ancora per la leggenda. Il santuario di Valverde fa parte di diritto di questa terza categoria. Un posto dove la leggenda diventa favola. Nell’ultimo periodo della dominazione araba in Sicilia, nel giugno del 1038, un viandante di nome Egidio, proveniente da Catania era diretto ad Aci. Passando per Vallis Viridis venne assalito da un brigante, di nome Dionisio. Una volta depredato il malcapitato, Dionisio stava per ucciderlo quando venne udita una voce: «Dionisio, deponi quell’arma… e cessa questa vita di brigantaggio». La voce viene tradizionalmente attribuita alla Madonna. Il brigante non solo si fermò, risparmiando la vita al povero malcapitato, ma addirittura si convertì.
Il velo di Sant’Agata
di Marinella Fiume
L’incombustibile Velo di sant’Agata che da tante disastrose eruzioni salvò e salva la città di Catania, nel corso dei secoli, è stato più volte portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell’Etna. È una reliquia conservata nella cattedrale di Catania in uno scrigno d’argento insieme ad altre reliquie della santa. Secondo una leggenda, sarebbe un velo usato da una donna per coprire la santa durante il martirio con i carboni ardenti. Secondo altre interpretazioni, il velo, di colore rosso, faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò in giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l’abito delle diaconesse consacrate a Dio. Secondo un’altra leggenda, il velo era bianco e sarebbe diventato rosso al contatto col fuoco della brace.
Grotta Vadalato
Testo di Ina garaffo.
La grotta di Badalato o Vadalato si trova a sinistra dell’omonima chiesa ai piedi di una collinetta lavica su cui crescono fichi d’India in contrada Poggio Rosso a Biancavilla. Da quando il sito e’ stato bonificato e’ possibile vederla solo attraverso l’ inferriata.
Si raggiunge dal km 29+700 della SS 121. Attorno alla nascita del sito e’ nata una leggenda secondo la quale nei primi del XIX sec. (1830) un certo Luigi Petralia, laico dei frati minori francescani, sognò che all’interno di una grotta lavica a circa 3 km da Biancavilla,vi fosse sepolto un quadro della Madonna.